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Colpo di scena al processo Meta

di Lucia Lipari il . Calabria

Reggio Calabria – Continuano i colpi di scena all’interno del Processo Meta, che vede alla sbarra, dal 2010 ad oggi, il gotha della ‘ndrangheta reggina. Secondo le indagini condotte dalle forze dell’ordine e dalla ricostruzione operata dalla Procura, le note famiglie dei De Stefano, Condello, Tegano e Libri terrebbero sotto scacco l’economia e la vita cittadina secondo un sistema verticistico dell’organizzazione, sistema resosi coeso all’indomani della seconda guerra di mafia degli anni ’90, al fine di spartirsi e governare Reggio. Settecento furono, in quegli anni bui, i morti caduti sull’asfalto, per mano mafiosa.

Dai manuali di Lo Giudice alla sua evasione e ritrovamento, all’articolata ricostruzione degli affari e del controllo sulla città, passando per i verbali dimenticati sulla nave traghetto, non è mancata l’attenzione mediatica su questa vicenda. Recenti sviluppi investigativi hanno per di più condotto ad allineare “Meta” ad altre importanti inchieste quali “Araba fenice” e “Xenopolis”. Tutte dinamiche rigorosamente puntate dai riflettori nazionali, visto il diretto coinvolgimento del mondo dei professionisti, insospettabili colletti bianchi scoperti al servizio delle cosche, secondo la testimonianza resa nel processo stesso del tenente colonnello della Guardia di Finanza, Domenico Mastrodomenico, e del vicequestore aggiunto della Polizia, Diego Trotta.

Tuttavia, nel corso dell’ultima udienza, si è complicato l’impianto accusatorio formulato dal pm della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. Lo stesso, modificando i capi d’imputazione a carico di Giuseppe De Stefano, Pasquale Condello, Giovanni Tegano, Domenico Condello, Pasquale Libri, ha definito il direttorio criminale secondo un organigramma in parte visibile ed in parte occulto. Il magistrato ha evidenziato l’esistenza di una ‘ndrangheta piramidale “visibile”, con a capo Giuseppe De Stefano, con il grado di “Crimine”, al cui fianco opererebbero le altre famiglie e dietro cui si agirerebbero i cosiddetti “invisibili”, oltre che figure definite “concorrenti esterni o contigui”, che avrebbero goduto del favore elettorale dei boss. Da quanto emerso dall’interno dell’Aula Bunker, e dalle rivelazioni dei collaboratori di giustizia Nino Fiume, Roberto Moio, Consolato Villani e Antonino Lo Giudice, la ‘ndrangheta condizionerebbe ogni settore dell’economia, secondo un ragionieristico metodo estorsivo raccordato con le altre cosche, e si infiltrerebbe nelle stanze dei palazzi che contano, non dalle retrovie.

Questo processo sta scrivendo una pagina nuova nell’atlante delle mafie, decretando formalmente l’apertura di una nuova fase nella concezione della ‘ndrangheta. Questa è stata anche la chiave di lettura di Libera, che colta la centralità del processo, si è costituita parte civile nell’ambito del procedimento, proprio per ribadire quanto la ndrangheta leda e soffochi i diritti della società civile, in una regione ad orologeria come la Calabria.

Infatti, aprire le aule dei Tribunali alla cittadinanza attiva ed agli studenti, visti i percorsi formativi concretizzati, ha significato per Libera e per Reggio un esercizio fondamentale di partecipazione e democrazia, una presa di coscienza sulle responsabilità di ciascuno e l’ulteriore consacrazione, portata a conoscenza di tutti, del pericolo di firmare un contratto sociale, e quindi di morte, con la ndrangheta.

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