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Cassano allo Ionio. ‘Ndrangheta, luoghi comuni e memoria corta

di Sabrina Garofalo il . Calabria

L’analisi a cura di Sabrina Garofalo/// –  Ci sono pezzi che non avremmo mai voluto scrivere, notizie che non avremmo mai voluto ascoltare. Nicola  Campolongo è morto così, a tre anni, con un colpo in testa. Vittima innocente della ferocia e della crudeltà della ‘ndrangheta, di un orrore che si è presentato così sotto i nostri occhi. Vittima probabilmente della lotta per il predominio sul territorio e nel mercato delle droghe, in uno dei contesti più difficili della provincia di Cosenza, Cassano allo Ionio. All’indomani di una tragedia così inumana, i sentimenti che viviamo sono tanti, dalla rabbia allo sgomento, dalla sensazione del fallimento a quella dell’indignazione. E tante sono le domande e le riflessioni che stiamo affrontando.

La prima, cruda nella sua realtà: viviamo in una terra in cui le organizzazioni criminali uccidono e bruciano perfino un bambino di tre anni. Finiamola con le frasi sull’onore delle mafie, finiamola di parlare di una ‘ndrangheta che non uccide le donne e i bambini. Ci sono le tante storie che parlano di questo in Calabria, di bambini e bambine uccise intenzionalmente dalle ’ndrine: nel 1965 a Sant’Eufemia d’Aspromonte viene ammazzato il dodicenne Cosimo Giuffrè e vennero feriti i suoi fratelli, e poi tutti i bambini e bambine come Domenico e Francesco, Salvatore, Rocco, Marcella, Giovanni, Michelangelo, Saverio, Elisabetta, Francesco, tutte vittime delle faide degli anni settanta e inizi anni ottanta a Crotone, Cittanova, Taurianova, Rosarno, Caraffa del Bianco, Laureana di Borrello, San Ferdinando, Palermiti, Vibo Valentia*. E poi, nel 2009, la strage dei campetti e la morte del piccolo Domenico Gabriele. Del nostro piccolo Dodò, perché in questi anni abbiamo imparato a volergli bene sentendolo come uno di famiglia. Insieme a Francesca e Giovanni, i suoi genitori, viviamo la sofferenza di un processo in cui la nostra richiesta di verità e giustizia si affianca a frasi del tipo “quante storie per una bambino”. Frasi che come pugni arrivano in faccia ai familiari e a chi come noi inorridisce davanti a tale crudeltà. E durante questo processo, abbiamo anche avuto modo di sapere cosa si sono detti gli assassini prima della strage: “Fate una mattanza! Non risparmiate né donne né bambini! Quel territorio appartiene a noi e noi dobbiamo far capire chi comanda!”. A chi dice che la ‘ndrangheta non uccide i bambini, rispondiamo che i vigliacchi non conoscono tenerezza, gli ‘ndranghetisti sono burattini che giocano a uccidere.

Dobbiamo decostruire un immaginario che è stato la forza delle mafie, un immaginario in cui parole come onore e rispetto hanno strutturato una sorta di consenso dietro al quale sono stati nascosti i peggiori delitti. Un immaginario che qui, nella provincia di Cosenza, copre tutto troppo spesso con un velo che ben visibilmente separa ciò che è da ciò che rappresentiamo. La parola ’ndrangheta a Cosenza viene pronunciata poco, spesso ci siamo sentiti dire – come corresponsabili di Libera – che siamo esagerati o che comunque “la mafia a Cosenza non esiste” o ancora “si, ma si ammazzano tra loro”. Qui nella periferia di una opinione pubblica nella quale vengono affrontati i temi delle mafie, qui dove il livello di attenzione politica su queste tematiche rimane marginale, qui dove il consenso sociale alle mafie è forte e dove la sfiducia nelle istituzioni si tocca con mano, qui scattano meccanismi di normalizzazione, di indifferenza che, questi sì, ci fanno paura.

L’antimafia sociale.  Dobbiamo interrogarci sui tanti aspetti di una vicenda, l’infanticidio di Nicola, che afferiscono a diversi aspetti e circostanze. Ad esempio, chiediamoci perché un bambino di tre anni, con entrambi i genitori in carcere viene affidato al nonno, sottoposto a misure cautelari per lo stesso reato? Chiediamolo, perché solo così, cercando di comprendere come le politiche e i servizi sociali affrontano queste terribili situazioni, possiamo cercare soluzioni insieme, come società civile. E ancora, chiediamoci come si struttura il potere sul territorio, come i nostri contesti siano signorie territoriali in cui le alleanze e gli sgarri tra i clan possano determinare la vita e la morte. Chiediamocelo anche nella provincia di Cosenza. Facciamolo con serietà e senza paura di rompere l’immagine dell’isola felice calabrese, non possiamo rimanere indifferenti. Mettiamo da parte la sensazione di fallimento, di inadeguatezza per dare spazio ad una rabbia che si trasforma in azione, in denuncia e proposta. Riconosciamoci come società civile calabrese, ritorniamo a pensare la lotta alla ’ndrangheta come qualcosa che non è un problema altrui, ma che ci interessa. Senza cadere nel “panottismo” mafioso, del tutto è mafia, ma riconoscendo meccanismi e quindi elaborando processi di trasformazione. Sui giornali, sui social network, viene spesso in questi giorni pubblicata la foto di Nicola, occhi vispi e sorriso birichino. Ci sentiamo male pensando al suo sguardo terrorizzato che incrocia quello del suo assassino, ai suoi ultimi pensieri da bambino innocente. Ma il nostro impegno, e non sono solo parole, è trasformare questo male in scelte e azioni concrete, tradurre la memoria di Nicola e di tutti gli altri bambini e bambine, in percorsi di pace, di democrazia, di speranza, qui, a Cassano, a Cosenza, in Calabria.

[*Ricostruzione fatta da Arcangelo Badolati, “Gazzetta del Sud” martedì 21 gennaio 2014].

 

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Sabrina Garofalo

Sono una donna calabrese, trenta anni. Dottora di ricerca in “Politica società e cultura” ed assegnista presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università della Calabria. Componente del Centro di Women’s Studies “Milly Villa”, mi occupo di studi di genere, migrazioni, Mediterraneo, mafie ed antimafia. Credendo fortemente nel valore dello studio e della ricerca come strumento di cambiamento e trasformazione dei territori, condivido il progetto di Libera formazione e università. Faccio parte dell’Osservatorio regionale sulle infiltrazioni mafiose e l’illegalità in Umbria, esperienza innovativa e modello da costruire. Credo fortemente nel cambiamento della mia terra, cerco di riconoscere sempre la differenze tra ciò che è e ciò che potrebbe essere, e vivo corresponsabilmente il mio impegno nel coordinamento provinciale “Roberta Lanzino” di Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie a Cosenza.

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