Messico, l’imprendibile El Chapo
La Segreteria della Difesa Nazionale messicana (Sedena), in concomitanza con il termine del primo anno di governo del Presidente Nieto, ha reso pubblico, nei giorni scorsi, il bilancio della lotta al narcotraffico svolta dai militari. Oltre mille veicoli sequestrati, 18 aerei, 19 imbarcazioni, un milione di munizionamento vario, più di mille bombe a mano, quasi novemila armi e 171 piste di atterraggio clandestine neutralizzate in vari punti del paese. A questo arsenale da guerra, si aggiungono circa 714 tonnellate di marjiuana, 856 kg di semi di papavero da oppio, oltre 2 tonnellate di cocaina, 160 kg di eroina, 35 mila piante di marijuana e 91 mila di “amapola”. Poco più di novemila le persone arrestate dai militari. Numeri sicuramente importanti ma non come ci si aspetterebbe in un paese come il Messico dove la criminalità del narcotraffico la fa da padrone. Certo le statistiche non sono molto affidabili e , comunque, mancano ancora i dati della polizia federale e delle altre polizie (statali e ministeriali), ma, non c’è dubbio che ci si aspetterebbe molto di più nell’attività di repressione. Diversi, anche nell’anno che volge al termine, i capi e “luogotenenti” dei vari cartelli arrestati o morti in conflitti a fuoco con le forze di sicurezza. All’appello, tuttavia, manca ancora lui, Joacquin Guzman Lorea, il capo di Sinaloa (o cartello del Pacifico). El Chapo, così chiamato per via della bassa statura (un metro e 55 centimetri) e corporatura (tarchiato), arrestato nel 1993 in Guatemala, riuscì a fuggire dal carcere di massima sicurezza di Puente Grande (Jalisco), a bordo di un autocarro che trasportava biancheria in una lavanderia. Il “soggiorno” carcerario di El Chapo lo ricordano ancora in molti come uno straordinario “periodo di feste, spettacoli e prostitute”. Figlio di un “gomero” (coltivatore di papavero da oppio), El Chapo aveva avuto come maestro Miguel Angel Felix Gallardo (alias El Padrino), considerato il più grande narcotrafficante messicano di tutti i tempi. La rivista Forbes, tre anni fa, aveva inserito El Chapo al sessantesimo posto nella graduatoria dei “ricchi della Terra”. Per la sua cattura gli americani hanno messo una “taglia” di 5milioni di dollari.
Del gruppo dirigenziale del cartello fanno parte Ismael Zambada Garcia (El Mayo), Juan Josè Esparragoza Moreno (El Azul) e, in posizione più defilata, i fratelli Amezcua ed i Valencia. Il cartello si è sviluppato intorno agli anni Novanta e oggi esercita un controllo sul mercato interno delle droghe in almeno diciassette Stati messicani , con una presenza significativa in diversi Stati dell’America Latina. Che gli “affari” vadano bene si può dedurlo anche dal sequestro, avvenuto nel settembre 2008, in un sol colpo, di oltre 26milioni di dollari in contanti, effettuato da militari dell’esercito a Culiacan Rosales, capitale di Sinaloa, nel corso di un’operazione antidroga. Si è trattato del secondo maggior sequestro di denaro contante nella lotta alla criminalità organizzata. Il malloppo di denaro era in possesso di un imprenditore cinese inserito in un gruppo criminale specializzato nei traffici di efedrina e di sostanze chimiche impiegate nei processi di raffinazione delle droghe. Il precedente sequestro (primato) di denaro risaliva al marzo del 2007, con 205 milioni di dollari destinati al pagamento di un’ingente spedizione di precursori chimici.
Il cartello, che vanta moltissimi fatti di violenza attribuiti a vere e proprie unità paramilitari, tra cui i Los Negros e Gente Nueva, dispone di ingentissime risorse. Si parla, tra l’altro, di alcune decine di aerei per trasportare stupefacenti verso gli Usa, sorvolando i Caraibi, o verso la costa africana. I resti del Boeing 727 rinvenuto nel novembre del 2009 a Tarkint, vicino a Gao (Mali), confermerebbero tale ipotesi. Anche in tema di armamento l’organizzazione fa le cose in grande. Basti pensare al tentativo, di cui si è avuta notizia nel maggio 2011, da parte di emissari del cartello, di acquisto di armi pesanti (mitragliatori M60, M72, lanciagranate e un missile antiaereo Stinger) da un agente undercover della Dea.
El Chapo, dunque, appare imprendibile e la sua lunga latitanza continua a suscitare polemiche. Sospetti di protezione sono stati avanzati, nel novembre 2010, persino nei confronti dell’allora presidente Calderon. Già a maggio le polemiche erano nate dopo che l’emittente americana National Public Radio aveva reso pubblico un reportage giornalistico secondo cui il governo Calderon avrebbe “favorito” il cartello di Sinaloa. A rinfocolare questa asserita “intoccabilità” del capo del cartello, erano intervenute le dichiarazioni pubbliche (sempre nel 2010) rilasciate da Hector Gonzales Martinez, vescovo di Durango, secondo cui il narcotrafficante si muoveva tranquillamente nella zona di Guanacevi, a trecento chilometri da Durango. E tutto sarebbe stato ben noto alle autorità locali. La risposta è arrivata due settimane più tardi con il ritrovamento dei cadaveri di due agenti federali undercover che lavoravano come “campesinos” in alcune piantagioni di marjiuana. Sui loro corpi il messaggio inequivocabile: ”Chapo non lo prenderete mai!”. Ad aprile di quest’anno è riesplosa la polemica sulle protezioni politiche di cui godrebbe il capo dei narcotrafficanti. L’occasione è stata la presentazione del libro “La Dea in Messico”, curato da Josè Baeza, agente dell’antidroga americana che, in una dichiarazione pubblica, ha affermato che le gerarchie militari messicane si sarebbero opposte, in passato, ad una operazione “sencilla, rapida y quirurgica”, che gli americani avrebbero potuto svolgere per catturare El Chapo. Nella stessa giornata del trenta aprile, ad Agua Prieta (Sonora), la polizia federale arrestava Ines Coronel Barera, suocero di El Chapo (padre di Emma Coronel Aispuro, terza moglie de capo di Sinaloa), il cognato ed altri due narcos. Ancora un anno è passato e la latitanza di El Chapo prosegue nonostante la cattura di molti suoi stretti collaboratori e guardie del corpo.
El Chapo, dunque, appare imprendibile e la sua lunga latitanza continua a suscitare polemiche. Sospetti di protezione sono stati avanzati, nel novembre 2010, persino nei confronti dell’allora presidente Calderon. Già a maggio le polemiche erano nate dopo che l’emittente americana National Public Radio aveva reso pubblico un reportage giornalistico secondo cui il governo Calderon avrebbe “favorito” il cartello di Sinaloa. A rinfocolare questa asserita “intoccabilità” del capo del cartello, erano intervenute le dichiarazioni pubbliche (sempre nel 2010) rilasciate da Hector Gonzales Martinez, vescovo di Durango, secondo cui il narcotrafficante si muoveva tranquillamente nella zona di Guanacevi, a trecento chilometri da Durango. E tutto sarebbe stato ben noto alle autorità locali. La risposta è arrivata due settimane più tardi con il ritrovamento dei cadaveri di due agenti federali undercover che lavoravano come “campesinos” in alcune piantagioni di marjiuana. Sui loro corpi il messaggio inequivocabile: ”Chapo non lo prenderete mai!”. Ad aprile di quest’anno è riesplosa la polemica sulle protezioni politiche di cui godrebbe il capo dei narcotrafficanti. L’occasione è stata la presentazione del libro “La Dea in Messico”, curato da Josè Baeza, agente dell’antidroga americana che, in una dichiarazione pubblica, ha affermato che le gerarchie militari messicane si sarebbero opposte, in passato, ad una operazione “sencilla, rapida y quirurgica”, che gli americani avrebbero potuto svolgere per catturare El Chapo. Nella stessa giornata del trenta aprile, ad Agua Prieta (Sonora), la polizia federale arrestava Ines Coronel Barera, suocero di El Chapo (padre di Emma Coronel Aispuro, terza moglie de capo di Sinaloa), il cognato ed altri due narcos. Ancora un anno è passato e la latitanza di El Chapo prosegue nonostante la cattura di molti suoi stretti collaboratori e guardie del corpo.
[Piero Innocenti per Narcomafie]
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