Processo d’Appello “Minotauro”, 49 condanne
Con la sentenza di Appello del Tribunale di Torino di ieri si chiude un altro capitolo processuale del contrasto alla ‘ndrangheta, nato dall’operazione Minotauro. La Corte ha stabilito che i 49 imputati condannati dovranno scontare oltre 200 anni di carcere. Alle condanne si aggiungono 13 assoluzioni e sconti di pena per quasi tutti i soggetti a processo, come era immaginabile, dato il rito abbreviato. Ciò che emerge in modo chiaro dalla sentenza pronunciata ieri è che l’impianto accusatorio della Procura di Torino regge. Una conferma, dopo il risultato arrivato due settimane fa con la conclusione di primo grado con il rito ordinario.
Tra i nomi eccellenti a giudicati c’è sicuramente quello di Bruno Iaria, elemento di spicco della ‘ndrangheta in provincia di Torino considerato il “re di Cuorgnè”. Nipote di Giovanni Iaria, uomo del PSI torinese, arrestato nell’operazione Minotauro e poi deceduto, Bruno è stato condannato a 13 anni di reclusione perché a capo del gruppo operante nel canavese, con una riduzione di pena di pochi mesi rispetto al verdetto di primo grado. Condanne severe anche per l’ala violenta del gruppo criminale, che la Procura individuava “Crimine”.
Adolfo e Aldo Cosimo Crea, a capo del gruppo deputato alle azioni violente, sono stati condannati rispettivamente a 10 e 8 anni, con un lieve sconto di pena rispetto al dispositivo di primo grado. Nel gruppo “armato” della ‘ndrangheta radicata tra Torino e Provincia, la sentenza individua anche Giacomo Lo Surdo e Vito Marco Candido e li condanna, rispettivamente, a 8 e 7 anni di carcere. Anche i vertici dell’organizzazione sono stati riconosciuti colpevoli e condannati: Rocco Raghiele, capo locale di Moncalieri a 6 anni; Francesco Perre, di Volpiano, a 8 anni; Giuseppe Fazari, di San Giusto, dovrà scontare 8 anni.
Ai nomi eccellenti già citati segnaliamo anche la condanna per Urbano Zucco. Imprenditore sulla carta, per la Procura affiliato alla ‘ndrangheta, è stato legato a doppio filo a Nevio Coral. Zucco con la sua impresa ha vinto molte commesse pubbliche, tramite la Provana (società pubblica che gestiva la quasi totalità degli appalti a Leinì), ed esce dalla sentenza di secondo grado con una condanna di 7 anni di reclusione per 416 bis. Quello che soli pochi anni fa sembrava, per i più, un fenomeno lontano dalle nostre terre, ora trova la conferma da parte della giustizia. E questa ulteriore sentenza ne è una riprova chiara, in attesa della conferma della Cassazione.
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