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Eurosur non servirà ad evitare altre tragedie di migranti

di Piero Innocenti il . Lazio

Alcuni giorni fa, dopo la strage di migranti di Lampedusa, tra le novità annunciate per migliorare il controllo dell’immigrazione nel Mediterraneo, oltre all’attuazione di un (costosissimo e quasi inutile) dispositivo aeronavale (operazione Mare Nostrum), si era parlato anche del monitoraggio da effettuarsi tramite Eurosur. Ieri alcuni giornali hanno enfatizzato il punto (cfr.L’Avvenire, articolo di M.Benedettelli, “Parte Eurosur , “il grande fratello del Mediterraneo”), riferendo di una nota del Consiglio dell’UE riunitosi il 22 u.s. a Lussemburgo che dà il via libera ad Eurosur a partire dal 2 dicembre p.v. Cerchiamo allora di capire di cosa si tratta e, soprattutto, se potrà davvero essere utile anche per salvare vite umane o sarà soltanto una “tecnologia” utile per bloccare e respingere i migranti in generale. Il progetto Eurosur (European Border Surveillance System), prevede lo scambio di informazioni relative agli eventi di immigrazione illegale tra i Centri nazionali di coordinamento  di Italia, Francia e Spagna per le frontiere marittime esterne meridionali, tra Finlandia, Polonia e Slovacchia per quelle terrestri esterne orientali, nonché tra tutti questi paesi e l’agenzia Frontex. In Italia, il “punto Eurosur”, è stato attivato presso il Centro Nazionale di Coordinamento “Roberto Iavarone” istituito con decreto del Capo della Polizia del 20 gennaio 2012 (ed operativo un mese dopo), in seno alla Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere. Presso il Cento “Iavarone” sono presenti appartenenti alle vari istituzioni coinvolte nel controllo dell’immigrazione e cioè la Polizia di Stato, i Carabinieri, la Guardia di Finanza, la Marina Militare e la Capitaneria di Porto. Tornando ad Eurosur, tracce di questo progetto risalgono addirittura a sette anni fa, nella conclusione del Consiglio europeo (14/15 dicembre 2006) che accennava ad un sistema di sorveglianza delle frontiere marittime meridionali e di quelle orientali dell’UE con le tecnologie dei vari Stati membri e con il sostegno del Fondo Frontiere Esterne 2007/2013. Il lento, elefantiaco cammino di Eurosur, tra rivalità e gelosie nazionali, accompagnato da decine e decine di riunioni, iniziate sin dal luglio 2007, di esperti dei vari paesi, ha attraversato tre fasi ciascuna delle quali articolate in più “tappe”.

L’obiettivo era di collegare e razionalizzare i vari sistemi di sorveglianza degli Stati membri, applicare strumenti e dispositivi comuni per la sorveglianza delle frontiere esterne UE , creare un sistema comune per il controllo e lo scambio di informazioni nel settore marittimo avvalendosi di una rete integrata per il Mediterraneo, le Isole Canarie, il Mar Nero e, successivamente, estendendo il controllo all’Atlantico, al Mare del Nord e al Baltico. L’obiettivo finale sarebbe quello di “…una piena conoscenza della situazione degli Stati membri alle frontiere esterne UE”, da conseguire attraverso i centri di coordinamento nazionale dei vari paesi che dovrebbero essere operativi e interconnessi tra di loro con una rete dedicata entro il 2013,  “…per accrescere la capacità di reazione delle forze di polizia in modo tale da mitigare econtrastare l’immigrazione illegale..” (Ministero dell’Interno, novembre 2012). Dunque, Eurosur più che il “grande fratello del Mediterraneo” che dovrebbe “..aiutare quanti rischiano la vita pur di raggiungere le coste europee..”( Cecilia Malmstron, Commissaria per gli Affari Interni UE,22 ottobre u.s.), appare, in realtà, il “grande controllore” per prevenire l’arrivo dei migranti, nella consueta e miope politica, nazionale ed europea, di proteggere le frontiere respingendo tutti verso le coste africane. Critiche e perplessità sono già venute da alcuni esperti tedeschi (rapporto Borderline- Germania, ottobre 2013) che vedono l’Europa trasformarsi sempre più in un “fortino” assediato da difendere anche con mezzi spaziali (satellitari) ed altri strumenti a bordo di aerei e navi. Oltre ad Eurosur, infatti, c’è anche GMES (Global Monitoring Enviroment System), uno studio finanziato dall’UE sull’osservazione della Terra, per avere, tra l’altro, anche informazioni accurate sulla sicurezza e la sorveglianza delle frontiere. Intorno a tutte queste progettualità e alla montagna di denaro pubblico necessario per la realizzazione, naturalmente, gli interessi di molte aziende del settore (e non solo) che vedono la prospettiva di consistenti profitti.

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