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Storia del poliziotto “Serpico”, condannato a morte da Cosa Nostra perchè troppo bravo

Di Nino Fricano il . Dai territori, Sicilia

Venne ammazzato a Porticello, una domenica pomeriggio, dopo una bella giornata d’estate passata in barca con la fidanzata e alcuni amici. Il mare era pulito, il sole splendente. Un giorno ideale per un po’ di relax. I killer lo colsero di sorpresa, mentre era in costume e sandali. Disarmato, ovviamente. Gli spararono in faccia e lo lasciarono a terra in una pozza di sangue. Morì così, il 28 luglio 1985, il commissario della squadra mobile di Palermo Beppe Montana.

A 34 anni era già un investigatore esperto ed apprezzato, un vero modello. Dopo la sua morte, per esempio, si scoprì che la sua decisione di affittare una casetta a Porticello non era stato un caso. Voleva tenere sott’occhio una zona ad alta densità mafiosa, quella della costa est di Palermo. Anche nelle giornate di vacanza, dunque, non cessava la sua lotta contro Cosa Nostra, che lo aveva portato ad arrestare numerosi latitanti.

Lo chiamavano Serpico. Montana era ossessionato dal suo lavoro. Per questo gli agenti della mobile lo chiamavano “Serpico”, come quel coraggioso poliziotto italo americano del film, quello che inseguiva e lottava contro i criminali in una New York cruda e violenta. Beppe Montana era così. Uno stakanovista, un mastino. Catanese di provenienza, nella sua città aveva arrestato i boss Nunzio Salafia e Antonino Ragona, bracci destri di Nitto Santapaola. Giunto a Palermo nel ’82, all’indomani dell’uccisione di Carlo Alberto Dalla Chiesa, si era fatto presto notare per il suo attivismo. Nel ’83, mentre imperversava una cruenta guerra di mafia, scoprì un vero e proprio arsenale mafioso, mimetizzato sotto un cavalcavia dell’autostrada Palermo-Catania. Mitra, fucili, pistole, munizioni. A centinaia. Per la mafia fu un colpo.

L’anno dopo arrestò a Palermo, in via Lincoln, il boss Tommaso Spadaro, astro nascente del traffico di eroina. Nel ’85 scardinò un gruppo dedito ad affari illecito di livello internazionale. Otto arrestati, tra cui il superlatitante di Prizzi Tommaso Cannella. In più, era tra i pochi investigatori che della mafia provò a ricostruire un quadro completo. Cercò i collegamenti con le altre organizzazioni criminali, specialmente negli Stati Uniti e nella Campania, e provò a seguire le grandi piste internazionali che facevano pervenire in Sicilia quantità enormi di capitale. Un po’ come aveva fatto Boris Giuliano, ucciso sei anni prima, il commissario della mobile toccava con mano i punti nevralgici, il denaro e i grandi boss. Per Cosa Nostra è davvero troppo.

Ambigui sviluppi. Dopo la sua uccisione, le indagini vengono avvelenate da un evento inquietante su cui ancora non si è fatto chiarezza. Viene arrestato un giovane di 25 anni, Salvatore Marino, calciatore dilettante del Bagheria originario della borgata palermitana di Sant’Erasmo. È accusato di aver fatto parte del commando di killer che ammazzarono Beppe Montana. Il giovane Marino, la notte stessa, viene torturato e ucciso dagli agenti della squadra mobile. La questura tenta di coprire la faccenda ma l’evento è troppo grosso. Due giorni dopo scoppia lo scandalo e, tra le proteste dei familiari e di tutto un quartiere di Palermo, il ministro degli interni Scalfaro decide di rimuovere i vertici di polizia e carabinieri di Palermo: Francesco Pellegrino, Gennaro Scala e Giuseppe Russo. In seguito alcuni poliziotti vennero anche arrestati. Intanto la struttura delle forze dell’ordine di Palermo fu costretta a riorganizzarsi, in una fase delicatissima della storia mafiosa e della lotta alla mafia.

Le indagini per la morte di Montana andarono così a sbattere contro un muro, mentre Cosa Nostra preparava le mitragliatrici contro il capo della squadra mobile Ninni Cassarà, che verrà ammazzato il 6 agosto 1985. Poco più di una settimana dopo la morte di Beppe Montana.

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