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Rassegna stampa 11 settembre 2013

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LiveSicilia. Si è costituito qualche giorno fa all’ospedale di Palermo il boss Carmelo Bartolone. Era uno dei fiancheggiatori di Bernardo Provenzano, condannato al processo “Grande mandamento” – scrive Riccardo Lo Verso sul portale siciliano – Non è un caso che abbia cercato riparo in Emilia Romagna. È in questa regione, infatti, che Bartolone dopo la scarcerazione ha cercato di fare affari. Per prima cosa si era messo in testa di aprire una discoteca. Il cinquanta per cento dei guadagni sarebbe andato ai mafiosi siciliani… successivamente “i mafiosi di Bagheria avevano fiutato la possibilità di fare soldi grazie all’idea di Bartolone di confezionare abiti fasulli in una fabbrica del Nord”. [Continua su LiveSicilia.it].

 

Corriere della Sera. Perché è così diffìcile usare i beni confiscati alle mafie? Giovanni Bianconi su Corriere della Sera oggi si occupa dell’argomento attraverso l’analisi contenuta nel libro “Per il nostro bene” pubblicato da Chiarelettere scritto da Alessandra Coppola e Ilaria Ramoni. “Il procuratore di Torino Bruno Caccia era un magistrato che sapeva di avere molti nemici. Nei primi anni Ottanta coordinava importanti e delicate indagini su terrorismo e criminalità organizzata, consapevole del rischio di finire ammazzato – scrive Bianconi. Continuava a lavorare come niente fosse e in casa si mostrava sempre sorridente, ricordano figlie e nipoti, per non mettere in allarme i propri cari. Volevano ucciderlo i brigatisti rossi e i loro emuli di Prima linea, ma arrivarono prima i killer della `ndrangheta. Gli spararono in strada, mentre passeggiava da solo con il cane, una domenica sera. Era il 26 giugno 1983, trent`annii fa. La mafia calabrese era già sbarcata al Nord […].  Tre lustri più tardi, nel 1998, con la condanna definitiva di uno dei responsabili dell`omicidio, arrivò la confisca della cascina di San Sebastiano da Po in cui viveva l`anziano padre dello `ndranghetista, emigrato in Piemonte da Gioiosa Ionica negli anni Sessanta. Bisognava mandarlo via, ma «il nonno» resisteva. E una quota considerevole di popolazione locale era dalla sua parte. Preoccupata che il paese si riempisse di drogati, dopo che il «bene confiscato» era stato assegnato al Gruppo Abele di don Luigi Ciotti che si occupava di tossicodipendenti. Dal `98 dovettero passare altri dieci anni prima che l`associazione Libera potesse prendere possesso di quella costruzione che oggi si chiama Cascina Caccia e viene utilizzata per produrre miele e nocciole; E dimostrare coi fatti, combattendo pregiudizi e mentalità ostili, che dall`antimafia possono venire vantaggi per la collettività”. “Non è un caso – continua Bianconi –  che l`accidentata vicenda della Cascina Caccia sia tra le prime raccontate da Per il nostro bene che raccoglie storie e retroscena della confisca dei beni mafiosi e del loro reimpiego, sempre complicato nonostante la prima idea di colpire i boss nei loro interessi economici risalga alla legge Rognoni-Là Torre varata nel 1982 (e ci vollero un paio di omicidi eccellenti per farla approvare, del generale Dalla Chiesa e dello stesso La Torre)”. Rimaniamo in tema di beni confiscati con l’articolo de “Il Mattino” sulla storia di un castello confiscato ai boss.”L’anomalia è che il castello è un bene confiscato ad un capo camorra pentito da 21 anni: Pasquale Galasso. La camorra, il caso Struttura da sogno sul lago d`Orta ancora gestita dalla moglie dell`ex boss: sul bene grava un pignoramento Castello Galasso, la confisca «impossibile» Non solo burocrazìa: enti locali senza fondi per rilevare il maniero Gigi Di Fiore. La cerimonia, in una location da favola, si può organizzare con meno di 80 euro a invitato”.

 Avvenire. Gioco d’azzardo, fra mafie e Stato. “Si muove anche l’Europa”: maggiore tutela delle categorie vulnerabili, misure più dure contro l`illegalità, più controllo e monitoraggio, una più rigorosa regolamentazione sulla pubblicità responsabile, lotta contro riciclaggio del denaro e frodi sportive. Sono tra i punti essenziali di un rapporto sul settore del gioco d`azzardo ordine – rapporto preparato dall`eurodeputato britannico conservatore AshIey Fox – approvato ieri dal Parlamento Europeo a Strasburgo con 572 sì e 79 no. Un documento che ha per ora solo un`importanza di natura meramente politica..”.

La Repubblica.  Il quotidiano diretto da Ezio Mauro torna sul caso Orlandi, la scomparsa della cittadina vaticana Emanuela Orlandi, al centro di un giallo ancora irrisolto. Nuovi dettagli emergono dall’indagine in corso: “la Procura ha disposto esami per individuare 11 dna sulla ciocca di capelli color cenere che fu inviata nella primavera scorsa a Maria Antonietta Gregori, sorella di Mirella, e alla trasmissione “Chi l`ha visto?”. I risultati della perizia sono attesi per Natale, ma è interessante che nella stessa procedura il pm Simona Maisto e il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo dopo aver scelto come consulente il professor Emiliano Giardina dell`Università di Tor Vergata – abbiano inviato le convocazioni ai diversi indagati per la nomina di un loro consulente. Cosi alla fine di luglio sono stati contattati dai magistrati anche don Pietro Vergari, ex rettore della basilica di Sant`Apollinare, dove fino al giugno scorso era seppellito l`ex boss della banda della Magliana Renatino De Pedis, e il fotografo Marco Fassoni Accetti, che da mesi si è autoaccusato di complicità nel rapimento della giovane cittadina vaticana”. Una notizia riportata anche dal Corriere della Sera nell’articolo di Fabrizio Peronacci, giornalista – autore degli ultimi articoli d’inchiesta sul caso Orlandi.

Manifesto. Sono state rese note ieri le motivazioni della sentenza che ha condannato 7 poliziotti e prescritto altri 33 per i fatti del G8 di Genova e della scuola Diaz. «Violenze continue e diffuse, accantonato lo Stato di diritto»  scrivono i giudici. “Bolzaneto, detenuti senza mangiare e bere e con il divieto di andare in bagno, picchiati e umiliati in continuazione, costretti a inneggiare al fascismo. Se non è tortura questa, come altro definirla? In Italia però non si può dire, solo perché nei nostri vocabolari penali la parola non è contemplata, e allora la Corte di Cassazione, nel motivare la sentenza di condanna di sette agenti di polizia per le violenze nella caserma di Bolzaneto dopo il G8 del 2001, ha dovuto prodigarsi in sinonimi…”.

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