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Bari, la faida dei “giovani” boss

di Norma Ferrara il . Interviste e persone, Puglia

L’ultimo cadavere è stato ritrovato ieri nelle campagne di Bitonto, in provincia di Bari. Si tratterebbe di un uomo di 45 anni, di Modugno, con precedenti penali per droga ed estorsione. Alcuni giorni fa, invece, l’ennesima sparatoria nel capoluogo pugliese: a morire sotto i colpi d’arma da fuoco un boss del quartiere San Girolamo. Magistratura e forze dell’ordine sotto organico chiedono rinforzi: il ministro degli Interni Alfano promette più uomini ma a Bari non arriva nessuno. Con Stefano Fumarulo, responsabile dell’Agenzia per la lotta non repressiva alla criminalità organizzata del Comune di Bari, una analisi dell’escalation di violenza in cui vive la provincia pugliese.

 Sparatorie, feriti, omicidi e cadaveri nascosti nelle campagne cosa sta accadendo nel capoluogo pugliese?

Le dinamiche che portano a queste escalation di violenza per la mafia pugliese, in realtà, sono cicliche e a dirlo sono le statistiche. La novità, se così possiamo chiamarla, è una sorta di “scissione” che pare stia avvenendo all’interno della mafia pugliese, fra la nuova generazione e la vecchia. Da sempre la mafia barese ha coinvolto i minori, spesso quelli delle stesse “famiglie”,  nelle attività criminali. Dal 1995 ad oggi, in tutte le relazioni della magistratura, viene segnalato l’arruolamento dei giovani e da allora nulla è cambiato. Adesso pare che questi boss si siano “stancati” di essere subalterni e stiano portando avanti la propria linea. E’ una ipotesi, questa, ancora da verificare a livello investigativo.

Quali sono i settori in cui sono maggiormenti attivi i clan della mafia barese?

Oltre al traffico di droga, alla mafia barese una consistente fetta del patrimonio storico è sempre giunta dal contrabbando di sigarette, un fenomeno socialmente accettato e che per anni non è stato visto come un reato. Dopo l’operazione “Primavera” (in cui persero la vita due uomini della Guardia di Finanza a Brindisi) che segnò uno spartiacque per gli affari dei clan (di questa attività, secondo dati ufficiali, vivevano circa 3000 famiglie) i boss si dedicarono al traffico degli stupefacenti,  alle estorsioni e all’usura. Negli ultimi due anni, inoltre, riscontriamo in città un aumento vertiginoso e ingiustificato dei cosiddetti “Compro Oro” e delle sale di giochi d’azzardo.

Anche a Bari in clan diversificano gli investimenti?

Dapprima solo il clan Parisi aveva mostrato una mentalità imprenditoriale, oggi la situazione è cambiata. Ad esempio, negli ultimi anni, molte “famiglie” mafiose hanno capito che la ristorazione è un settore in cui investire con profitto o in alternativa, condizionare, imponendo forniture da altre imprese mafiose. Negli ultimi tempi a Bari arrivano voci di locali che sarebbero stati rilevati pagando direttamente in contanti e in un periodo di crisi economica questo lascia pochi dubbi su chi possa averli comprati.

Clan in continua crescita, criminale e economica. Come risponde lo Stato?

 Davanti all’avanzare di questa mafia che – lo ricordiamo – rispetto ad altre è relativamente giovane (circa 35 anni di attività) dalle prime relazioni istituzionali degli anni ’90 ad oggi, gli organici di magistratura e forze dell’ordine sono rimasti identici. E di gran lunga inferiori per numero a quelli presenti in altre città del Sud Italia che hanno pari densità criminale. Un fatto più volte denunciato dai vertici dei sindacati di polizia, dagli stessi procuratori che si sono avvicendati e che hanno chiesto rinforzi che non sono mai arrivati. Si tratta, va detto, di aumentare anche il personale ausiliario e dei dipendenti del tribunale, figure preziose senza i quali tutti i procedimenti si rallentano e non si riesce a dare continuità all’attività di magistrati e forze dell’ordine. L’ultima promessa non mantenuta è quella del ministro dell’Interno Angelino Alfano: è venuto a Bari e ha annunciato rinforzi. Ma nel capoluogo pugliese non è arrivato nessuno. E si rimane soli davanti a questa aggressione criminale al territorio e al tessuto sociale.

 Un territorio, quello pugliese, preda anche degli affari e della violenza criminale che arriva dall’estero…

Si, sul territorio sono attivi tre gruppi criminali esteri. Quello nigeriano, dedito alla gestione della prostituzione che condivide l’attività con quello rumeno e dell’Europa dell’Est: in sostanza si spartiscono la città  in aree geografiche. Infine, il gruppo georgiano principalmente impegnato nella ricettazione e che si è distinto per un uso plateale della violenza: l’ultimo omicidio in pieno centro a Bari era stato programmato a Dubai durante una riunione della mafia georgiana. Poichè in questi anni non ci sono stati scontri con i boss autoctoni si tende a pensare, probabilmente a ragione, che ci sia una sorta di “patto di non belligeranza” fra la mafia pugliese e quelle straniere.

I clan pugliesi sono altrettanto attivi  fuori dalla regione?

Secondo le indagini e i fatti di cronaca di cui siamo a conoscenza ci sono rapporti con il Montenegro risalenti al periodo del contrabbando, quindi con le organizzazioni criminali dell’Europa dell’Est. Per quel che riguarda il panorama criminale nazionale la posizione dei clan pugliesi è al momento subordinata e secondaria rispetto alla Camorra e alla ‘Ndrangheta. Con quest’ultima, leader nel traffico della cocaina e in contatti diretti con il gruppo del Los Zetas, entrano in affari per la gestione del narcotraffico.

Questa aggressione criminale in atto non è una questione nazionale, nonostante in numeri dei feriti e degli omicidi di questi ultimi mesi. Sottovalutazione o mancata compresione del fenomeno?

Diciamo, in generale, che negli ultimi anni ad una sempre maggiore capacità di crescita della mafia pugliese lo Stato ha risposto con le stesse forze in organico. E’ una battaglia impari. Servirebbero più uomini e nuove leve per poter rispondere sotto il profilo militare e investigativo. Inoltre, la mancata prevenzione, ad esempio in merito al coinvolgimento dei minori, è stato uno degli elementi che ha portato oggi a questa situazione.

Cosa può fare l’informazione locale e nazionale per contribuire a prendere coscienza di questa situazione?

A livello locale in questi anni i quotidiani hanno raccontato la cronaca nera e giudiziaria, sparatorie e omicidi, con un focus attento sull’aspetto che riguarda la sicurezza dei cittadini. Quello che è mancato è il racconto di cosa si sta facendo e di cosa è possibile fare per uscire da questa situazione. La consapevolezza da parte dell’opinione pubblica di un percorso di antimafia istituzionale (come quello dell’Agenzia che fra le altre attività, si occupa di formazione e educazione alla legalità nelle scuole e progetti con i detenuti in carcere) e sociale a Bari è scarsa o nulla. E questo è un elemento centrale anche per parlare a quelle famiglie “vicine” o contigue alle mafie e spiegare che un’altra realtà fuori dalla violenza criminale, fuori dalla clandestinità, è possibile.

 

 

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