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Ingroia: non c’è alcuna richiesta di rinvio a giudizio

Di Rino Giacalone il . Dai territori, Sicilia

 Le indagini per il delitto di Mauro Rostagno (26 settembre 1988) non sono ad un punto morto, è nota la circostanza che dopo che l’inchiesta è stata affidata alla squadra Mobile del capoluogo diretta dal vice questore Giuseppe Linares, è emersa dalle perizie mai fatte prima la cosidetta «firma di Cosa Nostra» sull’omicidio, ma non si può parlare di «processo imminente». «Allo stato – dice il pm della Dda Antonio Ingroia titolare delle indagini – non c’è una richiesta di rinvio a giudizio per Vincenzo Virga (il capo mafia unico indagato all’epoca della precedente proroga ndr), ho però chiesto al gip un’ulteriore proroga di altri sei mesi in quanto gli indizi in nostro possesso sono più robusti rispetto a 6 mesi addietro. Non voglio smorzare gli entusiasmi, escludo, tuttavia – osserva il pm – che si possa giungere, prima della fine dell’estate, a una richiesta di rinvio a giudizio».

 

Nel registro degli indagati sono finiti scritti altri nomi, sarebbero i killer, forse anche altri mandanti e insospettabili favoreggiatori. Nel tempo dall’indagine sono entrati e  usciti per faccende diverse il boss del Belice Francesco Messina Denaro, perchè deceduto, e l’ex editore di Rtc Puccio Bulgarella ex indagato per false dichiarazioni. Ed ancora due mafiosi mazaresi, Ciccio Messina “u muraturi” (trovato morto suicida anni addietro) e il capo della cosca Mariano Agate, quello che mandò a dire a Rostagno, durante la pausa di un processo, di «non continuare a dire minchiate». Erano i tempi del processo per il delitto del sindaco di Castelvetrano Lipari e Rostagno da Rtc raccontava le cronache di quelle udienze dalle quali uscivano i primi aspetti delle possibili commistioni tra Cosa Nostra e settori delle Istituzioni. Basta ricordare che un ufficiale dell’Arma mise liberi i possibili componenti di quel commando, c’era anche Nitto Santapaola il boss catanese, che quel giorno raccontò di essere stato nel trapanese, proveniendo da Catania per una battuta di caccia, giustificando così il risultato positivo del «guanto di paraffina».

 

Torniamo a Rostagno. Altro nome tra gli ex indagati quello di Francesco Cardella, l’ex guru della Saman, uscito però indenne. Cardella a proposito di soggetti equivoci però continua portarsi appresso mille sospetti.

Le parole del pm Antonio Ingroia ieri sono seguite a quelle dell’associazione Ciao Mauro che con Arciragazzi La Mongolfiera, Città Futura, Cgil, Assostampa, Basket Trapani, Saman, Libera, Agesci, Fin, Fip, ordini degli Architetti e dei Medici, MeetUp Grillo, Comuni di Erice e Valderice, tirando le somme alla petizione di 10 mila firme raccolte per sollecitare luce sul delitto, hanno ricordato che oltre questo impegno ce ne è anche un altro: quello che sicurezza e giustizia in questo territorio vengano messe in condizioni di funzionare e non solo per dare verità e giustizia al delitto di Rostagno. Un appello che è stato fatto da Andrea Castellano portavoce dei movimenti. «Trapani non è citta dormiente – ha evidenziato Margherita Asta di Libera – ma bisogna lavorare perchè non si torni nell’oblio».

In video sono intervenuti don Luigi Ciotti e Maddalena Rostagno, via telefono Rita Borsellino. Soddisfatta ma anche critica Maddalena Rostagno: «A questa verità ci si poteva arrivare anche prima».

 

«Io credo – racconta Maddalena – che Mauro amava molto Trapani e l’amava tanto da mettere in conto il rischio di morire per questa città, oggi grazie all’associazione “Ciao Mauro”  si torna a sollecitare quel risveglio delle coscienze inseguito da mio padre, concretamente vedo che si fanno molte cose, ci sono tante persone che oggi si battono contro la mafia».

La battaglia che si è accesa a Trapani non è solo quella per vedere risolto il «giallo» del delitto Rostagno. C’è anche altro, c’è forte preoccupazione che sicurezza e giustizia non siano più gestiti con il rispetto delle uguaglianze: «L’emergenza sicurezza – dice Margherita Asta – si può risolvere solo facendo scelte, una di quelle che chiediamo venga fatta è quella che la sicurezza venga gestita avendo rispetto di tutti, la legge deve oggi ancora di più essere uguale per tutti. Bisogna far si che la giustizia funzioni e funzioni per tutti, con più uguaglianze e meno privilegi, lasciando libera la magistratura di lavorare, senza vederla ora rossa ora di nera, una magistratura senza colori, dobbiamo smetterla di vederla continuamente schierata a secondo delle indagini che vengono fatte. L’emergenza sicurezza si affronta fornendo per esempio alla questura mezzi idonei». 

 

Quando fu avviata la raccolta delle firme per far si che non si fermassero le indagini sul delitto Rostagno, è stato anche di questo che il comitato «Ciao Mauro» e le altre associazioni si sono occupate, evidenziando alle Autorità, al capo dello Stato, che a Trapani il fenomeno mafioso venisse affrontato ancora meglio. I successi investigativi raccolti tanti e importanti, la cattura dei latitanti, frutto di un lavoro di intelligence delle forze dell’ordine, squadra Mobile in testa, in questi anni è dipeso sopratutto dal sacrificio di donne e uomini spesso lasciati senza strumenti e mezzi adeguati, per non parlare di risorse economiche.

 

Non è una circostanza di poco conto quella che sono un pugno di agenti e pochi magistrati della Dda ad occuparsi oggi delle indagini antimafia a Trapani dove a parole si riconosce essere la terra del più ricercato mafioso, Matteo Messina Denaro, dove c’è lo zoccolo duro di Cosa Nostra e vive la cosidetta «area grigia» di complicità. In questa «area» ci sono imprenditori e politici che fino ad ora sono riusciti a schivare anche alcuni colpi, riuscendo ad agire sul potere di Governo che al momento giusto (per i mafiosi) ha fatto «passi indietro», come quando nel 2003 trasferì da Trapani il prefetto Fulvio Sodano che si era posto di traverso rispetto ad alcune iniziative che anni dopo si scoprirono essere state concordate in quel tavolino dove sedevano mafiosi, politici, imprenditori e burocrati.

«Tra tutto questo – riprende Margherita Asta – non ci si rende conto della inadeguatezza delle norme sul carcere duro, sul 41 bis, sulla debolezza delle norme antiriciclaggio». 

 

Il ricordo di Rostagno conduce anche a parlare di informazione. «Rostagno – osserva ancora Margherita Asta – era un giornalista atipico perchè parlava alla gente». «C’è bisogno di sapere la verità su quella morte – dice a sua volta Don Luigi Ciotti – spesso sentiamo dire anche da persone amiche, che ci vogliono bene, di parlare meno di mafia per non fare una brutta pubblicità, ed allora chiediamo che venga fatta la migliore pubblicità adoperandosi perchè la mafia venga battuta ed eliminata, noi siamo qui per questo e allora ne parliamo di mafia, facendo nomi e cognomi come faceva Rostagno da quella tv, da Rtc. Rostagno andava dicendo che non vogliamo avere un posto qualsiasi in questa società ma avere una società dove valga la pena trovare un posto, giusto, aggiungo, vogliamo una società che abbia maggiore consapevolezze».

 

«La storia di Rostagno – aggiunge Rita Borsellino – è la storia della mafia che vive nel silenzio e pretende il silenzio, per questo lui divenne presto scomodo. Oggi rispondiamo rifiutando le rassegnazioni e l’invito al silenzio, chiedendo verità e giustizia per tutti, non ci può essere giustizia se non c’è tutta la verità, e colgo una nuova maturità, è bello vedere tanti cittadini impegnati come quelli che a Trapani hanno raccolto le 10 mila firme per non far dimenticare Rostagno e per affermare che la verità è cosa irrinunciabile, e spero proprio che il presidente Napolitano li riceva per incoraggiarli, perchè tanti passi in avanti sono stati  fatti ma ancora tanti bisogna farne».

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