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Mafia, intercettazioni, cronisti sotto scorta

Di Alberto Spampinato il . Progetti e iniziative

Si lamenta spesso la scomparsa dai nostri giornali delle inchieste
giornalistiche. Si rimpiangono quelle di una volta: ampie,
approfondite, a tutto campo, capaci di illuminare gli angoli bui, di
offrire il quadro d’insieme e di collegare tutti gli elementi; capaci
di indicare, alla politica, alla cultura, alla magistratura, aspetti
trascurati, responsabilità da chiarire, vie da battere; in grado di
osservare i fatti da un punto di vista estraneo ai giochi di interesse
e di potere. Insomma, dalla parte di un lettore, considerato vero
dominus, padrone del diritto di essere informato in modo completo,
tempestivo ed esauriente.

  Queste inchieste ideali, così perfette, non strumentali, sono
probabilmente un mito: il mito di un’età dell’oro del giornalismo forse
mai esistita. Ma c’è stata indubbiamente nel nostro Paese un’epoca in
cui i giornali pubblicavano grandi inchieste che non si leggono più;
inchieste che aiutavano la società a capire, a fare passi avanti, a
liberarsi da luoghi comuni e da percezioni distorte, a scoprirsi
diversa, e a volte con la coscienza sporca, su grandi temi:
l’emigrazione, lo sviluppo distorto, il sacco edilizio, il degrado
delle città, la jungla retributiva, la corruzione, il rispetto della
legalità, la lotta alla mafia…

  Perché queste inchieste non trovano più sui media lo spazio di una
volta? Perché perfino le notizie di cronaca sulla mafia faticano a
trovare lo spazio che avevano qualche anno fa? Perché il genere
“inchiesta”sopravvive solo in alcuni ambiti ristretti, delimitati,
sorvegliati come riserve indiane, come ad esempio Report di Milena
Gabanelli?  Certamente non perché non ci sono più giornalisti bravi e
coraggiosi come Giorgio Bocca, Enzo Forcella, Mario Pastore, Enzo Biagi
ed altri. Tanto è vero che alcune inchieste di alto livello ancora si
fanno, ma sempre più spesso non finiscono sui giornali, ma in libri,
documentari, al cinema. Allora è giusto fermarsi a riflettere e
chiedersi cosa sono diventati i quotidiani, i settimanali,
l’informazione giornalistica, nell’era del pluralismo reso possibile
più di prima dalla rivoluzione digitale, nell’era delle mille
televisioni locali, dell’informazione globale, delle nuove tecnologie
informatiche, delle reti interconnesse…

  Questi sono i temi impliciti del convegno su “Mafia, intercettazioni, cronisti sotto scorta” che si svolgerà venerdì prossimo 11 luglio alle 10:30 a Palermo
(Villa Zito, via Libertà 52)  per iniziativa del Centro Studi Pio La
Torre, della Fnsi e dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti. Il convegno
è già in sé stesso un evento, perché è la prima volta che le
organizzazioni più rappresentative dei giornalisti si fanno promotori
di una iniziativa specifica sul tema non nuovo e sempre più
drammaticamente attuale dei giornalisti minacciati dalla mafia. Il
titolo indica esplicitamente questa tematica, il sottotitolo indica una
proposta che sarà trattata dai relatori: la nascita di un’antimafia
dell’informazione, di un osservatorio alto, indipendente che si ponga
l’obiettivo di indagare una situazione di rischio drammatica e di grave
oscuramento dell’informazione; tema finora trascurato se non proprio
rimosso dalla coscienza collettiva, di individuare cause e problemi. E’
importante che si cominci a parlarne , per cercare di porre rimedio,
per sostenere le iniziative di chi crede nella funzione sociale
insostituibile dell’informazione di cronaca in una società democratica,
dove i cittadini hanno il diritto di essere informati dai media in modo
indipendente, tempestivo, completo, plurale.

   Gli interrogativi a cui rispondere sono tanti. Vediamone alcuni.

Come rendere più sicuro il lavoro di chi raccoglie informazioni di
prima linea sulla criminalità organizzata? Quanto contano sull’attuale
condizione di informazione incompleta gli assetti editoriali, la
presenza di editori sempre più “impuri”, titolari di forti interessi
nell’economia e nella politica? Quanto conta una concezione forse
troppo elastica del requisito della completezza dell’informazione e
degli obblighi che essa comporta?

Quanto influisce un finanziamento pubblico a pioggia, erogato a
prescindere dall’imparzialità  e dalla completezza dell’informazione
prodotta? Quanto contano leggi e norme sulla libertà di stampa che non
prevedono l’accesso diretto del  giornalista alle fonti documentali e
agli atti giudiziari, un diritto che i nuovi progetti di legge del
governo Berlusconi in materia di intercettazioni e di limitazioni della
cronaca giudiziaria rende ancor più ridotto? Quanto influisce il potere
economico sulla libertà di stampa sancita dalla Costituzione? Su questa
tematica il convegno di Palermo proporrà alcune risposte e  spunti di
analisi e di riflessione, partendo dagli incisivi saggi pubblicati
sull’argomento dalla rivista del Mulino “Problemi dell’Informazione”.

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