Beatificazione di don Puglisi: il riscatto di Brancaccio
Lo Zio Tommaso è un parcheggiatore abusivo di Palermo. Vive a Brancaccio, in via Azolino Hazon. Quella strada famosa per i magazzini dove Cosa Nostra confezionava la droga che poi andava in tutti i mercati del mondo. Ha diversi parenti al carcere Ucciardone e prova a sbarcare il lunario come può. Oggi è più felice che mai. Don Puglisi è beato. “Lo sapevo che era una brava persona. Lo dicevano tutti nel quartiere. Ed aveva ragione mia moglie che mi spingeva ad andare a San Gaetano a trovarlo. Io non potevo, non me lo consentivano (!)”.
“Era un bravo cristiano, quel Parrino. Era proprio bravo, e poi rideva sempre”. E mentre lo dice, il parcheggiatore abusivo, si stropiccia gli occhi per la commozione. “Abbiamo un Santo (!) a Brancaccio, se ne rende conto?” Ecco, dalle parole dello Zio Tommaso abbiamo capito che la beatificazione di Padre Pino Puglisi ha un valore religioso ed insieme civico e sociale. E’ il riscatto di un intero quartiere, di un’intera comunità che vuole liberarsi dalla vergogna della mafia e della corruzione. E’ il segno che si cominciano ad smontare le presunte certezze intorno alle quali si cementa il consenso a quella stessa organizzazione criminale che, a detta di tanti, continua a fungere da ammortizzatore sociale dispensando ordine, sicurezza e posti di lavoro. Una rivoluzione culturale impensabile fino a poco tempo fa.
Don Pino, insomma, è un emblema di come questa città può, davvero, voltare pagina. Se la Chiesa Cattolica a 20 anni di distanza ha avuto il coraggio ed insieme la forza di proclamarlo beato è il segno che ormai bisogna scegliere da che parte stare. Non ci sono scusanti né attenuanti. E’ iniziato il tempo della radicalità dell’impegno per la legalità e la giustizia sociale. O dentro o fuori. O con la mafia o contro la mafia. Uno dei ricordi più teneri di Don Pino è quello che Gregorio Porcaro, suo diacono all’epoca del suo ufficio pastorale a Brancaccio, fa del suo armadio in canonica che era sempre pieno di cibo, abiti e giocattoli che dispensava ai parrocchiani. A suo modo 3P aveva capito che doveva liberare la sua gente dal bisogno e dalla necessità. Aveva inteso che ciascuno aveva diritto alla felicità e si sentiva obbligato in prima persona nel donare un pezzo del proprio impegno quotidiano per gli altri.
Quell’immagine è rappresentativa del suo profondo senso di umanità ed insieme di responsabilità civica. Don Pino disse agli esecutori materiali del suo omicidio che se l’aspettava. Non si nascose e non scappò alla morte. L’affrontò come si affronta una difficoltà. A 20 anni da quel tragico 15 settembre 1993 mi viene da chiedergli se immaginava centomila persone assiepate sul prato del Foro Italico per festeggiare la sua beatificazione o se immaginava che su un bene confiscato nella sua Brancaccio potesse sorgere una Chiesa a lui dedicata. Lo conosciamo bene Don Pino e siamo sicuri che ovunque egli sia avrà un sorriso sornione e le maniche alzate sulle braccia, certamente al lavoro e operoso come sempre. Ci risponderà ancora una volta con l’ottimismo della volontà che lo caratterizza che, in fin dei conti, se l’aspettava e ci spingerà a fare meglio e di più. Ci dirà che bisogna stare a fianco degli ultimi e che la strada per il riscatto di questa terra è ancora lunga.
Grazie Parrì… stacci bene.
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