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Sciopero della fame al Cie di Ponte Galeria a Roma

di Bruna Iacopino il . L'analisi

“Noi stiamo motivando il nostro sciopero della fame ora voi motivate perché ‘ noi stiamo scontando una condanna senza aver commesso nessun reato…” Questo è uno dei passaggi contenuti all’interno della lettera divulgata dalla campagna LasciateCientare (1 maggio) e sottoscritta da 60 trattenuti del braccio maschile del Cie di Ponte Galeria, che proprio ieri hanno deciso di intraprendere uno sciopero della fame. La decisione, spiegano sempre nel testo, sarebbe stata scatenata dalla somministrazione non richiesta di un mix di psicofarmaci ad uno dei reclusi, che avrebbe avuto però gravi conseguenze sul suo stato di salute.

Il rifiuto del cibo, scelto come forma di protesta pacifica, affermano, verrà portato avanti fino a quando non verranno esaurite una serie di richieste, che vengono enucleate per singoli punti come di seguito riportato:

1  Che le procedure siano più rapide

2 che il servizio sanitario sia più efficiente

3 che non venga usata più  violenza ne Psichica ne fisica contro di noi ( giorni fa e’ stata somministrata una puntata di psicofarmaci ad un ospite contro la sua volonta che ha avuto una reazione dannosa alla sua salute provocandogli gravi danni, ancora oggi non può parlare

4 che chi chiede l’espatrio gli venga accolta la sua richiesta il più presto possibile senza trattenimento di lungo periodo

5 che le notifiche vengano tradotte nella lingua di origine

6 che le visite dell’esterno vengano facilitate senza tanta burocrazia

7 che i tossicodipendenti vengano accolti in strutture adatte alle loro esigenze di recupero

8 che chiunque abbia uno o più carichi pendenti possa presenziare al suo processo in modo che non venga condannato in contumacia

9 per queste e molte altre motivazioni centri come quelli di Ponte Galeria schiacciano la dignita’ delle persone e andrebbero chiusi per sempre

 

Richieste che non hanno niente di insensato o eccessivo e che in molti casi dovrebbero semplicemente essere rispondenti al normale funzionamento di qualsiasi centro, come quando si chiede che le notifiche vengano tradotte nella lingua di origine, ma che dicono invece molto di come diritti elementari continuino ad essere palesemente violati.

Non è del resto la prima volta che missive del genere con annesse richieste riescono a far breccia nel silenzio assordante che circonda i centri di identificazione ed espulsione e a far emergere il malessere profondo di chi, appunto, si trova privato della propria libertà “senza aver commesso alcun reato”, malessere, che troppe volte sfocia in forme di proteste che pacifiche non lo sono affatto ( distruzione di suppellettili, incendi, atti gravi di autolesionismo…).

Ecco per esempio cosa scriveva nel luglio del 2011 un gruppo di detenuti sempre a Ponte Galeria, quando i Cie erano stati vietati ai mezzi di informazione: “ Le nostre richieste sono: vogliamo che tutti i cittadini italiani sentano la nostra voce, che vicino a Roma ci sono 250 persone che soffrono di brutto, tutti giovani, donne e uomini, gente che è venuta qua in Italia perchè sogna la libertà, la democrazia. Perchè non abbiamo vissuto la democrazia, abbiamo sentito quella parola ma non l’abbiamo mai vissuta. Noi chiediamo l’aiuto della gente fuori, aiutateci e dovete capire che qua c’è gente che non ha fatto male a nessuno e che sta soffrendo. Noi soffriamo già 6 mesi, figurati 18 mesi. Se passa la legge qui c’è gente che fa la corda perchè già così, con i sei mesi, c’è gente che si è tagliata le mani, figurati con diciotto mesi, la gente si ammazza, la gente esce fuori di testa. Chiediamo che la gente là fuori, tutti, anche i partiti politici, faccia di tutto per non far passare quella legge. Chiediamo che la gente fuori, ogni giovedì mattina, vada a vedere a Fiumicino le persone portate via con la forza, che vada a fermare il massacro”

Chissà se i detenuti attuali sono venuti a conoscenza del Documento programmatico ( aspramente criticato da numerose associazioni e comitati) commissionato dal precedente Ministero dell’Interno soprattutto per quanto attiene le misure da adottare nei confronti di trattenuti definiti “dall’indole non pacifica”?chissà se hanno letto delle “celle di isolamento” e delle aggravanti per chi commette reati dentro i Cie…

E chissà cosa ne pensa l’attuale Ministro dell’Interno…

 

Documento a cura dell’ASGI

Documento integrale

Bruna Iacopino

“Lei non è una giornalista è un'attivista”... a distanza di qualche anno quello che voleva essere un insulto è in realtà la mia presentazione, se attivista significa cercare di raccontare mondi marginali, facendolo “dai margini”. Il mio “attivismo” nel mondo dell'informazione inizia circa 10 anni fa in seguito all'incontro con l'associazione Articolo21 e da allora non si è più fermato. Attualmente scrivo per Articolo21, Confronti e I Siciliani giovani. I temi di cui mi occupo più di frequente? Immigrazione, carcere, rom. Perchè sono convinta che è proprio partendo dal racconto degli ultimi che si riesce a fare una buona informazione ed è solo raccontando le storie dimenticate che si ristabilisce un criterio di giustizia ed equità sociale. Quello che fa ogni giorno Liberainformazione.

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