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Cronache dalla Sicilia 1 – Trapani

Di Rino Giacalone il . Dai territori, Sicilia

Un mafioso trapanese intercettato decenni
addietro spiegava la strategia della “famiglia” in un modo
semplice, “un fare e un fare fari” (non fare e non lasciar
fare), che era comunque un modo comunque per imporre il potere dei «mammasantissima».
Oggi la mafia trapanese invece ha scoperto la possibilità di potere
fare tanto, accedendo alla contribuzione pubblica, gestendo i progetti
finanziati con le 488, controllando le imprese, diventando essa stessa
impresa, anche di natura commerciale se si pensa al maxi sequestro dei
Despar in mano a Pino Grigoli «socio» del latitante Matteo Messina
Denaro.

Cosa Nostra nel trapanese è viva e vive
di rendita per avere controllato più di tre quarti del mercato del
cemento, buona parte di quello delle forniture, sabbia e ferro, non
ha avuto bisogno di minacciare imprenditori e danneggiare imprese e
cantieri per chiedere il racket, gli estorsori, raccontano gli atti
giudiziari e quei pochi imprenditori che hanno collaborato, si sono
presentati come rappresentanti di quelle aziende controllate dalla mafia,
proponendo servizi e forniture, e anche fatture giusto quelle per scaricarsi
le spese per la tassa ai boss. Senza che nessuno sapesse nulla in provincia
di Trapani ci sono stati imprenditori sequestrati, finiti davanti ai
capi mafia, per essere convinti a non dire di «no». Imprenditori che
dal silenzio non sono mai usciti.

Queste sono le cronache più recenti
di come il fenomeno mafioso in provincia di Trapani «continua a fare
da sistema catalizzante» ha raccontato il vice questore e capo della
squadra Mobile Giuseppe Linares intervenendo ad un convegno sullo sviluppo
del territorio. La Trapani del 2008 si presenta diversa dalla Trapani
che 20 anni addietro veniva raccontata da Mauro Rostagno dagli schermi
di Rtc, quando mandava le telecamere per far vedere poi in tv i sorci
che uscivano dalle fognature sotto i bei palazzi del centro storico,
o la monnezza lasciata per giorni nei cassonetti, o ancora l’acqua che
arrivava pochi giorni al mese. Oggi la città è cambiata, per dire
di alcune cose, c’è il porto che si è fatto più grande, la litoranea
è stata riscoperta, alcuni lavori hanno restituito spiagge dimenticate
fin sotto le antiche mura della città, sono stati restituiti ai cittadini
i bastioni costruiti nei secoli addietro per difendere Trapani dagli
attacchi che protevano arrivare dal mare, c’è un aeroporto super moderno,
e una fantastica funivia che collega la vetta di Erice alla valle, l’immondizia
si raccoglie, l’asfalto nelle strade c’è, anche se le buche quelle
sembra non possano essere del tutto evitate. Ma dietro gli abbellimenti,
dietro i tesori monumentali ed ambientali risorti suscitando ammirazione
e piacere, Cosa Nostra ci ha guadagnato per colpa di imprese per nulla
virtuose, quelle che ancora si mettono a disposizione per assumere sub-
appalti occulti: dalla loro parte c’è il rischio non eccessivo, se
scoperti a fare sub appalti illeciti vengono puniti con una ammenda,
il codice è garantista anche in questo.

Una realtà tra luci ed ombre quella
di Trapani. Da qualche anno siamo difronte ad un nuovo modo di leggerla,
il lavoro di chi combatte la mafia non resta non considerato, è commentato
in modo positivo, anni addietro era ben altro l’approccio, si negava
l’esistenza di Cosa Nostra, oggi questo non succede più, ma non c’è
piena consapevolezza in vasti settori della società (altra cosa i silenzi
della politica che sembrano rientrare nelle strategie che si vogliono
combattere) che i mafiosi non sono solo quelli «ritualmente affiliati»,
i «punciuti».

La nuova mafia, almeno quella di Trapani, 
raccontata dagli investigatori come il vice questore Giuseppe Linares,
non è mica tanto sommersa, è quella che ha gli imprenditori che dal
carcere continuano a dirigere le imprese o anche a dirottare pacchetti
di voti alle elezioni. Anche alle ultime. A Trapani ci sono esempi positivi,
gli imprenditori che hanno deciso di collaborare, ma anche quelli negativi,
gli stessi imprenditori che dicono di essere stati tagliati fuori dai
loro colleghi: quelli che hanno denunciato hanno conosciuto l’espulsione
dalla categoria, è successo a loro quello che Confindustria aveva promesso
dovesse accadere ai propri associati collusi e a disposizione.

«Il sistema continua ad esercitare una
funzione di catalizzatore sociale» ha spiegato Linares all’attento
uditorio nel dibattito moderato dal giornalista Rai Vincenzo Morgante.
C’è ancora il super boss Messina Denaro che si nasconde ma che tiene
bene in mano le fila di molte cose, si interessa alla politica, per
esempio al «nuovo corso dell’Udc», manda «pizzini» e scrive: «D’accordo
su tutto tranne su De Santis» che sembra essere il cognome di un politico
proprio dell’Udc trapanese. C’è poi chi si fa vedere, non sta nascosto
e dalle sommità di qualche collina trapanese fa il «puparo» oppure
il  «tronista», per dirla in termini da reality. Uno di quelli
che non sta nascosto è anche l’ex deputato regionale della Dc Pino
Giammarinaro, ex sorvegliato speciale, che nella sua Salemi sta alle
spalle di quello che viene dato per certo eletto sindaco, il critico
Vittorio Sgarbi.

E allora a fronte della capacità della
mafia di continuare ad infiltrarsi nel tessuto imprenditoriale ed economico,
e di condizionare la politica, dobbiamo rinunciare a far belle le città?
«Le operazioni sono la cura del male, poi serve la profilassi – ha
affermato Linares –  la nuova mentalità con la quale si guarda
alle operazioni antimafia, la presa di coscienza che viene da semplici
cittadini ed imprese, deve tradursi in strumenti, serve un adeguamento
del sistema normativo per aiutare questo processo virtuoso».

È storia di questi giorni l’operazione
«Hiram» dei Carabinieri, quella sugli intrecci tra mafia e massonersia:
se fosse stata in vigore la nuova norma sulle intercettazioni, certe
«chiaccherate» non sarebbero state scoperte, perchè l’imprenditore
di Mazara Michele Accomando, scoperto essere mafioso e massone, che
si occupava di controllare i processi di alcuni boss in Cassazione,
come quelli appartenenti alla famiglia di donMariano Agate, finì indagato
per turbativa d’asta, reato che dovrebbe restare fuori dal novero di
quelli per i quali una qualsiasi procura può disporre intercettazioni.

Servono solo le leggi? «Serve pure –
ha continuato il dirigente della Mobile di Trapani – che gli imprenditori
che vogliono denunciare e uscire fuori dal sistema lo facciano, anche
quelli che hanno sbagliato, anche a loro noi tendiamo la nostra mano».

E il Parlamento come dovrebbe legiferare?
Varando strumenti a costo zero, prevedendo per esempio le possibilità
che nel fare le denunce non sia il singolo imprenditore a farsi avanti,
ma prevedendo le denunce colettive, che possono essere presentate dalle
associazioni antiracket, poi saranno le indagini a fare il resto, ma
servono leggi che «incentivino il cambiamento – ha sottolineato il
vice questore Linares, servono leggi che aiutino chi indaga e chi vuole
ribellarsi alla mafia».

Per capirci. Norme che impediscano ai
mafiosi di restare o continuare a diventare imprenditori, riempiendo
l'”area grigia” di Cosa Nostra.

Nella Trapani del 2008 c’è l’illegalità
che continua a porsi dinanzi a ogni ipotesi di sviluppo. Fino a quando
ci sarà l’illegalità che condizionerà il mercato, risorse pubbliche
per venire incontro alle richieste lecite e legittime dei cittadini
non ce ne potranno essere. E la dimostrazione di ciò può essere tratta
dalla storia di un appalto che la magistratura ha scoperto essere stato
controllato dalla mafia a Trapani. Uno di quei lavori per allestire
la città nel 2005 ad accogliere le pre gare di Coppa America. Una strada
al porto rifatta, allargata e riasfaltata dove però periodicamente,
il manto stradale si abbassa e si aprono delle bucghe. L’impresa ha
dovuto accettare di rifornirsi presso certe aziende, ha avuto però
garantito un risparmio, perchè la qualità non era delle migliori.
L’imprenditore che ha accettato il dialogo con i boss ha avuto la sua
convenienza, l’ente pubblico che non ha vigilato continua a pagare soldi
per cercare di sistemare ciò che non è stato fatto a regola d’arte,
impegnando ovviamente altre risorse pubbliche che perciò non possono
essere destinate ad altro.

E la collettività è sempre davvero
attenta? Un’altra storia l’ha raccontata in occasione dello stesso dibattito
l’imprenditore palermitano Vincenzo Conticello. Lui da quando ha denunciato
e accusato in Tribunale a Palermo gli estortori ha perduto 50 clienti
facoltosi, «ma ne ho ritrovato tanti altri che più che denaro mi hanno
permesso di guadagnare in solidarietà. A tutti dico però che è possibile
pensare allo sviluppo senza mafia ed estorsioni».

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