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Un prestanome gestiva suo resort

di Rino Giacalone il . Senza categoria

Condannato per mafia, sottoposto a sorveglianza speciale, inserito nei fascicoli di indagine sulla “pericolosa” mafia castellammarese, insomma avrebbe dovuto vivere con la consapevolezza di essere sotto controllo, ma in effetti Antonino Palmeri, 64 anni, si sarebbe fatto un baffo di tutto quello che si poteva muovere attorno a lui a proposito di attenzione da parte delle forze dell’ordine. Anzi. Sarebbe riuscito a farsi circondare da una sorta di cortina che lui pensava fosse inviolabile, utilizzando prestanomi di fatto avava continuato a gestire il suo impero imprenditoriale e sarebbe anche riuscito ad accrescere le sue ricchezze. Ma tutto questo è stato sventato e scoperto dalle Fiamme Gialle che hanno provato alla magistratura come Palmeri era rimasto perfettamente in auge.

Il sequestro riguarda un residence turistico “Grotticelli”, tredici villette con piscina, davanti a queste uno dei più belli panorami della costa tra Castellammare e il borgo di Scopello, valore sei milioni di euro. Il sequestro è stato disposto dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani, su richiesta della procura della Repubblica di Palermo. A condurre le indagini è stato il Gico (Gruppo investigazione sulla criminalità organizzata della Finanza) assieme al nucleo di Polizia tributaria delle Fiamme Gialle. Oltre al resort i sigilli sono stati apposti ad alcune attività commerciali, nonché a Palmeri sono stati bloccati un paio di conti correnti bancari. Palmeri è stato condannato nel 1998 per associazione di stampo mafioso e per danneggiamento aggravato, nel 1999 è stato sottoposto alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno, per la durata di 3 anni e sei mesi.

Usava i propri figli come prestanome, loro risultano intestari di operazioni immobiliari e finanziarie, ma secondo la Finanza il regista era e rimaneva soltanto l’imprenditore condannato per mafia, schemi non nuovi riguardanti appartenenti alla criminalità mafiosa che usa sempre di più i patrimoni come “armi” per segnare la presenza “dominante” sul territorio. I figli firmavano le operazioni bancarie, ma come la Guardia di Finanza è riuscita a documentare sulla “scena” degli investimenti, nella gestione del patrimonio era sempre il loro genitore a comparire. In aggiunta alla diretta riconducibilità del patrimonio all’imprenditore, le indagini delle Fiamme Gialle hanno fatto emergere la evidente sproporzione fra l’entità degli investimenti economico – finanziari nel tempo dallo stesso effettuati ed i redditi ufficialmente percepiti dal medesimo imprenditore e dai suoi figli, tale da far ritenere che il patrimonio ora posto in sequestro sia stato conseguito grazie al reimpiego di proventi illeciti.

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