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Troppi strappi riducono la giustizia a brandelli

Di Stefano Fantino il . Interviste e persone

Dottor Caselli, lo scontro
la Magistratura e Governo sembra farsi più serrato in questi giorni,
dopo i recenti disegni di legge e dopo gli attacchi del premier alla
magistratura. Cosa  ne pensa? 

Sono molto preoccupato perchè
si dice di voler affrontare certi problemi e poi all’interno delle risposte
presentate  si inseriscono all’improvviso alcuni emendamenti
riguardanti problematiche diverse che poco c’entrano con l’originale.
Nel disegno di legge sulla sicurezza ad esempio è stato inserito un
emendamento che va contro la sicurezza dei cittadini,  in quanto
causerà la sospensione di migliaia di  processi anche per fatti
assai gravi (sequestri di persona, estorsioni, rapine, furti in appartamento,
scippi, stupri…..). 

E come recepisce l’”ingerenza”
politica nella sfera della giustizia? 

A parte quel che sostengono
molti commentatori, e cioè che il tutto è finalizzato a sospendere
un processo che interessa direttamente il premier, va detto che 
bloccare un’infinità di processi con decreto governativo, senza passare
per il CSM e senza lasciare ai magistrati di valutare caso per caso
come sarebbe necessario ed equo, costituisce un precedente pericoloso.
E poi sono ripresi gli attacchi alla magistratura da parte della classe
politica, l’ennesimo capitolo di una storia infinita, di un  tentativo
di delegittimare la funzione giudiziaria. Un fatto che accade solamente
in Italia. 

Alcuni emendamenti  prevedono
strappi anche netti, magari nel tessuto costituzionale… 

Un caso è quello della
“monnezza” e della creazione di una procura e di un giudice speciale.
Queste situazioni sono in contrasto con la Costituzione (articolo 102
) e le emergenze non vanno assolutamente affrontate con degli strappi
alla legalità costituzionale. Le cito quello che nel 1900 disse un
giurista, Gaetano Mosca, in una prolusione intitolata “Che cosa è
la mafia?” : «E’ sperabile che le nostre classi dirigenti, edotte
dall’esperienza, comprenderanno finalmente che, quando si permette
uno strappo alla giustizia ed alla legalità, non è possibile prevedere
dove lo strappo andrà a fermarsi e che può eziandio accadere che esso
si allarghi tanto da ridurre a brandelli tutto il senso morale di un
popolo civile». 

Alcune proposte, invece
minano alla base non solo dei diritti fondamentali come la libertà
di stampa, ma anche lo svolgimento delle mansioni della magistratura.
Penso alle intercettazioni. 

La limitazione della durata
delle intercettazioni telefoniche a soli tre mesi significa un grave
depotenziamento di uno strumento spesso decisivo per le indagini, con
ricadute negative – anche qui – sulla sicurezza dei cittadini. E’
poi assurdo  che se vengono disposte delle intercettazioni per
una rapina, poniamo, non si possa utilizzare quanto emerge dalle intercettazioni
se non per perseguire il reato per il quale sono state autorizzate.
In sostanza, se io dispongo delle intercettazioni telefoniche per una
rapina e dai nastri emergono reati gravi, magari omicidi o stragi, le
stesse intercettazioni non valgono perchè sono utili solo per perseguire
il reato di rapina per il quale erano state disposte. Un fatto assurdo.
Senza contare, ma su questo argomento ci sono ancora dei dubbi, alcune
drastiche riduzioni  degli spazi relativi alle intercettazioni
ambientali, con danni anche per le indagini su reati di mafia e terrorismo. 

All’interno dei confini
di una giustizia come quella italiana, cosa potrebbe significare la
penalizzazione di un reato come l’immigrazione clandestina?

Io penso che  le migrazioni
siano fenomeni epocali. Di dimensioni così vaste che pretendere di
governarle con  misure penali è un controsenso, essendo le stesse
palesemente inadeguate. Inoltre sono da perseguire i “profili criminali”
della migrazione, non la migrazione in sé. Una giustizia cui sia affidato 
questo fine, non può reggere il carico, con conseguente implosione
della giustizia stessa  e delle carceri.  Dunque ritengo che
il reato  sarebbe  risposta prettamente di facciata, mentre
i problemi sono altri. 

Quindi un problema sicurezza
che sebbene presente viene messo in luce come se fosse l’unico? 

Di fianco alla necessità
di sicurezza, che è un diritto di tutti, vi sono altri drammatici problemi
come quello del     costo della vita, dei salari
inadeguati, dell’Alitalia, del dibattito sul ritorno al nucleare, delle
condanne della Corte Europea per quello che concerne le frequenze televisive,
del lavoro che non c’è o è drammaticamente pericoloso. Ma la sicurezza
è diventata l’unico vero problema, e si arriva persino alla 
militarizzazione di quartiere, tirando in ballo i “Vespri Siciliani” 
e non ricordando che all’epoca si era davanti a una situazione diversa,
a due stragi, a un attacco eversivo  allo Stato. 

Anche il problema mafia.
Cosa si potrebbe fare di più dal punto di vista politico? Pensa che
sia stata interessante l’impostazione data all’ultima commissione antimafia?  

Penso che l’impostazione
sia corretta e che la relazione prodotta sia pregevole e importante.
Quanto alla mafia è ormai acclarato che il nodo da sciogliere sia quello
tra mafia e politica, cosa apparsa sempre più chiaramente dopo il periodo
stragista. 

Cosa ricorda della sua
esperienza a Palermo? 

Sono stato 7 anni a capo
della Procura di Palermo. Un periodo molto intenso. Tantissimi 
arresti di latitanti del calibro di Riina, Brusca, Aglieri, Graviano,
Bagarella. 10 mila miliardi di vecchie lire il valore dei beni 
sequestrati, 650 ergastoli comminati. I primi processi “eccellenti”. 

Di quello, però, in
tanti italiani permane una visione
distorta. Come la sentenza sul caso Andreotti, erroneamente, conosciuta
come assoluzione… 

Questo è uno scandalo,
una vergogna. Alla maggioranza della popolazione è stata nascosta la
sentenza, dove fino al 1980 viene riconosciuta   la frequentazione,
penalmente rilevante, di Andreotti con Cosa Nostra, sebbene il senatore
a vita sia stato prescritto. Cancellare e stravolgere la verità, parlando
di assoluzione, è grave anche da parte di molta informazione. La gravità
sta soprattutto nel fatto di legittimare, in questo modo, un  tipo di
politica che giustifica i rapporti e le connivenze con la criminalità
organizzata; significa andare oltre alla linea di demarcazione tra lecito
e illecito. 

Ora a Torino, il 30 marzo,
la nomina a Procuratore Capo, dopo essere
stato Procuratore Generale. Come vive questa fase della sua vita professionale? 

Volendo scherzarci sopra,
ai Procuratori generali spetta l’appellativo di Eccellenza, quindi dal
punto di vista dei titoli sono… sceso. Significa però  che dovrò
rimettermi a “pedalare”, in un ufficio operativo. E questo lo faccio
molto volentieri. 

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