I soldi dei casalesi a San Marino: la lezione di Falcone e Borsellino
E’ un’ossessione. Uno spasmo. Una coazione a ripetere. Un bisogno compulsivo criminale: Pulire i soldi. I clan con attività sicure riescono a rastrellare milioni e milioni di euro. Non è questo il problema. Ecco la loro fissazione quella dei livelli di vertice è mettere il denaro sporco in lavatrice. Nascondere il bottino e farne sparire le tracce. Chi si occupa di fatti di camorre e in generale di mafie da tempo l’ha intuito. A sostenere il potere criminale c’è una struttura economica importante e sofisticata che affonda le proprie radici nelle zone grigie. Il recente blitz di San Marino è uno spaccato importante. Un inedito mosaico che traccia la maturità e l’evoluzione delle cosche e clan. C’era un canale che consentiva, infatti, al clan dei casalesi di riciclare i soldi “guadagnati” illegalmente attraverso operazioni finanziarie con società di capitali di San Marino. Non era un sospetto ma una realtà ben chiara da tempo: a San Marino si parlava casertano. I carabinieri di Caserta hanno scoperto e smantellato una struttura che aveva il compiuto di occultare capitali di provenienza criminale. In manette sono finite 24 presunti affiliati al clan. Beni per due milioni di euro sono stati sequestrati. L’operazione – denominata “Titano” – è scattata contemporaneamente in Campania, Marche ed Emilia Romagna. I carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta hanno eseguito ordinanze di custodia cautelare in carcere per associazione a delinquere di tipo mafioso e riciclaggio, con l’aggravante del metodo mafioso. I provvedimenti sono state emessi al termine di indagini coordinate dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli. L’inchiesta è stata condotta dai pm antimafia Cesare Sirignano, Giovanni Conzo, Antonello Ardituro, Alessandro D’Alessio, Maurizio Giordano, è coordinata dal procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho, fondatore e memoria storica della lotta ai casalesi, insediatosi in queste ore a Reggio Calabria come nuovo capo della Procura della Repubblica. Durante le indagini, oltre al canale per il riciclaggio di denaro sporco a San Marino, i militari dell’Arma hanno ricostruito le manovre del clan per la creazione di una struttura satellite operativa nelle Marche e in Emilia Romagna per la gestione degli affari illeciti nelle due regioni. Fra i beni sequestrati una Ferrari modello Scaglietti, una coupè prodotta dalla casa di Maranello dal 2004 al 2011. Insomma Gomorra poteva contare su amicizie importanti anche a San Marino dove il braccio finanziario del clan Schiavone investiva riciclando il denaro attraverso imprenditori, professionisti, persino un notaio compiacente. Tra i destinatari dei provvedimenti, esponenti di spicco dei gruppi Schiavone e Venosa – centrali nel cartello criminale dei casalesi – quest’ultimo scompaginato da recenti collaborazioni giudiziarie. Al centro della rete di complicità individuata dalla Procura nel Nord Italia c’è un “carneade” del riciclaggio, l’indagato Franco Agostinelli che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, era l’uomo che si attivava serratamente per “radicare” il clan dei Casalesi tra la repubblica di San Marino e le città della riviera. In particolare sono emerse, tra Riccione e Rimini, estorsioni e vari episodi di intimidazione ai danni di aziende del settore tessile oppure impegnate nell’indotto della moda del made in Italy. Quest’inchiesta produce, tra l’altro, anche la prima grave accusa per Carmine Schiavone, il rampollo ventenne del boss Francesco, detto Sandokan, recentemente già arrestato per estorsione ed oggi per la prima volta sotto accusa con l’ipotesi di associazione mafiosa. Tra i forzieri individuati per le operazioni finanziarie sospette, la società Fincapital, finita sotto la lente degli investigatori che hanno sequestrato anche alcune villette e altri beni immobili, oltre ad auto di lusso. Nulla di nuovo anzi una certezza : le indagine adesso riescono a stanare i colletti bianchi. Non è cosa da poco. La giustizia riesce adesso a incidere il livello economico e politico della cupola camorrista. E’ un elemento di grande interesse, insomma le intuizioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino aggredire i beni e le attività finanziarie delle cosche, colpire il livello politico e collusivo a distanza di anni si sta rilevando un’arma vincente per la lotta alle mafie.
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