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Processo Garafolo, in aula la testimonianza di Denise

di Marika Demaria il . Lombardia

dall’inviata a Milano, Marika Demaria – “Per l’omicidio di Lea Garofalo non è stato usato l’acido. Ne sono sicuro. Così come dico che Massimo Sabatino e Giuseppe Cosco sono estranei a quanto accaduto il 24 novembre 2009”. Carmine Venturino racconta senza freno alcuno tutto ciò che sa, proseguendo e terminando la propria testimonianza. Che, spiega, non è stata resa prima “perché i miei avvocati difensori (Pietro Pitari e Francesco Garofalo, n.d.a.) non hanno voluto. Io volevo collaborare, ma loro mi hanno detto di non farlo, perché tanto saremmo stati tutti assolti. Mancavano le prove: il corpo, l’arma del delitto. Avevo anche chiesto all’avvocato Steinberg (difensore di Carlo Cosco, n.d.a.) di dire al suo cliente di ammettere le proprie responsabilità, ma non l’ha fatto. Io avrei voluto raccontare tutto quanto prima, durante l’altro processo”. Venturino si scaglia anche contro l’avvocato Cacucci, difensore di Giuseppe Cosco. “Mi ricordo che lei aveva fatto vedere delle foto a Carlo Cosco dove compariva anche sua figlia Denise, e lui le aveva detto che quella p…. non voleva vederla. E l’avvocato allora ha girato le foto”.

Il contro esame del giovane detenuto ha occupato la prima parte della mattinata. Molte delle precisazioni richiamano quanto detto ieri. “Facevo uso di droga, ho smesso a maggio 2009 perché quando ho avuto l’incidente, giorno 3, non solo ero ubriaco ma anche fatto. Mi sono molto spaventato, stavo per morire; dato che poi avrei dovuto rifare gli esami per la patente, ho deciso di abbandonare quella roba”. Ma soprattutto, emergono aspetti legati alla ‘ndrangheta: “Vito e Massimo sono sottomessi a Carlo, Giuseppe è più autonomo e si occupa del traffico di droga. Anche perché lui è intelligente, gli altri non hanno molto cervello. Rosario Curcio ha uno zio detenuto per aver commesso un omicidio di ‘ndrangheta; suo padre invece è un onesto lavoratore, però ci tiene al fatto che il figlio non abbia screzi con Carlo Cosco. Infatti una volta ha fatto da paciere tra i due”. Carmine Venturino ha chiesto, al termine della testimonianza resa dietro un paravento –  “perché con i loro occhi puntati addosso mi sento a disagio” –  di potersi sedere a fianco del proprio avvocato. Ma questo gli è stato negato. Circa la sua partecipazione al processo – presente in aula o in video conferenza – la Corte scioglierà la riserva il 16 aprile, quando si svolgerà la prossima udienza. Il giovane non è inserito in un programma di protezione al momento, ma gode di particolari tutele carcerarie atte a garantire la sua incolumità.  In aula successivamente è stato ascoltato il Tenente Colonnello dei Carabinieri Giulio Buttarelli, che ha riferito quanto emerso dai sopralluoghi fatti a seguito delle confessioni di Carmine Venturino. Nel suo appartamento mancava effettivamente un pezzo di corda della tenda veneziana, così come è stata rinvenuta la Sim telefonica distrutta che lui aveva buttata in una grata.

Poi è stata la volta di Denise Cosco. La coraggiosa ragazza è entrata con passo sicuro in aula. Ha descritto le fattezze della collana e del bracciale che Lea indossava sempre e che le erano stati regalati da Carlo Cosco, riconoscendoli nelle foto che il Presidente Conforti le ha mostrate. Sono i monili rinvenuti a fianco delle ceneri di Lea Garofalo. Denise ha inoltre esibito la denuncia che sua mamma aveva sporto nel 2002, dopo l’incendio doloso della sua auto. “Ho ricevuto questa documentazione nella primavera dell’anno scorso dopo la sentenza; ho subito consegnato tutto al pm, compreso il referto della panoramica dentaria che aveva fatto mia mamma e la ricevuta di una riparazione della nostra auto”. Prima di uscire dall’aula – tantissimi i giovani e gli adulti presenti come pubblico per sostenerla – Denise ha precisato: “Nel corso del primo processo era stato detto che mio padre, per i miei diciotto anni, aveva organizzato una mega festa di compleanno. Vero, però io non c’ero. C’era tutto il paese, io no. Perché, a differenza di altri, io non avevo niente da festeggiare, mia mamma era scomparsa dieci giorni prima”. Proprio Carlo Cosco ha chiesto di essere ascoltato come teste. Lui che nel corso del processo di primo grado si era avvalso della facoltà di non rispondere, rendendo solo alcune dichiarazioni spontanee. Come ha fatto all’apertura del processo “e vi garantisco – ha affermato il suo avvocato difensore – che quelle dichiarazioni erano molto spontanee”.

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