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L’Appello conferma l’ergastolo

di Francesca Chirico il . Calabria

Anche per i giudici della Corte d’Appello di Reggio Calabria l’omicidio di Gianluca Congiusta, il giovane commerciante di Siderno assassinato nel 2005, porta la firma di Tommaso Costa.  Nella serata di ieri, e dopo oltre sette ore di camera di consiglio, il boss di Siderno si è vista confermare la pena dell’ergastolo già comminata dalla Corte d’Assise di Locri il 18 dicembre 2010. Ridotta invece da 25 a 15 anni di reclusione la condanna di Giuseppe Curciarello, giudicato responsabile di associazione a delinquere di stampo mafioso, ma assolto dall’accusa di traffico di droga. “Giustizia è fatta. La condivido con chi non l’ha ancora avuta. Ora la mia speranza è che non si spari più”, le prime parole di Mario Congiusta, il papà di Gianluca, che ha atteso la lettura della sentenza al fianco della moglie Donatella, delle figlie Roberta ed Alessandra, e di decine di rappresentanti del mondo associazionistico convenuti presso il Tribunale di piazza Castello per testimoniare vicinanza e solidarietà ai familiari del ragazzo di Siderno.

Trentadue anni, gestore di alcuni negozi di telefonia mobile, impegnato nello sport e in numerose attività sociali, Gianluca Congiusta fu ucciso la sera del 24 maggio 2005, mentre rientrava a casa dal lavoro. Il ragazzo, completamente estraneo agli ambienti della criminalità organizzata, venne freddato con due colpi di fucile caricato a pallettoni mentre si trovava alla guida della sua Bmw, in una zona periferica della città. La polizia stradale lo trovò riverso sul volante, lo stereo ancora acceso. Un omicidio apparentemente incomprensibile su cui proprio la caparbia battaglia di Mario Congiusta, protagonista di scioperi della fame e manifestazioni di piazza per chiedere verità e giustizia, non ha mai permesso che si spegnessero i riflettori.

Fino alla svolta del 9 gennaio 2007, giorno in cui il quarantottenne Tommaso Costa ha ricevuto in carcere un’ordinanza di custodia cautelare con l’accusa di essere il mandante e l’esecutore materiale, in concorso con altre persone non ancora identificate, dell’omicidio di Gianluca Congiusta. Tre fratelli uccisi nella lunga faida contro i Commisso per il controllo criminale della città, scarcerato nel marzo 2005 per effetto dell’ “indultino” e poi uccell di bosco per sfuggire ad una condanna divenuta definitiva, Tommaso Costa era stato catturato solo poche settimane prima, mentre si stava freneticamente “spendendo” nel tentativo di rialzare le quotazioni della “famiglia”, ritagliandosi nuovi spazi di influenza.

Sarebbe stato questo scenario criminale fluido e pericoloso a condannare Gianluca Congiusta, deciso ad intervenire in favore del futuro suocero Antonio Scarfò, un imprenditore cui Tommaso Costa aveva indirizzato dal carcere di Palmi una lettera con richieste estorsive. Proprio l’“intromissione” di Congiusta e il timore che i Commisso potessero scoprire il rinato attivismo dei vecchi rivali, scatenando una feroce reazione, avrebbe armato la mano del boss. “L’omicidio di Gianluca Congiusta – spiegavano nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici della Corte d’Assise di Locri – è stato deciso, organizzato ed eseguito da Costa Tommaso, ed è un delitto tipicamente mafioso non solo per le sue modalità esecutive ma anche e soprattutto per il concorso di pre-elementi (punitivo, estorsivo e strategico), funzionali alla riaffermazione del potere criminale del risorto sodalizio Costa, potere che non poteva prescindere dal manifestarsi e imporsi nei confronti di chi operava economicamente proprio nelle immediate vicinanze delle case dei Costa”. Un impianto accusatorio fatto proprio, evidentemente, anche dalla sentenza di secondo grado.

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