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Rilasciate 18 interdittive

di Giuseppe La Pietra il . Emilia-Romagna

Nel marzo 2009 si verificarono due episodi nella nostra città, distanti tra loro soltanto pochi giorni. Il 4 marzo di quell’anno, in occasione della sua venuta nella città ducale, il magistrato Raffele Cantone rilasciò un’intervista ad un giornale locale in cui dichiarò come: «In una situazione di crisi economica come quella attuale c’è il rischio concreto, a Parma come in tutto il nord, che vi siano soggetti malavitosi con grandi disponibilità economiche che provino a fare incette di imprese, case, terreni, che scalino le società per cambiarne gli assetti. E’ necessario vigilare, non sottovalutare o minimizzare nessun segnale».

Le parole di Cantone furono prese alla lettera – si fa per dire –  qualche giorno più tardi dall’ormai ex Prefetto Paolo Scarpis. Fare memoria è importante. Celebre è purtroppo rimasta in una delle pagine buie dell’antimafia parmigiana il modo con cui Scarpis si scagliò contro Roberto Saviano definendo alcune riflessioni dello scrittore sul rapporto tra il clan camorrista dei Casalesi e Parma «sparate di una persona che sta a 800 chilometri di distanza, che ha visto Parma di passaggio. Durante una riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica avevo chiesto al procuratore della Repubblica un resoconto di eventuali posizioni aperte nel parmense sentendo anche la Dda di Bologna e la Dia di Firenze: la risposta è stata “non ci sono indagini di questo tipo”. Il tentativo di allarmismo è quindi del tutto fuori luogo e se qualcuno è così convinto di saperne di più dei professionisti del settore, che si faccia avanti facendo nomi e cognomi».

Eppure di operazioni condotte dalla Dda di Bologna e Firenze nei mesi successivi alle dichiarazioni dell’ex Prefetto nella petit Paris ce ne sono state eccome. In Prefettura ci torniamo, siamo sul finire di marzo, quarto anniversario delle infauste dichiarazioni di Scarpis. Il Prefetto in carica è il dott. Luigi Viana, più volte presente e intervenendo in alcuni incontri locali in materia di antimafia, richiamando più volte l’importanza di essere cittadini vigilanti, con occhi aperti e orecchie attente. Lo scorso 3 settembre, in occasione del trentennale della dell’uccisione del Gen. Dalla Chiesa, durante il suo discorso di commemorazione svoltosi nel cimitero della Villetta così si espresse: «È bene rammentare, infatti, che la mafia siciliana, la ‘ndrangheta calabrese, la camorra napoletana e la Sacra Corona Unita Pugliese non rappresentano solo una turpe conformazione criminale ma un modello mefistofelico di vita radicalmente diverso ed alternativo rispetto a quello proprio di uomini, liberi e civili».

L’aria sembra essere cambiata. Contattiamo il vice Prefetto Vincenzo Maria Pasqua per fare il punto. E Pasqua ci dice che: «La presenza mafiosa in questa provincia è riconducibile, piuttosto che alla specifica localizzazione in territori delimitati, a mirati tentativi d’infiltrazione e condizionamento dell’economia legale». Dalle nostre ricerche, stando anche a quanto emerge dai documenti in nostro possesso, i “mirati tentativi di infiltrazione” hanno coinvolto in particolar modo il settore delle imprese, così come il fenomeno dell’usura. Più volte abbiamo riportato di imprese parmigiane interdette, da quelle coinvolte nel cantiere della stazione a quelle presenti nei cantieri della tangenziale di Novellara, così come ad un’altra che si è infilata nell’EXPO 2015 di Milano. E così via.

Ed è proprio su questo che ci viene comunicato dalla Prefettura come «Ormai da tempo essa sia particolarmente attenta alle problematiche della penetrazione nell’ambito di questa provincia e segnatamente delle situazioni di ingerenza delle mafie nel tessuto economico e produttivo. In tale ottica sono state adottate fino ad oggi n. 18 certificazioni interdittive nei confronti di aziende risultate contigue alle organizzazioni mafiose ovvero soggette a tentativi d’infiltrazione o condizionamento da parte di tali organizzazioni». Diciotto.

Un lavoro che gli inquilini di Palazzo Rangoni non svolgono da soli ma avvalendosi delle approfondite «attività informative degli Organi di polizia e della Direzione Investigativa Antimafia, nonché dell’attività dei Gruppi Interforze». Confrontando la nota con i documenti, emerge quanto il settore appetibile sia prevalentemente quello dell’agroalimentare e dell’edilizia, in relazione, quest’ultima, alla pubblica amministrazione e con particolare riferimento alla galassia della filiera articolata dei gradi dei subappalti. Le mafie possono contare su una costellazione di imprese presenti anche al nord perché affidare a loro, proprio in subappalto, alcuni lavori significa non avere problemi di ritardo nella consegna o di liquidità.

Tutto viene fatto e consegnato velocemente, a prezzi convenienti. E in tempo di crisi finanziaria è tutto dire. Ditte “contigue alla mafia”, presenti nel parmense, immesse nell’economia legale, con il tentativo di confondersi e in grado di riciclarsi dietro i grandi nomi dell’edilizia locale per la predilezione dei subappalti. Ditte sicuramente utili a chi non si fa troppe domande. Se poi pensiamo che rispetto alla documentazione relativa all’autocertificazione antimafia che queste devono produrre, oggi, benché sia ritenuto «uno strumento tuttora valido dal legislatore, ci preme sottolineare come la legge prevede la facoltà per l’utente interessato di chiedere alla Prefettura delle verifiche a campione, peraltro molto frequenti  in questa sede» ci dice il dott. Pasqua.

Nulla da obiettare sulla frequenza delle verifiche. Una nota critica sorge. Considerando come Parm,a con buona pace degli amministratori locali, non stia cessando di essere una città cantiere in espansione, sempre in vetta tra le eccellenze italiane per il consumo del suolo, probabilmente le verifiche, proprio perché eseguite a campione, rischiano seriamente di lasciarsi qualcosa alle spalle. Forse anche per questo i committenti “palazzinari” qualche domanda in più rispetto a chi lavora nei rispettivi cantieri dovrebbero farsela. Di fronte allo scenario, a nostro avviso incalzante di penetrazione mafiosa nel parmense, la Prefettura sprona  a ragione verso l’assunzione di corresponsabilità, per costituire una rete di resistenza così che «gli Enti  pubblici e la Società Civile possano fornire, ciascuno  per la propria parte, un valido contribuito, non solo per respingere e denunciare qualsiasi tentativo d’infiltrazione mafiosa, ma anche segnalando agli Organi di Polizia qualunque circostanza che denoti possibili presenze mafiose, o comunque riconducibili alla criminalità organizzata generalmente intesa».

E infine ci tengono particolarmente a sottolineare che «sul sito www.prefettura.it/parma/contenuti/3167.htm, è presente un vademecum appositamente predisposto per fornire un servizio informativo al  pubblico in materia di documentazione antimafia». Per informarsi, per essere cittadini consapevoli e rompere il muro dell’ignoranza su cui le mafie edificano ed espandono i propri radicamenti.

 

BOX: Che cos’è l’interdittiva? 

L’interdittiva antimafia “tipica” costituisce una misura preventiva volta a colpire l’azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione.  Misura a carattere preventivo, l’interdittiva prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente; la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata.  BOX 2 Il settore degli appalti pubblici in Italia vale da solo l’8% del Pil (oltre 100 miliardi di euro), dando lavoro a 1,5 milione di persone, un business in grado di attrarre non solo aziende pulite ma anche le organizzazioni mafiose. In Italia l’infiltrazione mafiosa negli appalti è un cancro difficile da debellare: oltre 5mila aziende non applicano il codice antimafia previsto per appalti superiori a 150mila euro, e il 30% degli appalti totali avviene senza gara.

Giuseppe La Pietra per il Nuovo di Parma

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