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Occupazione, l’esercito dei giovani raccomandati

Tiziana Barillà il . Dai territori

Si fa avanti l’esercito dei raccomandati. Giovani, al primo impiego, amanti della “conoscenza”: ma non intesa come sapere e cultura, piuttosto come gancio con il potente di turno.

Certo la pratica della raccomandazione è radicata da lungo tempo nella società italiana, ma se quasi la metà dei lavoratori ammette di averne fatto uso, possiamo porci almeno un interrogativo su quanto questa prassi sia consolidata: è stata metabolizzata al punto da non sentirsi nemmeno tenuti a nasconderla, oppure potremmo pensare che quel 40% sia destinato ad aumentare, se vogliamo immaginarlo come dato realistico?

Uno studio dell’Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) ci segnala che in Italia la migliore agenzia di collocamento è ancora e sempre la famiglia, il 40% della gente ha ammesso di aver ottenuto un lavoro sicuro solo grazie a parenti e amici, mentre solo il 15% dell’occupazione è prodotta dai concorsi pubblici e il 5% dai centri per l’impiego governati da soggetti privati.

Oltre ad intralciare il compimento di meritocrazia ed efficienza, questa cattiva abitudine impedisce lo stesso diritto al lavoro ed all’autodeterminazione. Se, quindi, da una parte ci ritroviamo una società dei servizi sempre più inefficiente e improduttiva, dall’altra abbiamo la grave privazione, soprattutto per le nuove generazioni, della libertà di competere liberamente per la propria realizzazione.

Il mondo del lavoro sta cambiando ed assume sempre più le sembianze di una giungla, di conseguenza le pratiche d’ingresso consolidate, si inaspriscono. Grazie alla nuova concezione precaria e flessibile del lavoro, alla trasformazione dei vecchi uffici di collocamento in una frammentata costellazione di agenzie interinali e, non per ultimi, ai fiumi di finanziamenti pubblici (in particolare nelle regioni del Sud) ecco che gli ambiti concorsi pubblici trovano compagnia: formazione professionale, master di vari livelli, corsi d’alta formazione e consulenze d’ogni tipo.

Gioco-forza dei poteri forti. La fascia giovanile si ritrova stretta in una morsa tra tribalismo e corruzione, sotto il costante ricatto per il “posto di lavoro”, qui entrano in gioco pezzi della vita politica e istituzionale. Una vera e propria guerra tra poveri, già in atto da lungo tempo, dalla quale generalmente ci si protegge entrando nel sistema.

Nel mezzogiorno d’Italia, dove aumenta la presenza dei finanziamenti europei, spesso è la stessa classe politico-istituzionale ad assumere il ruolo di datore di lavoro. La gestione di quelle risorse diventa così gestione clientelare della forza lavoro che mira al mantenimento, se non all’espansione, della base elettorale.

Gli scandali che recentemente hanno visto protagonista la Regione Calabria e l’inchiesta di De Magistris non sono che una prova. Nella migliore delle ipotesi possiamo immaginare che sia solo una patriarcale forma di assistenzialismo, noncurante dei danni che cagiona alla società, ma nella peggiore potrebbe rivelarsi un meccanismo di selezione verso il basso che, danneggia il paese mantenendo immutati gli equilibri di potere.

Mentre il mondo del lavoro diventa sempre più precario, e purtroppo non solo economicamente, come le morti di Torino ci testimoniano tragicamente, insieme alle migliaia di incidenti sul lavoro ogni anno. Qualcuno si continua ad interrogare sull’opportunità di provvedimenti come la legge Biagi e su quanto questa tendenza non rappresenti, invece, un cambiamento solo per la qualità della vita dei lavoratori, e non certo verso un miglioramento.

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