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Il 21 marzo a Erice, dove la marcia continua

di Rino Giacalone il . L'analisi

Provate a chiamarli “professionisti dell’antimafia”. Provate a dire che il loro impegno è di facciata, che la loro è una antimafia parolaia. Provateci. Rischiate di ricevere 150 mila sonori fischi. O forse nemmeno, otterrete l’effetto per voi  inaspettato, una risposta fatta di canzoni e slogan contro le mafie che dinanzi alle vostre illazioni si farebbero semmai più forti.

Sono testimoni di vicende dolorose, vittime delle mafie, vedove, madri e padri, figli, fratelli, sorelle, nipoti di chi ha combattuto la mafia, di chi ha seguito comportamenti che risultavano di ostacolo ai mafiosi, di chi si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, di chi semplicemente aveva scelto di vivere facendo il proprio dovere di cittadino, tutti loro hanno deciso di trasformare il loro dolore, il loro lutto in impegno contro le mafie. Sono un migliaio e forse più, e ogni giorno nel loro impegno sono riusciti a trascinare altra gente. A Firenze quest’anno hanno deciso di darsi appuntamento, in tutto sono stati presenti oltre 150 mila persone, il vero e unico esercito “pacifico” del rinnovamento tanto inseguito nel nostro Paese. Libera con a capo l’instancabile don Luigi Ciotti, ancora una volta, per il 18° anno consecutivo , è riuscita a organizzare questa marea di gente, questo fiume di persone, giovani, adulti, ragazzi, studenti giovanissimi, donne, uomini, ognuno con una storia da raccontare, con la memoria e l’impegno impressi nella mente quanto nel cuore, con le gambe forti per fare camminare loro stessi e portare appresso le idee di altre donne e altri uomini che non ci sono più.

Guardo tutti questi volti, tutti sorridenti, ascolto le loro parole, prive di rancore, odio, ma piene di speranza, e non posso non pensare alla mia città, Trapani.  Ecco dalle mie parti questo impegno da qualcuno è visto come “professionismo” e trattandosi di impegno contro le mafie è perciò “professionismo dell’antimafia”, e ogni volta che qualcuno dice questa parola, finisce con il dare l’ennesimo colpo al cuore a Leonardo Sciascia lo scrittore che per primo scrisse questa definizione e lui tra i primi scrittori siciliani a scrivere contro la mafia a denunciare la mafia in Sicilia si ritrova strumentalizzato da chi con la mafia ha piacere a conviverci. Questi professionisti dell’antimafia come direbbero a Trapani che hanno deciso di ritrovarsi a Firenze lo hanno fatto a loro spese, hanno affrontato anche lunghi viaggi, dormito e mangiato poco, i ragazzi hanno anche dormito sotto le tende in un periodo non proprio adatto a fare campeggio, ma nessuno si lamenta, sono tutti contenti di essere insieme, di stare assieme, di potere stringersi in un enorme abbraccio. A Firenze hanno attraversato le strade e la gente li ha applauditi, li ha salutati dalle strade e dalle finestre delle case, alcuni hanno anche allungato bottiglie d’acqua e panini ai più giovani, aiutati gli adulti a riposarsi ma nessuno ha abbandonato il cammino per giungere sotto quel palco da dove don Luigi Ciotti ha ancora ripetuto che è il “noi” a vincere, che è il “noi”  ad essere garanzia per vincere le mafie e le mafiosità.

Quel lungo elenco di vittime delle mafie letto e riletto in questi giorni che rinnova si dolori in chi lo ha ascoltato non è stato per nulla demoralizzante. Anzi. E’ la prova che nel nostro Paese le connivenze con le mafie, le mafie stesse, non hanno avuto vita facile, ma sono stati contrastate, combattute, vengono oggi ancora contrastate e combattute. E la lettura dei nomi delle vittime diventa semmai l’incoraggiamento ad andare avanti e fare di più. Il filo che lega assieme questo impegno di è rafforzato a Firenze per tenere tutti ancora più uniti e farci diventare una unica cosa contro le mafie, ma è un filo che si è allungato per coinvolgere altri, per trascinare altri ancora, per tirare fuori dalle sabbie mobili delle mafie quanti non hanno voglia e desiderio di essere inghiottiti, per unire territori e città. Un filo ideale ma che se si vuole si può anche toccare con mano, è vero, reale, concreto.

E’ un filo che giovedì 21 marzo arriverà anche a Trapani, ad Erice. Qui l’aula bunker del carcere, quella dove sono stati processati i mafiosi trapanesi , i killer di delitti e stragi, i colletti bianchi, gli imprenditori collusi, i politici complici o ancora ottusamente silenti e vili, o ancora corrotti ancorchè prescritti, i killer di magistrati, investigatori, giornalisti, ecco quest’aula verrà intestata a Giuseppe Montalto, agente della polizia penitenziaria, ucciso appena trentenne dalla mafia, era il 23 dicembre del 1995 e la sua morte fu “il regalo di Natale” del sanguinario ed assassino Matteo Messina Denaro ai boss detenuti al 41 bis. Alle 9,30 di giovedì 21 marzo comincerà questa cerimonia che continuerà con la lettura dei nomi di tutte le vittime della mafia con le parole di tanti ospiti, i canti e le poesie degli studenti. Sarà il primo appuntamento di un cammino che continuerà subito dopo la settimana di Pasqua e che dal 2 aprile al 6 aprile ogni giorno vedrà un appuntamento nel nome e nel ricordo di Barbara Rizzo Asta e dei suoi figlioletti, Salvatore e Giuseppe, uccisi il 2 aprile 1985 a Pizzolungo, vittime della strage che la mafia aveva organizzato per uccidere il magistrato Carlo Palermo. “Non ti scordar di me” è il nome di un fiore e di una canzone, ma da alcuni anni il sindaco di Erice Giacomo Tranchida ha voluto che diventasse anche il titolo di un cartellone di appuntamenti che anno per anno attorno a quel 2 aprile riuscisse a fare della memoria un preciso impegno contro mafia e mafiosi. Giuseppe Montalto è stato vittima della mafia morto sul lavoro. Onesto e fedele alle istituzioni aveva deciso di non chiudere gli occhi davanti a dei mafiosi che si passavano un pizzino.  Caduto sul lavoro e per il lavoro. Mafia e lavoro è il tema del “cartellone” del “Non ti scordar di me”. La mafia che qui ha inquinato economia e settori produttivi, la mafia assassina che con le stesse mani sporche del sangue di tanti morti ammazzati è riuscita a diventare mafia imprenditrice. La crisi economica che ci ha toccato tutti non ha colpito le mafie. Le intercettazioni hanno svelato che l’euro ai mafiosi non è piaciuto, ma non li ha impoveriti. Nel trapanese l’unica azienda a non andare in crisi è stata quella della mafia. Nel trapanese chi non ha accettato le regole del padrone mafioso o vicino ai mafiosi ha perduto il lavoro, in questa provincia la crisi del lavoro è la ragione di tanti suicidi. Qui il lavoro manca per due cause, la crisi e la mafia, e laddove sembra esserci occupazione si nascondono spesso storie incredibili.  Ce ne sono ragioni per le quali perciò bisogna parlare di mafia e lavoro.  E ogni anno il 21 marzo è il giorno in cui ricominciare con più forza questa lotta, per la democrazia, per la libertà. Quest’anno ad Erice il 2 aprile verrà segnato anche da due momenti importanti: il concerto nel campo intestato a Borsellino e Falcone del gruppo dei Modena City Ramblers che presenteranno un inedito dedicato ai gemellini Asta e la partenza da Pizzolungo della Carovana antimafia. Forza si va avanti. Continuiamo a marciare.

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Rino Giacalone

Giornalista siciliano, da tanti anni segue la cronaca nera e giudiziaria in particolare della provincia di Trapani, ed oggi è una delle firme dalla "periferia" per "Il Fatto Quotidiano". Ha seguito le più importanti inchieste sulla ricerca dei latitanti e del super latitante Matteo Messina Denaro nonché sulle connessioni tra la mafia, la politica e l'imprenditoria; ha seguito dandone resoconti inappuntabili i processi e da ultimo quello per il delitto del sociologo e giornalista Mauro Rostagno, indagine questa rispetto alla quale è riconosciuto essere uno degli artefici delle sollecitazioni che hanno portato la Dda di Palermo a non archiviare le indagini. Attento osservatore della realtà siciliana e trapanese, si è spesso scontrato con la politica che a proposito di mafia ha sempre scelto profili bassi se non talvolta di deliberata connivenza. Perchè sostengo Libera Informazione? Perchè qui si trova la informazione libera e qui ogni giorno si continua a fare palestra di giornalismo con gli insegnamenti del direttore Roberto Morrione.

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