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Processo in salita per Nicola Cosentino

di Arnaldo Capezzuto il . L'analisi

   “Un boss mi disse di votare Nicola Cosentino. Ora non mi ricordo precisamente quali favori ha poi ottenuto i l clan. Ma Aniello Bidognetti (figlio del boss ergastolano Francesco “Cicciotto e mezzanotte” ndr) mi disse che dall’elezioni di Cosentino il clan avrebbe avuto vantaggi e favori sul fronte degli appalti, sia sul settore dei rifiuti, i due pilastri dei casalesi. E anche minore severità sul fronte della normativa anticamorra”. E’ il racconto di Raffaele Ferrara, collaboratore di giustizia, teste nel processo che vede il parlamentare (uscente) del Pdl Nicola Cosentino accusato di associazione camorristica. Il clima è pesante al Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere. Durante l’udienza l’onorevole ascolta con gli occhi fissi, a tratti scuote il capo poi scatta in piedi per poi risedersi.  Il processo è entrato nel vivo. Già due settimane fa erano stati altri due pentiti a deporre : Carmine Schiavone, cugino di Francesco Sandokan Schiavone, e Dario De Simone che con i loro racconti hanno tirato in ballo il depuato.  Tassello dopo tassello nel corso del dibattimento l’accusa sostenuta dal pm Alessandro Milita sta ricostruendo il puzzle del ventennale potere dell’ex sottosegretario all’Economia nell’ultimo governo Berlusconi e già potente coordinatore campano del Pdl. Una macchina del consenso che nel 2008 è riuscito in un exploit eccezionale : 34 deputati e 18 senatori eletti, raggranellando oltre un milione e seicento mila voti pari al 12 per cento di quelli totali del Pdl a livello nazionale. Numeri importanti dove Caserta è, era una straordinaria roccaforte. Ferrara offre anche un altro dettaglio  di quella campagna elettorale del 1995. “Aniello Bidognetti mi fece avere i manifesti di Nicola Cosentino che io feci attaccare a Parete e negli altri comuni vicini. Li tappezzai di manifesti”.

Particolari ripescati nella memoria e nel passato di un politico su cui gravano due richieste di arresto, respinte con il voto della Camera, e che non hanno mai cessato in efficacia. Anzi nei vari gradi di giustizia a tutela dell’indagato-imputato non sono mai state revocate dai giudici perché ne esistono ancora tutte le ragioni per la loro applicazione. Il deputato Cosentino sta tenendo un profilo molto basso. Dopo la sua esclusione dalla lista dei candidati al Parlamento (Ricordate la sceneggiata? Fuggito con l’elenco da Roma e rifugiatosi a Caserta) rischia seriamente di finire dietro le sbarre. Quando a metà marzo, infatti, s’insedierà il nuovo Parlamento cesserà l’immunità. Molto probabilmente si spalancherà la porta d’ingresso del carcere di Poggioreale dove Cosentino ha già annunciato di entrarci da uomo libero e innocente e che continuerà a fare lo stesso politica per il Pdl. Forse sarà così come sostiene Cosentino ma è chiaro che a mano a mano che procede il dibattimento presso il tribunale di Santa Maria Capua a Vetere il quadro si fa sempre più complicato per la difesa del deputato. Le testimonianze, i riscontri, le carte sembrano “inequivocabili” sulla vicinanza del politico casertano ad ambienti di camorra. E qui c’entra davvero poco il “pregiudizio geografico” invocato da Cosentino a sua discolpa o l’imbarazzante parentela acquisita non certamente per colpa sua. Non è questione di prendere un caffè con un amico d’infanzia, un paesano che ha preso una strada diversa dalla tua. I racconti palesano uno scenario di mutuo soccorso tra il politico – referente nazionale dei Casalesi – e la cosca. Ma in generale sta di fatto che un politico che è presente in Parlamento, che occupa addirittura un ruolo di Governo ed ha responsabilità politiche-operative sui territori non può minimamente avere delle ombre o essere avvolto da una nebbia di sospetti. Non esiste un caso Cosentino. Non è mai esistito. La storia è molto più banale. Purtroppo è la solita storia in cui la politica si salda con gli affari e con la camorra. L’epilogo di questa storiaccia è già scritto e non per un giudizio predeterminato ma seguendo il criterio dettato da un giudice martire come Paolo Borsellino “L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice ‘quel politico era vicino ad un mafioso’, ‘quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto’. E no! questo ragionamento non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: ‘beh… Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria, che mi consente di dire quest’uomo è mafioso’. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi, che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica.

Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: ‘questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto”. Prossima udienza, 4 marzo, verranno sentiti i pentiti Luigi e Alfonso  Diana.

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Arnaldo Capezzuto

Sono solo un cronista. Pongo domande per capire. Se non mi rispondono, ripeto la stessa domanda. Racconto le cose che vedo. Rifletto sui fatti e li collego. La mia è la generazione del 1970. Vivo e lavoro a Napoli. Non mi sento a fortapàsc ma a volte ne vivo la sensazione. Sostengo il progetto di rete di Libera Informazione perché credo nelle parole di Paolo Borsellino :"Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene"

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