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Mercati illegali, gli affari transnazionali dei clan

di Gaetano Liardo il . Internazionale, Progetti e iniziative

Traffici illeciti, intrecci criminali, reti mafiose globali. Lo spaccato che emerge dal rapporto Legambiente/Polieco “ Mercati illegali, storie e scenari della globalizzazione in nero”, è a dir poco raccapricciante. Presentato aggi a Roma, il dossier dell’associazione ambientalista cerca di entrare nelle pieghe degli affari criminali transnazionali, partendo dall’Italia, piattaforma logistica dei flussi in entrata e in uscita dei grandi traffici illegali. Che si tratti di merci contraffatte o di animali protetti, di rifiuti o di frodi alimentari, il Belpaese ha il poco invidiabile ruolo di territorio centrale nel “grande gioco” dei traffici.  Studiando l’azione repressiva messa in campo negli ultimi due anni Legambiente ha individuato ben 163 inchieste internazionali riguardanti l’Italia. In media un’inchiesta ogni quattro giorni, con un totale di 297 persone denunciate, 35 aziende sequestrate per un valore di 560 milioni di euro. Dati allarmanti, appunto. Ad illustrarli è Antonio Pergolizzi, tra i curatori del dossier insieme ad Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio sviluppo e legalità di Legambiente, Francesco Dodaro e Laura Biffi.

Il fenomeno è abbastanza recente e dimostra la capacità delle organizzazioni criminali di agire con scioltezza e velocità nei mercati globali, sfruttando gli scarsi controlli di numerosi regioni e la mancanza di norme internazionali condivise. «La nascita di nuovi mercati globali – spiega Pergolizzi – è stata una grande occasione per le mafie transnazionali, capaci di sfruttare situazioni poco controllabili e, come vettore di trasporto, le autostrade del mare».

Delle 163 inchieste italiane, infatti, ben 122 hanno avuto come obiettivo i porti, italiani e stranieri, 19 gli aeroporti e 22 dei capannoni di stoccaggio dove conservare la “merce” prima di spedirla al paese di destinazione. Tra i porti italiani maggiormente coinvolti per i traffici da e per il nostro paese il principale è quello di Ancona, interessato da ben 17 inchieste, seguito da Bari e Venezia (12). «Ancona – sottolinea Pergolizzi – è la principale porta d’accesso per i traffici lungo la rotta est-ovest. Un altro porto interessato è quello di Civitavecchia, piccolo per dimensioni e non dotato delle necessarie strumentazioni per effettuare i controlli più sofisticati». Ad essere preferiti, in generale, sono i piccoli porti italiani non interessati nei grandi traffici di droga, armi ed esseri umani e quindi meno controllati dalle forze dell’ordine. Piccoli e discreti, ideali per far arrivare, o per far partire, le merci più svariate.  Tra i principali paesi coinvolti nei traffici da e per il nostro paese svetta tra tutti la Cina, con 45 inchieste che riguardano porti cinesi, seguita dalla Grecia (21).

Il 68% delle indagini italiane sui grandi traffici internazionali riguarda le merci contraffatte e il commercio di animali protetti; il 23% i rifiuti e il 9% le frodi agroalimentari. Traffici illeciti che spesso si sovrappongono e si confondono a quelli leciti e legali. Esiste, inoltre, una correlazione diretta tra l’andamento del commercio mondiale e le inchieste sul traffico dei rifiuti. Nel dossier, infatti, si legge che: «Dal 2001 al 2009, secondo i più aggiornati dai Eurostat, le esportazioni legali dei rifiuti dai paesi Ue ai paesi non Ue sono cresciute del 131%. Nello stesso tempo sono cresciute le rotte illegali, come dimostrano i dati dei sequestri effettuati negli ultimi due anni dall’Agenzia delle Dogane nei nostri porti: quasi 20mila tonnellate di scarti, destinate illegalmente all’estero, soprattutto plastica, carta e cartone, rottami ferrosi, pneumatici fuori uso (Pfu) e rifiuti elettrici ed elettronici (Raee). Con un incremento di circa il 35% rispetto al biennio 2008-2009».

«E’ una questione importante e delicata – commenta Tullia Passerini, funzionaria del ministero dell’Ambiente intervenuta in rappresentanza del ministro – che è molto sentita non soltanto per l’impatto dei traffici sulla salute, ma anche per i danni economici provocati al settore della green economy. Serve – aggiunge – un quadro normativo certo che non lasci zone grigie». Come nel caso della mancata definizione tra ciò che è rifiuto e ciò che non lo è, che genera dei buchi normativi sui quali le organizzazioni criminali riescono a trovare le giuste “coperture” per attivare i loro traffici.

Ma quali sono questi gruppi mafiosi transnazionali attivi nei maggiori traffici globali?«Le Triadi cinesi – aggiunge Pergolizzi – e con loro la Yakuza giapponese, la mafia russa così come la camorra e la ‘ndrangheta, sempre più attiva in questi nuovi business». «Siamo abituati a vedere, e a contrastare, le attività tradizionali della criminalità organizzata – aggiunge Giusto Sciacchitano, procuratore nazionale antimafia facente funzioni – ma siamo poco attenti a guardare i nuovi scenari. Le organizzazioni criminali guardano solo al mercato. Al fianco delle attività tradizionali, come il traffico di droga, cercano e attivano nuove modalità di arricchimento».

La Direzione nazionale antimafia, da alcuni anni, è stata, investita dell’attività di coordinamento sulle questioni affrontate dal rapporto Legambiente-Polieco, contribuendo ad implementare il lavoro di intelligence dell’Agenzia delle Dogane, e a quello investigativo delle Capitanerie di porto, del Corpo Forestale, e delle forze di polizia. Una tendenza tutta italiana che non ha avuto seguito a livello internazionale, dove si ha minore capacità di comprendere appieno la vastità del fenomeno. «Nel settembre dello scorso anno – sottolinea Sciacchitano – l’Onu ha bloccato la Convenzione di Palermo, impedendo che si aprisse alle nuove frontiere dei business mafiosi.

Il veto posto da Gran Bretagna, Canada e Giappone, seguite in massa dal cosiddetto Blocco dei 77, ha fatto si che la convenzione non si applicasse ai nuovi traffici».  Un comportamento poco comprensibile considerando che, come sottolinea il direttore dell’Agenzia delle dogane Giuseppe Peleggi: «La criminalità organizzata transnazionale si muove attraverso diverse reti, a volte autonome da quelle utilizzate dalle mafie nostrane. Il crimine organizzato è veloce, capisce le nuove opportunità di arricchimento e si sviluppa laddove ci sono falle e buchi normativi, offrendo servizi e logistica». «Fuori dall’Italia – commenta amara Vittoria Luda di Cortemiglia, di Unicri – è difficile far comprendere questa dimensione criminale gestita da gruppi altamente strutturati».

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