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Ponticelli, soffiare sulla protesta per legittimarsi

Di Arnaldo Capezzuto il . Campania, Dai territori

Ci togliamo subito il pensiero : Napoli non è razzista. Una rassicurazione che non serve a molto di fronte alle immagini drammatiche del fuoco appiccato ai campi rom di Ponticelli e che hanno fatto indignare il mondo intero. Come società civile non ci vergogneremo mai abbastanza di fronte alle scene di persone inermi cacciate via a colpi di molotov e terrore, cui sono stati rubati i resti dei resti di povere cose fumanti.

 Alcuni sciacalli hanno un nome ed un cognome Gaetano Cardone, 32 anni e Pasquale Fascia, 58 anni e uno stuolo di guaglioni. Fortunatamente pizzicati dai carabinieri mentre in roulotte e baracche bruciacchiate tentavano di impossessarsi di video registratori, stereo e tv. Sono gli stessi che ballavano e cantavano il 14 maggio mentre in via Malibran e in via Argine si alzavano alte al cielo le colonne di fumo. Io c’ero. Li ho visti. Mi facevano schifo. Li ho immortalati in tante foto ed anche in un video choc. Un cazzotto nello stomaco che non mi ha suscitato dolore, anzi. Il contorno è più chiaro.

Nessuna xenofobia massificata o un impeto di aggressività sociale di stampo antropologico ma untori della violenza, agitatori a chiamata assoldati per “fare ammuina” e innescare la “grande rivolta”. Giovanni Zoppoli, referente napoletano dell’associazione “Osservazione” mi ha spianato l’orizzonte: “I luoghi occupati dai campi nomadi rientrano nel piano urbanistico di zona, dove da poco meno di un mese sono stati emessi bandi di gara per la costruzione di strutture residenziali: appartamenti, scuole, ospedali, servizi. L’area è interessata da un finanziamento pubblico di 7 milioni di euro e il termine per l’inizio dei lavori è fissato per agosto. Se entro tale data i lavori non partiranno, i soldi non saranno spesi”. Mettere insieme le tessere del puzzle e tentare di capire. Svelare il meccanismo che c’è dietro. Napoli è città dalle dinamiche complesse.

Se per anni le paranze dei guaglioni hanno incassato il racket sulle catapecchie dei nomadi ora la camorra che conta quella che abita al rione De Gasperi e fa di cognome Sarno vuole buttarsi a capofitto sulle commesse pubbliche dei lavori. Trattare sui cantieri edili, estorcere denaro, lucrare sulle varianti ai progetti in corso d’opera insomma fare ciò che ha fatto con la costruzione dell’ospedale del mare. Attenzione la camorra non deve diventare un comodo alibi. Le responsabilità ci sono e bisogna farsene carico. A Ponticelli, le istituzioni e non solo hanno girato la faccia da un’altra parte. Si sono create le condizioni di un odio sociale che hanno portato ad una guerra tra poveri. E’ stato un gioco per le terze, quarte fila dei clan soffiare sulla protesta e radere al suolo gli accampamenti.

Una prova di forza che rilegittima il “sistema” agli occhi della gente come “uomini del fare” che riescono dove lo Stato ha fallito. E’ assurdo non capire, non comprendere, non percepire come la vasta “zona grigia” della “camurriade” avanzi e si allarghi nei quartieri partenopei imponendo obiettivi e dettando le strategie. Scrivo di quello che vedo e vivo. Li ho visti lanciare le molotov in Malibran e scappare in sella a potenti scooter. Pochi minuti e quando la polizia ed i vigili del fuoco sono giunti sul luogo del rogo, loro sono tornati per controllare. Capelli rasati, brillante all’orecchio sinistro, enormi occhiali D&G, indumenti costosi, scarpe Nike e gli immancabili tatuaggi. C’è chi al telefonino faceva il resoconto in diretta dell’inferno di cristallo con dovizia di particolari specificando zone e orari. Mi fa male vedere oltre cento persone, donne, anziani, ragazzini, bambini asserragliarsi davanti un reticolato e tentare, sotto lo sguardo allibito e indifeso dei poliziotti in assetto antisommossa, la caccia al rom.

 Un’aberrazione collettiva allucinante che mi fa dedurre che ormai ampi strati della popolazione napoletana hanno interiorizzato modalità e comportamenti della camorra. Un tutt’uno indistinto, una piovra, un grande blob che vive e si alimenta nella cultura dell’illegalità. Bisogna opporsi e contrastare questa assurda deriva. I cronisti lo fanno “armati” di taccuino, penna e digitale.

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