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Mafia e massoneria a Trapani, Rostagno sapeva

di Rino Giacalone il . Sicilia

Continua  a Trapani il processo per l’omicidio del giornalista – sociologo Mauro Rostagno. E lo schema delle ultime udienze si ripete: da un lato ci sono gli avvocati della difesa che tentano di portare teste a sostegno di altre matrici del delitto, dall’altro invece i teste convocati che, di volta in volta, confermano le responsabilità degli imputati Vincenzo Virga e Vito Mazara. E’ andata così anche per l’ultima che ha portato in aula, lo scorso  i giornalisti Luciano Scalettari e Andrea Palladino, autori di libri e reportage sugli affari “sporchi” condotti dall’intelligence italiana e non solo, in Somalia e in Italia, negli anni in cui furono uccisi i giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. I due reporter in questi anni si sono occupati dei segreti della cooperazione internazionale, della presenza dei servizi segreti tra le bande in lotta in Somalia, del traffico illecito di rifiuti finiti sepolti sotto le lunghe strade asfaltate di Bosaso. E in aula, i due giornalisti, hanno raccontato gli scenari di questi traffici illeciti. Le risposte di Scalettari e Palladino davanti alla Corte di Assise di Trapani hanno confermato, infatti, queste commistioni fra mafia, i servizi segreti, centrali di intelligence straniere, gruppi di spregiudicati affaristi. Convergenze che negli anni ’90 erano oltremodo potenti e che negli anni in cui Mauro Rostagno faceva il giornalista dalla tv privata Rtc stavano prendendo forma.

La cronaca dell’udienza. Mercoledì scorso l’udienza del processo Rostagno si è aperta con l’attesa testimonianza di Anna Di Ruvo, ex ospite della Saman che avrebbe dovuto riferire dei contrasti dentro la Comunità, del famoso fax di forte rimprovero che Cardella mandò a Rostagno (che avrebbe portato alla cacciata dal Gabbiano qualche settimana prima del delitto) del ritrovamento dello stesso fax e la sua molto presunta distruzione, considerato che il fax come più volte ha rimarcato l’avvocato di parte civile Carmelo Miceli fa parte degli atti del processo (sebbene la difesa miri a dimostrare che sia stato distrutto su volere della compagna di Mauro, Chicca Roveri). La Di Ruvo tra tanti non ricordo una cosa precisa l’ha ricordata: il famoso verbale di interrogatorio reso dinanzi ad ispettori della Digos di Trapani (ai tempi dell’indagine denominata Codice Rosso, metà anni ’90) lo firmò senza rileggerlo e le cose lì scritte non corrispondono, a suo dire, al vero, almeno nelle risposte da lei date. La teste ha ricordato, infatti, un certo caos nel suo interrogatorio e affermato di aver firmato “senza avere il tempo di rileggere il verbale”.

Le rivelazioni del finanziere Voza. Dopo di lei citato dalla parte civile rappresentata dall’avvocato Carmelo Miceli, parte civile per Maddalena Rostagno e Chicca Roveri, è entrato in aula l’investigatore della Guardia di Finanza Angelo Voza. A Trapani dal 1983, affianco per tanto tempo al pm Carlo Palermo, sfuggito ad un attentato nel 1985, Voza ha ripreso un argomento che già era emerso per la testimonianza di alcuni collaboratori di giustizia e cioè la forte e qualificata presenza della massoneria in città. E’ saltato fuori il nome di Licio Gelli, il capo della P2. Gelli e Trapani: P2 e Iside 2, due logge super segrete, la Iside 2 a Trapani era un “salotto” dove sedevano mafiosi e colletti bianchi, qui si decidevano le sorti della città. Elezioni, incarichi pubblici, gestione dei Palazzi del potere cittadino. Questo è il contesto in cui Mauro Rostagno da giornalista ha vissuto e respirato, andando persino a bussare alla porta di chi quei segreti li consceva. Voza ha aggiunto – ai fatti già noti – che “nel 1981 Gelli, all’epoca latitante, partecipò ad una riunione indetta dai massoni trapanesi, presenti anche funzionari pubblici come un vice prefetto e un vice questore”. Ovviamente la circostanza venne appurata molto tempo dopo da un punto di vista investigativo. Mauro Rostagno, invece, la conoscenza di questo fatto l’avrebbe potuta avere fatto quando seppe della presenza di Gelli a Trapani. Il capo della P2, infatti, era tornato più volte nella provincia e si era visto con i mafiosi di Campobello di Mazara (piccolo paese ricco però di logge massoniche sino ad oggi come certificato dalla relazione che ha condotto allo scioglimento per mafia del Comune in tempi recentissimi) e di Mazara del Vallo. Un nome per tutti? Quello di Mariano Agate il capo mafia di Mazara, in carcere oramai dal 1992 e che secondo il qualificato giudizio di molti investigatori se oggi fosse libero sarebbe alla guida di Cosa nostra (uomo più potente del latitante Matteo Messina Denaro). Dal carcere Mariano Agate ha mostrato grande capacità per continuare a comandare. La testimonianza di Voza è stata ricca di particolari, i contatti tra Trapani e Catania a proposito di mafia e massoneria, le minacce che lui stesso ricevette per essersi occupato della Iside 2. Voza, inoltre, ha affermato “mentre era in corso il processo per il delitto del sindaco di Castelvetrano, Vito Lipari, durante una pausa Agate dalla gabbia dell’aula attirò l’attenzione di un operatore tv di Rtc mandato lì apposta da Rostagno a seguire l’udienza, per dirgli di riferire “a chiddo ca varva vistuto di bianco” che la finisse di dire minchiate”. Rostagno seguiva in modo attento quel processo: “Io ero un investigatore – ha detto Voza – lui un giornalista presto mi resi conto che stavamo dalla stessa parte e lui faceva il giornalista sul serio, giornalista che faceva indagini, il fare indagini ci univa”. Voza ha anche poi aggiunto un particolare sulla capacità che Rostagno aveva di essere ascoltato dall’opinione pubblica: “Quando alle 14 c’era il notiziario di Rtc era difficile incontrare qualcuno per strada a Trapani”.

Gli anni ’80 a Trapani. La mafia cambiava pelle, diventava imprenditrice, cominciava a interessarsi direttamente di politica, la scalata dei corleonesi di Riina era già abbondantemente cominciata, il ministro dei lavori pubblici di Totò Riina, Angelo Siino, il regista di super appalti miliardari in mezza Sicilia veniva a Rtc a incontrarsi con l’editore Puccio Bulgarella e Rostagno aveva il suo ufficio a 5 passi da quello di Bulgarella. Gli investigatori cercavano ancora il boss Totò Minore, ritenuto latitante ma il capo mafia di Trapani era già morto e questo Rostagno deve averlo saputo perché in un appunto contenente un elenco di nomi di mafiosi, quello di Minore era depennato e già nel 1988 capo mafia di Trapani era Vincenzo Virga. Virga di mestiere faceva l’imprenditore e si occupava di rifiuti, diceva in giro commentando i suoi affari “trasi munnizza e nesce oro”.

Scalettari e Palladino. L’inchiesta dei due giornalisti parte da lontano, dall’Africa e arriva in Sicilia. Armi, droga e rifiuti infatti sarebbero passati per Trapani con coperture eccellenti. Le stesse esistenti già negli anni ’80 che cominciavano a mettere il cappello su diversi affari che interessavano la mafia, che dalla sua avrebbe avuto complici importanti, gli uomini di Gladio, del centro Scorpione di Trapani. Gladio secondo Scalettari e Palladino – espressione dei servizi segreti – colloquiava con la mafia Uomo cerniera un ex ospite della Saman, Giuseppe Cammisa detto Jupiter, braccio destro del guru della Saman prima e dopo il delitto Rostagno, diventato imprenditore in Ungheria. Citato ampiamente nelle indagini sul delitto di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin “mai nessuno è andato a cercarlo per interrogarlo”. Protetto da qualcuno? Forse.

Gladio e la mafia. Non è una novità che ci sia l’ombra di Gladio dietro al tentato omicidio di Falcone avvenuto all’Addaura, il 21 giugno del 1989 e che su questo episodio si intreccino i segreti mai svelati sulla morte dell’agente Agostino e sulla sparizione di un altro agente dei servizi Emanuele Piazza. Tutti e due facevano la spola con Trapani. Un testimone importante che avrebbe potuto raccontare questi rapporti era il maresciallo Vincenzo Li Causi morto però in circostanze strane in Somalia nel 1993, mentre la Procura di Trapani indagava su Gladio e dopo averlo sentito si stava preparando a rifarlo. Un particolare che spesso finisce dimenticato è quello che il tritolo usato all’Addaura nel 1989 è lo stesso usato nel 1984 e nel 1985 in altri due attentati, quello al treno rapido 904 e a Pizzolungo contro Carlo Palermo. Nel 1988 Rostagno stava cercando elementi su Pizzolungo, Carlo Palermo e sul delitto del 1983 di Ciaccio Montalto, comune denominatore tra Ciaccio Montalto e Carlo Palermo, i traffici di armi e droga dalla Turchia, indagini fermate dalle ingerenze della politica e in particolare per Palermo dall’allora primo ministro socialista, Bettino Craxi. E pezzi forti del Garofano erano di casa a Saman, ma i contatti con Craxi in quel 1988 erano gestiti direttamente da Francesco Cardella, il guru della Saman, le famose bobine delle intercettazioni sparite dal comando dei carabinieri pare contenessero le “chiacchiere” tra Cardella e Craxi, dopo il delitto Rostagno. Un’altra udienza insomma che riconduce il delitto di Mauro Rostagno all’unica matrice possibile, quella della mafia. Mauro Rostagno non taceva nulla in tv e certamente non avrebbe taciuto quello sul quale stava lavorando nel momento in cui avrebbe avuto ogni tassello al suo posto. E in quel settembre del 1988 mancava poco a lui per mettere apposto il puzzle.

Il processo. A seguire l’udienza seduto al fianco di Maddalena Rostagno, in aula c’era l’ex leader di Lotta Continua Adriano Sofri…..L’udienza l’ha commentata così sulla stampa il giorno dopo: Nell’udienza del processo per l’assassinio di Mauro Rostagno a Trapani, cui ho potuto assistere (un’udienza del tutto ordinaria, come altre dozzine) ho trascritto alcune frasi di testimoni che vorrei riportare senza commento. Una è la semplice domanda che una testimone, che a suo tempo, ragazza, si misurò con questo problema, ha rivolto al difensore dei mafiosi che la interrogava: “Ma lei sa che cos’è un tossicodipendente?”. Le altre le ha pronunciate un sottufficiale della Finanza, che a suo tempo operava a Trapani. Domanda: “Ma lei come sa che il lavoro giornalistico di Mauro Rostagno era molto seguito?” Risposta: “Perché alle due meno dieci a Trapani, quando c’era il suo notiziario televisivo, non si vedeva più nessuno in strada”. Domanda: “Ma lei che tipo di conoscenza o di amicizia aveva col dottore Rostagno?” Risposta: “Venivamo da mondi diversi e ci siamo accorti che facevamo la stessa battaglia”. Oggi questa battaglia non è finita e per questa ragione c’è chi pensa che la mafia non c’entri col delitto. La mafia invece, fece da “service” – come in altre occasioni – a poteri più forti, ma nel contempo si levò di mezzo una “camurria” di giornalista come disse il patriarca della mafia belicina, don Ciccio Messina Denaro. Oggi la mafia non spara alle “camurrie” riesce ad emarginarle in altro modo: appoggi istituzionali, pressioni e intimidazioni mettono a tacere i giornalisti scomodi, senza fare rumore.

 

Clicca qui per ascoltare l’audio integrale dell’udienza su Radio Radicale

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