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Schiavi moderni, l’analisi e i numeri del fenomeno in Italia

di Piero Innocenti il . L'analisi

Milleseicentoquarantaquattro persone, dal 2009 al 2012 (al 31 ottobre), indagate in Italia, in stato di arresto o di libertà, per delitti odiosissimi di riduzione in schiavitù o in servitù (art.600 del Codice Penale), di tratta delle persone (art.601 C.P.), di acquisto e alienazione di schiavi (art.602 del C.P.). Nulla a che vedere, intendiamoci, con il penoso episodio verificatosi circa tre mesi fa a Padova in cui una giovane commessa aveva sottoscritto un pluriennale “contratto di schiavitù” (consensuale!) per soddisfare le molteplici “esigenze” del marito-padrone che, forse, avrebbe più bisogno di un buon medico specialista per “migliorare il suo benessere psico-fisico”.

Le migliaia di persone schiavizzate nel nostro paese, nella quasi totalità sono giovani e giovanissimi, maschi e femmine, inseriti nel giro della prostituzione, della pornografia minorile, del lavoro forzato, dei lavori “illegali”, dell’accattonaggio (si pensi che nel 2012, al 31 ottobre, ben 325 –di cui 261 romeni- sono state le persone denunciate per l’impiego di minori nell’accattonaggio).

La schiera di questi delinquenti si è andata ingrossando anche nei primi dieci mesi nel 2012, a giudicare dalle operazioni (almeno una ventina, l’ultima delle quali a Trento, a metà dicembre 2012, con oltre cento persone indagate), svolte dalle diverse forze di polizia sul territorio nazionale. Le cellule che compongono quello che è stato definito un “sistema criminale integrato”(s.c.i.), sono “snelle e specializzate (..) in grado di lavorare in rete nei singoli paesi di transito e di destinazione” (in questo senso il rapporto sulla tratta di esseri umani in Italia, della Direzione Centrale della Polizia Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Settembre 2012).

Il s.c.i. si articola, sostanzialmente, su tre livelli (interdipendenti e complementari), che si dedicano al contrabbando delle persone, al loro sfruttamento, alla riduzione in schiavitù. Al primo (alto) livello abbiamo le organizzazioni etniche, deputate alla pianificazione e gestione dei flussi migratori; ci sono, poi, quelle di livello medio che operano nei territori di confine tra i diversi paesi interessati dal traffico (supporto logistico, preparazione documenti, corruzione, ecc.) e quelle dei “passeurs”, il “livello basso”, che assicurano materialmente il passaggio dei confini. A queste tre tipologie si può aggiungere un “quarto livello”, costituito da coloro (italiani e stranieri) che traggono notevoli benefici dall’asservimento e dallo sfruttamento in loco dei migranti schiavizzati.

Nella non invidiabile graduatoria degli “schiavisti” denunciati alla magistratura italiana nel periodo sopra indicato, in testa troviamo 519 romeni, seguiti dagli italiani (240), dai nigeriani (202), dagli albanesi (98), dai cinesi (39). Nei pochi casi di denunce per acquisto e vendita di schiavi (39 in tutto il territorio nazionale), dopo gli albanesi con sette casi, si trovano i romeni e nigeriani (entrambi con sei denunce) e gli italiani con quattro. Quanto alla tratta di persone, prevalgono i nigeriani (128) e i romeni (116), seguiti, a distanza, dagli italiani (32) e dagli albanesi (23).  

Schiavitù “moderne”, naturalmente illegali, fenomeni criminali ancora, purtroppo, diffusi ( in Italia e in molti altri paesi), che forze di polizia e magistratura cercano di combattere ( esemplare la recente sentenza della Corte di Assise del Tribunale di Piacenza che ha condannato, in primo grado, alcune persone nigeriane e un piacentino, per sfruttamento della prostituzione e riduzione in schiavitù).

Triste, ancora oggi, nella civile Italia dover ancora parlare di schiavi. Triste dover ancora vedere centinaia di stranieri, nella piana di Gioia Tauro e di San Ferdinando, raccogliere arance e clementine per una manciata di euro al giorno, cacciati, poi, dalle baracche abusive e fetenti perché nessuno ha saputo ancora dare una risposta al bisogno di solidarietà e rispetto della dignità umana.

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