ncendi, atti intimidatori, cementificazione selvaggia e indebitamento delle famiglie e delle imprese, con prestiti a tassi usurai. Accade nella provincia di Frosinone, a pochi chilometri dalla Campania. Ma chi denuncia e chiede di sapere, si trova spesso isolato. Con le elezioni regionali alle porte una parte dei cittadini sceglie di mettere al centro del dibattito politico i temi della legalità e della lotta alle mafie e corruzione. Per loro rompere il muro del silenzio è il primo obiettivo. Lo hanno fatto lo scorso 14 dicembre a Frosinone, in un dibattito coordinato da Giuseppina Bonaviri, incontrando la rete di associazioni di Libera e condividendo analisi e proposte con Loredana Maramao, avvocato e magistrato onorario, la coordinatrice nazionale di Libera, Gabriella Stramaccioni, Ferdinando Secchi, responsabile Libera per il Lazio, Giacomo Rindonone, psicologo e esperto di microcredito e la Fondazione Libera Informazione.
Mafie nel Lazio, una storia lunga decenni. Parte dalla relazione Chiaromonte degli anni ’90 la coordinatrice nazionale di Libera, Gabriella Stramaccioni, per spiegare come siano proprio atti ufficiali delle istituzioni a parlare dettagliatamente e lanciare l’allarme sulla presenza stabile delle mafie nel Lazio. In un passaggio della relazione si legge: “la delinquenza mafiosa e congenere può ritenersi in qualche misura ‘trasmigrata’ nel Lazio e, in forma tutt’altro che evanescente, in una parte del suo Sud e della provincia di Roma, tanto in guisa diretta quanto attraverso connessioni locali, e anche con l’espediente di surrettizi impegni diversificati in molteplici comparti dell’economia legittima e della sottoeconomia”. […] “Roma e provincia hanno costituito meta di importanti personaggi della mafia, della ‘ndrangheta e della camorra, che hanno stabilito collegamenti con esponenti della malavita romana e con faccendieri legati ad alcuni settori del mondo economico e finanziario”. Eppure da questa analisi poco è stato fatto – commenta la Stramaccioni. La reazione di chi doveva contrastare mafie e corruzione è stata un passo indietro alla velocità di penetrazione dei clan, soprattutto nel basso Lazio dove oggi, dopo la Capitale, si concentrano gli interessi criminali dei boss. Qui hanno messo radici, camorra, ‘ndrangheta e Cosa nostra e oggi sono parte integrante del tessuto sociale, spostano pacchetti di voti, infiltrano l’economia legale, attraverso usura a famiglie e piccole imprese. Seguendo la pista dei soldi si risale lo stivale e ci si ferma a Frosinone e Cassino. Due realtà più volte citate in documenti ufficiali della Direzione nazionale antimafia nel 2009, guidata da Piero Grasso “… appare utile realizzare un efficace coordinamento con le Procure circondariali, soprattutto Latina e Frosinone. Gravi episodi – gambizzazioni, incendi, attentati – si realizzano infatti quasi quotidianamente in quei territori, ma vengono rubricati, e trattati, come fatti di criminalità comune. La parcellizzazione delle indagini impedisce di cogliere, in tali avvenimenti, i segnali della presenza della criminalità mafiosa e favorisce il suo progressivo radicamento”. Un maggior coordinamento fra le forze investigative – chiedeva dunque Grasso – di fronte ad una realtà visibile e già penetrata nel territorio, anche di Frosinone. Tanti i clan che operano più o meno direttamente su questo territorio, dai Casalesi, al clan Venosa, al Clan Esposito – Muzzoni, ai Casamonica-Di Silvio. Non solo camorra, ancora più invisibile ma pericolose sono le infiltrazioni criminali da parte delle ‘ndrine, che dalla capitale al basso Lazio, ripuliscono soldi derivanti soprattutto dal narcotraffico.
Usura e reati ambientali, gli affari dei boss. «L’allarme usura è alto in questo territorio – ricorda la coordinatrice nazionale di Libera – dobbiamo vigilare, denunciare e fare rete per contrastare questo reato con il quale le mafie si fanno strada sul territorio riducendo sul lastrico famiglie, imprese e prendendo il controllo della vita delle persone, strette fra crisi economica, indebitamento e violenza criminale. Gli sportelli
Sos giustizia, ricorda la Stramaccioni, sono nati proprio per accompagnare le vittime di questo reato alla denuncia e per sostenerli durante e dopo questo importante passo senza il quale non si può ricominciare». La Stramaccioni spiega anche come la sottovalutazione del problema e il silenzio di molti, qui come altrove, abbia intensificato il radicamento dei clan ma sottolinea anche il coraggio di tanti che, tutti i giorni in tutto il Paese e anche a Frosinone, lottano per liberare intere aree del Paese da mafie e illegalità, attraverso una assunzione di responsabilità individuale e collettiva.
Un percorso, quello della rete di associazioni impegnate nel sociale, che fa tappa a Frosinone ma che riguarda tutta la regione che con le elezioni alle porte oggi più che mai può fare sentire la propria voce e far cambiare rotta alla gestione della cosa pubblica. Come spiega nel suo intervento Ferdinando Secchi, referente di Libera per il Lazio. «Serve fare rete, mettere insieme competenze, sensibilità e al centro obiettivi comuni – spiega Secchi. In questi mesi con la vasta rete di associazioni impegnate nel sociale in tutta la regione, abbiamo messo a punto una piattaforma di proposte per una regione libera da mafie e corruzione: si va dal riutilizzo sociale di tutti i beni confiscati nel Lazio, sino ad un uso responsabile dei soldi pubblici, ad un investimento nel sociale e nella formazione».
(Clicca qui per leggere la piattaforma presentata a Roma alcuni mesi fa).
I numeri delle mafie nel Lazio. Oltre 46 clan operano in questa regione, oltre seimila operazioni finanziarie sospette. Questa la fotografia scattata solo qualche mese fa dal dossier di Libera. Questo territorio, come confermano le analisi del Servizio centrale antidroga, è uno degli snodi nevralgici per il commercio di stupefacenti in Italia. Nel 2011, infatti, sono state 2.862 le operazioni antidroga nel Lazio, seconda solo alla Lombardia, con un incremento pari al 20,86% rispetto al 2010, per un totale di kg 7.945 di droga sequestrata (+307,18% in un anno). Numeri impressionanti ma che non da soli non bastano a raccontare l’avanzata costante dei boss nella regione. A questi si associano, infatti, in maniera preoccupante i delitti contro la Pubblica amministrazione: il peculato (65 reati contro pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio), la corruzione (171) e la concussione (53). E il riciclaggio di denaro sporco. Quello della provincia di Frosinone, inoltre, è un territorio profondamente attraversato dalla crisi economica e che sente lontane le istituzioni e le realtà economiche che dovrebbero sostenere lo sviluppo. Qui la difficoltà di accesso al credito e la poca trasparenza dei percorsi finanziari portano un alto tasso di indebitamento, la chiusura di numerose imprese del territorio a licenziamenti e poche possibilità per i giovani di trovare lavoro. Una realtà documentata dall’attività degli sportelli d’ascolto e raccontata durante il dibattito dallo psicologo e esperto di microcredito, Giacomo Rindonone, che in questi anni, giorno dopo giorno, hanno raccolto numerose richieste d’aiuto e hanno provato a non lasciare sole vittime di usura ma anche di scelte bancarie che non mirano a restituire al territorio i risparmi che i cittadini depositano nelle stesse banche. Bisogna ripensare il rapporto fra finanza, etica e sviluppo economico, spiega nel suo intervento – “mettendo nuovamente al centro imprese, lavoro e cittadini”. «C’è un inquinamento costante – spiega Rindone – dell’economia, gli imprenditori sono piegati da un concorrente occulto: le mafie. E ai centri d’ascolto aumentano le richieste d’aiuto»
Magistratura e informazione. Infine il ruolo di chi le inchieste le deve fare, la magistratura e chi le deve raccontare, portandole a conoscenza dell’opinione pubblica, i mezzi di informazione. E’ il giovane magistrato onorario e avvocato, Loredana Maramao, a raccontare questa provincia in bianco e nero: dai rapporti regionali sulle infiltrazioni mafiose nella regione, alle carte giudiziarie (poche) e alle cronache dei giornali. Usura, reati ambientali, riciclaggio, tentativi di infiltrazione nel tessuto sociale, sono i varchi di accesso dei boss, soprattutto la camorra, alla macchina amministrativa pubblica. Le stesse organizzazioni criminali qui e a pochi passi da qui gestiscono una rete di narcotraffico fra le più potenti al mondo, insieme alla ‘ndrangheta. E che scelgono questo tessuto economico per investire sotto falso nome in attività legali, commerciali e imprenditoriali, mimetizzandosi in un territorio che fa fatica a riconoscerli e quando accade ha ancora paura di denunciare. Il magistrato ricorda dunque quanto sia indispensabile per sostenere l’attività della magistratura fare la propria parte di cittadini responsabili e – nonostante le lentezze e le difficoltà del sistema giudiziario, continuare a credere nella giustizia e nello Stato – “facendo camminare sulle nostre gambe i valori e la lotta alle mafie che Borsellino e Falcone ci hanno lasciato in eredità con il loro impegno”. Una tappa importante quella organizzata a Frosinone anche per Libera Informazione per lanciare un appello ai media nazionali e locali perché raccontino quello che accade, nelle cronache dei giornali e nei sommari dei Tg, «perché questo è un pezzo di Paese reale, che vive a sovranità limitata a democrazia incompiuta soffocato da mafie e corruzione». Ma anche un appello ai cittadini di Frosinone perché si occupino di quello che accade nel mondo dell’informazione locale dove sempre più giornalisti precari e giovani si trovano soli a raccontare l’avanzata delle mafie, spesso contro le linee editoriali dei propri giornali, spesso stretti fra minacce e querele temerarie. L’Osservatorio Ossigeno ha censito nel 2012 circa 19 casi di intimidazione nel Lazio a operatori dell’informazione, con un totale di 33 giornalisti coinvolti. «Molti di loro non vivono a Roma, non raccontano le cronache nazionali ma lavorano nelle periferie, nelle province, nei territori meno illuminati. Qui – rilancia Libera Informazione – cittadini e giornalisti devono fare squadra per difendere informazione come “bene comune” perché senza informazione non si può prendere parte alla gestione della cosa pubblica, e monitorare l’attività e la trasparenza delle nostre pubbliche amministrazioni».