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Giovanni Tizian: «Mio padre mi ha insegnato a resistere»

Di Anna Foti il . Calabria

Dirigersi a casa una sera di ottobre, senza mai arrivarci. Essere ucciso a colpi di lupara mentre da Locri si rientra a Bovalino, in provincia di Reggio Calabria, dentro la propria auto dopo una giornata di lavoro come tante, forse per una pratica in odore di mafia cui non è stato riservato il trattamento atteso. E’ accaduto il 23 ottobre 1989 a Peppe Tizian, ‘bancario integerrimo’ come detto a ridosso del ritrovamento dagli agenti del Commissariato di Siderno. Lì sulla Statale 106 di fronte all’area archeologica di Locri Epizefiri fu ritrovato il suo corpo esanime con l’arma del delitto, un fucile calibro 12 con matricola abrasa e caricato a pallettoni, a pochi passi. Oggi in quello stesso punto sorge un murales cui Istituzioni e Cittadinanza dovrebbero dedicare maggiore attenzione non come si ha cura di qualcosa di passato, vecchio e trascurabile ma come si coltiva un valore che genera futuro e speranza come appunto la memoria. La storia di Peppe Tizian potrebbe essere archiviata come tante altre storie di Giustizia denegata e potrebbe essere dimenticata come tante altre storie di resistenza e di ingiustizia non consentita. Ecco perché, invece, occorre ricordarla. Silenzi e depistaggi fino all’impunità. Oggi la famiglia Tizian vive in Emilia Romagna ma conserva un forte legame con la Calabria, con Bovalino dove torna ogni estate.  Questa estate il figlio di Peppe, Giovanni giornalista d’inchiesta che ha denunciato connivenze, malaffare e infiltrazioni mafiose della ‘ndrangheta e della camorra in Emilia e che per questo vive sotto scorta, non è sceso in quella Calabria alla quale non rinuncia. Nell’occasione del ventitreesimo anniversario della morte di suo padre, lui si è raccontato con la genuinità e la semplicità di un giovane che ogni giorno pratica la resistenza civile ed insegna ottimismo e speranza.
 
Chi era Peppe Tizian, uomo e padre?

Un instancabile sognatore, ma con i piedi sempre per terra. Affettuoso e duro quando serviva. Amante delle moto e dei motori. Sentiva la giustizia sociale come un principio da cui la società non poteva prescindere. Come padre per i pochi anni che mi ha tenuto per mano è stato capace di trasmettermi coraggio e onestà. E con la sua morte mi ha insegnato a resistere. 
 
Il 23 ottobre 1989, a colpi di lupara, veniva assassinato tuo padre, Peppe Tizian mentre da Locri rientrava a Bovalino dopo una giornata di lavoro. Quanti anni avevi? Cosa ricordi o cosa ti è stato raccontato di quella sera?

Avevo 7 anni, ricordo poco e niente. Immagini confuse, una nebulosa di ricordi. Ricordo che mi è stato raccontato subito come un incidente, poi la verità. Terribile.   
Peppe Tizian, un funzionario di banca che non si è piegato al malaffare mafioso. Un esempio di integrità. Un uomo per bene che, come tanti (troppi) per la sua rarità assurge, quando è troppo tardi per onorarne e difenderne la vita, ad eroe. Ma secondo te, tuo padre era un eroe o un uomo per bene. Come vorresti che fosse ricordato?

Come un lavoratore normale, non credo negli eroi (in questo pese gli eroi servono solo a liberare la collettività dalle responsabilità e dall’impegno quotidiano, come dire: “tanto ci pensano gli eroi a salvarci, noi possiamo stare tranquillamente a guardare’”). Vorrei che fosse ricordato come Peppe Tizian, padre, lavoratore, uomo, con i suoi sogni, i suoi ideali, i suoi sbagli, il suo impegno.  
Quella sera la tua vita è cambiata e forse anche il futuro che avresti scelto. Tu oggi racconti la ndrangheta nella tua attività giornalistica. Ormai emiliano di adozione, hai drammaticamente ritrovato anche lì il fenomeno mafioso. Come sei arrivato scegliere questo mestiere e perché hai scelto di occuparti proprio di mafia?

Ho iniziato quando mi sono accorto di alcune logiche che regolano la vita economica anche in Emilia. Il favore, la corruzione, gli incendi dolosi, le minacce, la cocaina. Mi sono chiesto chi stesse dietro a tutto questo. E piano piano con la Gazzetta di Modena abbiamo iniziato a raccontare il potere dei clan in Emilia, e al nord. Potere che non porta il nome solo di ‘ndrangheta, ma anche di clan dei casalesi. 
Gli emiliani cosa pensano della ‘ndrangheta in casa loro e della Calabria?

C’è un pezzo di comunità  che ha compreso la pericolosità sociale ed economica della ‘ndrangheta. Altri, la maggior parte, continuano a non pensarci, a minimizzare, a rimuovere il problema. Soprattutto la politica e l’imprenditoria evitano di andare oltre e affrontare il problema per quello che è, cioè economico e non più roba di guardi e ladri. Di ordine pubblico. 
 Rischi la vita, come l’ha rischiata e drammaticamente perduta tuo padre. Perché pensi che valga la pena di onorare la funzione sociale del giornalismo fino a questo punto?

Quando ho iniziato a scrivere non credevo di dovere arrivare a questo punto per continuare a lavorare. Ma questa è l’Italia. Un Paese che mal sopporta l’informazione, la libera informazione. Onorare la funzione sociale del giornalismo vuol dire innanzitutto raccontare quello che costringe il nostro Paese in questa immobilità. Stretto tra corruzione e mafia. Quella funzione sociale non la si onora perché viene assegnata una scorta, ma si onora lavorando assiduamente per contribuire alla formazione di una coscienza collettiva, credo che il giornalismo e l’informazione possano essere uno strumento a disposizione dei cittadini con i quali essi possono leggere la realtà che li circonda. Spetta a loro poi chiedere conto alle Istituzioni. Spetta a loro boicottare i locali di cui scriviamo negli articoli e li indichiamo come mafiosi. 
Ti sei mai sentito solo nel dire la verità? Le verità hanno un prezzo o un valore?

Solo mai. Siamo in tanti e altrettanti hanno creato una rete senza precedenti, una rete che chiede diritti, regole, giustizia. E verità. Senza verità non ci può essere giustizia. L’Italia dei misteri ha bisogno di sapere, di conoscere, chi l’ha ridotta così. Credo sia un valore fondamentale per una democrazia vera. 
 Cosa hai pensato quando hai saputo della campagna promossa da ‘DaSud’ “Io mi chiamo Giovanni Tizian” ? Che valore ha la solidarietà?

Ha un valore enorme, i ragazzi di daSud sono persone splendide. Sempre vicine e compagni di viaggio nel recupero della memoria estorta. 
Secondo te lo sfruttamento del lavoro, la privazione di un presente e di un futuro, costituiscono una forma di mafia?

Sono un ricatto a una generazione. ‘Vi diamo il futuro solo se ci votate’, in molti paesi funziona così. A volte questo ricatto si mischia al potere delle mafie, altre sono politiche neoliberiste. Stanno svuotando il senso del lavoro.  

 Ti sei mai pentito delle tue scelte?
No mai, anzi siamo sulla strada giusta. 
Dopo il libro inchiesta “Gotica. ’Ndrangheta, mafia e camorra oltrepassano la linea”, di cosa ti stai occupando in questo momento e che progetti hai?
Sto scrivendo un secondo libro. E lavoro per il gruppo Espresso 

Cosa è  per te la paura e cosa il coraggio?

La paura è la sensazione di trovarsi da solo di fronte al pericolo, agli ostacoli, alle tragedie. Il corag
gio è una forma di resistenza, diversa dal coraggio prepotente e gradasso del mafioso o del corrotto, il coraggio vero è la spinta a dire di no alle ingiustizie, opporre dei no di fronte a scorciatoie che possono anche avere conseguenze sulla propria vita. 
Da quanto manchi dalla Calabria e come è ritornare in questi luoghi straordinari e maledetti al contempo? Che legame hai con questa terra?

A Bovalino ci torno ogni estate. Prima ci tornavo tre volte all’anno. Solo quest’anno non ho visto il mio mare. Ho un legame fortissimo, per il mare dello Jonio è un elemento essenziale. Non potrei farne a meno. Certo, mi ha fatto molto male. Ma ho imparato a vivere il bello della Locride. Nonostante tutto e nonostante le critiche subdole che ho ricevuto proprio da quei paesi.  
 Hai partecipato alla Lunga Marcia della Memoria, con Deborah Cartisano e Stefania Grasso. Che valore attribuisci alla memoria di coloro che hanno pagato con la vita il coraggio di opporsi e di resistere civilmente alle mafie?
Il punto di partenza per il cambiamento. La memoria è il motore del cambiamento. La memoria non si può rottamare o cancellare. E’ più forte di tutto. E ritorna sempre. La Lunga marcia è un esperienza unica. Che tutti gli italiani dovrebbero fare. 
 Se tuo padre fosse vissuto in questo frangente storico ed avesse oggi opposto resistenza… l’epilogo sarebbe stato il medesimo? Perché?
Non lo so. Non credo. Quei tempi erano di una ferocia unica.  
 Il delitto di tuo padre non ha responsabili. Un’altra vergognosa impunità. Perché secondo te?
Non ho una risposta, o meglio la risposta è  agli atti e nel decreto di archiviazione. Mancanza di indagini approfondite. Il fatto è che, come mio padre, altre vittime sono rimaste senza giustizia. Erano anni terribili, i sequestri, gli omicidi, le faide. Massoneria e ‘ndrangheta a braccetto. Imprenditori impuniti. A distanza di anni, quel vuoto mi fa ancora molto male. E ancora più male mi ha fatto avere constatato che le indagini sono state superficiali. Lo raccontano bene Alessio Magro e Danilo Chirico in “Dimenticati”.  
Come tu e la tua famiglia avete convissuto in questo lungo ventennio e come continuate a convivere con questa ingiustizia perdurante? Quanto questo incide sulla fiducia che nutrite nelle Istituzioni?
Viviamo con un vuoto. E’ come se ci mancasse un pezzo della nostra vita. La fiducia nelle Istituzioni c’è sempre stata. Il problema sono certe figure che popolano le istituzioni, questa è un’altra storia.  

 Che opinione hai dell’Antimafia, cosa pensi dei ‘professionisti dell’antimafia’ di Leonardo Sciascia? Credi che oggi vi siano politici, magistrati, giornalisti ed altri professionisti capaci di strumentalizzare la fondamentale ed ineludibile lotta al crimine organizzato per carpire voti, fare carriera, ottenere visibilità e stare sul mercato?
Credo solo che la competizione faccia molto male all’antimafia. Professionista dell’antimafia hanno chiamato pure me, colleghi di Modena e calabresi. Ma che dicano quello che vogliono, personalmente continuo a scrivere, a impegnarmi e a lottare insieme alle realtà impegnate nell’antimafia. Il resto lo lascio a chi vorrebbe contrapporre blocchi.    
 Quali risultati importanti ha raggiunto, secondo te, l’Antimafia oggi e quali ancora non è riuscita a raggiungere?
Occupare i beni un tempo dei padrini. Far pentire affiliati. Offrire un’alternativa. Non è ancora stata capace di vincere. Ma la strada è quella giusta. Forse i nostri figli…chissà.  
Quale la sfida che ti attende adesso e quale credi sia la sfida che attende l’Italia e la Calabria?
All’Italia spetta la sfida di diventare un Paese normale, senza misteri e trame torbide. Un paese giusto. E idem per la Calabria dove i segnali importanti non mancano. Tanti imprenditori rialzano la testa. 
 Che cosa oggi Giovanni vorrebbe poter dire a suo padre Peppe?
Vorrei dirgli tante cose. Che mi manca, che con lui mi hanno strappato i ricordi, che il capanno ogni anno è sempre più bello, che il murales di Locri è per lui, che da domani ci sarà un murales anche a Carpi(Mo), che siamo ancora qui a resistere, nonostante tutto e tutti.  E che forse questa guerra la vinceremo. 
*Anna Foti per  www.strill.it

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