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Una strage senza fine

Di Piero Innocenti il . Internazionale

Continua la mattanza in Messico. L’ultimo rinvenimento risale al 30 ottobre scorso con pezzi di due corpi di donna, senza testa, ritrovati alla periferia di Tutiplan (Stato del Messico).Uno spettacolo terrificante, messo in scena dai narcos come ammonimento per chi li contrasta. La crudeltà e la bestialità delle stragi che alcuni gruppi di narcotrafficanti messicani hanno compiuto negli ultimi anni lasciano sgomenti. 
Dall’episodio, nel settembre 2006, ancora vivo nella memoria di molti abitanti di Uruapan, di cinque teste fatte rotolare su una pista da ballo in una discoteca, alle decine di corpi mutilati e appesi ai ponti pedonali di alcune città, ai quarantanove tronconi umani trovati senza testa, braccia e gambe, lungo la strada di Cadereyta nel maggio c.a., le stragi si sono succedute a ritmi incalzanti. Dopo alcuni episodi di autobomba fatte esplodere innanzi a caserme o a sedi di giornali, sono iniziati veri e propri massacri nella lotta tra cartelli e bande di narcos che si contendono pezzi di territorio per il traffico di droghe e il controllo degli itinerari di esportazione. Le teste mozzate (e gli squartamenti dei cadaveri) si stanno ripetendo a ritmi impressionanti. Dalle 32 teste mozzate nel 2007, si è passati alle 493 nel 2011. E alla fine del corrente anno si teme che il numero sarà ancora superiore. Si potrebbe pensare che si tratta di delinquenti con gravi problemi di alterazioni psichiche e la vicenda di uno di questi, conosciuto come “El Pozolero” che guadagnava seicento dollari per ogni cadavere sciolto nell’acido (operazione compiuta per circa trecento persone) racconta di una scia di sangue inarrestabile. Mentre scriviamo si susseguono le notizie di altri cadaveri mutilati, decapitati e con segni di torture subite, rinvenuti a Tamaulipas, nel municipio del Fuerte (Sinaloa), a Venustiano Carranza (Michoacan), a Coyacan, a Monterrey. 
L’atrocità e la ferocia, si dice, fanno parte della cultura del tempo. In Italia, poco più di tre mesi fa – il 20 agosto – il ritrovamento, ad Afragola, a bordo di un’auto, del cadavere di un pregiudicato della camorra, decapitato ( fatto insolito) e bruciato, ha suscitato qualche perplessità negli investigatori. Nel nostro paese, soltanto ai tempi delle dominazioni spagnola e francese e della lotta contro gli “insorti”, gli episodi selvaggi e di primitività erano particolarmente ricorrenti come ci ricorda Ciconte nel suo pregevole libro Briganti e banditi” (Rubbettino, 2012):  “...tagliano la testa agli insorti e la sostituiscono con quella dei maiali appena mangiati dell’esercito”. Oppure sui giacobini “..uccisi in vari modi e decapitati..le teste infilate nelle pertiche ed esposte nella piazza mentre la gente balla allegramente nello spiazzo imbrattato di sangue”. Lo squartamento, poi, era usanza antica e abituale che veniva praticata in tutto lo Stato pontificio. Ai tempi di SistoV, il Pontefice che volle affrontare i banditi con grande determinazione, “..c’erano più teste tagliate a Castel S. Angelo che cocomeri al mercato”. Il taglio della testa fu una pratica costante dal Seicento all’Ottocento.
In Messico, per i mafiosi, rappresenta un (macabro) rituale simbolico per incutere timore e diffondere terrore tra la gente e nei confronti di gruppi rivali. L’esposizione di cadaveri con le teste recise (pare che siano stati assoldati per queste operazioni anche macellai e chirurghi), contenute, talvolta, in borse termiche, con gli occhi bendati, incancreniscono l’odio e alimentano il rancore degli avversari in una spirale di violenza e di vendetta che sembrano inarrestabili. Le atrocità di questo genere sono andate aumentando mentre il Messico si preparava alle elezioni presidenziali del primo luglio (vinte da Enrique Pena Nieto, del PRI). Un paese, per altri versi splendido, in cui, tuttavia, oltre il 70% dei 2431 municipi è sostanzialmente sotto il controllo delle mafie, con più di sessantacinquemila omicidi (cui si aggiungono le migliaia di persone scomparse senza lasciare traccia) collegati alla c.o. nei sei anni di presidenza Calderon, con un’impunità di oltre il 95% dei delitti. Un paese così non può essere un paese libero.
I cartelli messicani, intanto, hanno aperto vere e proprie “agenzie” di rappresentanza in Australia (accordandosi con la ‘ndrangheta), Guatemala, Honduras, Costarica, Nicaragua, San Salvador, Perù Argentina, Colombia, Belgio, Olanda, Spagna, Usa, Italia, Hong Kong, Cina , Malesia. Rapporti particolarmente stretti hanno instaurato con la ‘ndrangheta. Le operazioni internazionali di polizia (Solare, Crimine, Crimine2 e Crimine3), svolte negli ultimi quattro anni e coordinate dalla DDA di Reggio Calabria, hanno ben evidenziato i rapporti di “affari” tra la mafia calabrese e i temibili Los Zetas. Il cartello di Sinaloa guidato da El Chapo avrebbe avviato “affari” anche con Cosa Nostra. Quest’anno (marzo 2012), il sequestro nel porto di Gioia Tauro (controllato dalla ‘ndrangheta), di 260 kg di cocaina in due container su due navi,una delle quali salpata dal porto messicano di Mazatlan e l’operazione “Monterrey” (Dda di Palermo e Polizia di Stato), nel mese di maggio, iniziata nel 2006 con il sequestro di oltre 400 kg di cocaina spedita in Italia da un italiano residente in Messico, hanno confermato le “saldature operative” tra le due mafie. E non è finita. Nei primi dieci mesi di quest’anno, gli arresti di diciotto “narcorrieri” messicani negli aeroporti italiani, con il sequestro di oltre cinquanta chilogrammi di droghe, lasciano intendere che gli affari proseguono a gonfie vele. 
 

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