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Donne malavitose

Di Piero Innocenti il . L'analisi

L’arresto, eseguito dai carabinieri, alcuni giorni fa a Torre del Greco (Napoli), di un “manipolo” di ben dodici donne camorriste (su di un totale di quarantasette ordinanze di custodia in carcere emesse dal gip), con ruoli non secondari nella organizzazione criminale, sembra confermare quella linea di tendenza alla aggressività e alla devianza che hanno caratterizzato, negli ultimi anni, il mondo criminale femminile, giovane e meno giovane. Qualche tempo fa era toccato alla moglie e alla sorella del boss Giuseppe Madonia, detto “Piddu”, finire in carcere per estorsione ed usura, mentre in provincia di Imperia, la stessa sorte subiva un’arzilla “nonnetta” di 81 anni condannata ad un residuo di pena di sei mesi di reclusione per detenzione di droga ai fini di spaccio. 

Diverse le donne che  hanno varcato la soglia delle  carceri nel nostro paese se si pensa che, alla data del primo novembre 2012, nelle patrie galere, si annotava la presenza di oltre duemila detenute  (in parte imputate ed altre già condannate) di cui oltre 200 per delitti collegati agli stupefacenti. I numeri, naturalmente, variano giornalmente in relazione alle attività di polizia giudiziaria e ai provvedimenti della magistratura. Non c’è dubbio, comunque, che fa sempre un certo effetto parlare di criminalità al femminile. Di solito la criminalità si associa al genere maschile o alla donna come vittima, come “capro espiatorio”, oppure alla moglie di un capo mafioso.

Per secoli alle donne è stata in un certo senso negata questa possibilità di essere aggressive e la loro “colpevolezza”, nei casi in cui emergeva, era attribuibile esclusivamente a momenti di follia o di completa subordinazione all’uomo. Sappiamo bene come filosofi e santi consideravano, nei tempi antichi, le donne innanzi alla legge. Per Solone le donne non avevano nessun diritto. Il diritto romano ne proclamava la “imbecillità” (intesa come debolezza). Quello canonico considera(va) la donna come la “porta del diavolo”. Pitagora parlava di un principio buono che ha creato l’uomo e di uno malvagio che ha creato il caos, le tenebre, la donna.

Per San Tommaso, la donna era un ..uomo frustrato, mentre Sant’Agostino definiva la donna “una bestia che non è stabile”. Il codice napoleonico parlava di donne schiave e di “nostra proprietà”. 

Il mutamento che riguarda la presenza e il ruolo delle donne nel mondo della criminalità non è soltanto un “fatto italiano” anche se, per esempio, è nella società calabrese che, da tempo immemorabile, vendetta e omertà nelle varie faide sono sempre state affidate alle donne. In varie parti del mondo (Messico, Colombia, Costarica) si è registrato un incremento apprezzabile della criminalità femminile al punto che criminologi e sociologi parlano di una “tendenza alla femminilizzazione” del mondo criminale nel quale la bellezza risulta essere uno strumento formidabile di inserimento e di potere.

Tre sono le teorie che si sono sviluppate nel tempo: quella definita della “nuova criminalità”, secondo cui le maggiori opportunità offerte alle donne nella vita sociale, le inducono a svolgere ruoli affidati di norma agli uomini anche nel mondo criminale; una seconda teoria, detta della “necessità economica” è collegata ad una accentuata emancipazione femminile che porta inevitabilmente la donna a dover soddisfare le accresciute esigenze personali; c’è, infine, quella delle “opportunità economiche” che considera la criminalità femminile effetto di un accesso più ampio alle strutture di opportunità del mondo economico.

Insomma, il denaro, gli affari, la bella vita, attirano tutti e, quando, poi, la donna ha al suo attivo una bellezza ed uno charme particolari, si registrano certamente per lei maggiori possibilità di successo nel mondo ( anche politico, come è ben noto in Italia!) e anche nel difficile contesto della criminalità organizzata.

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