La vera innovazione economica nelle mozzarelle di Libera
Quando associo le parole innovazione ed economia, io non penso mai alla Apple che, secondo me, ha invece semplicemente aggiornato un prodotto, senza cambiare la vecchia e pessima formula della delocalizzazione oltreoceano, per sfruttare la manodopera locale ai limiti della schiavitù e della dignità umana. Vecchio, sporco trucco per fare tanto profitto, per fortuna con qualche interessante conseguenza, come il recentissimo sciopero nella Foxconn di Zhengzhou (che la stessa azienda pare abbia minimizzato come “problemi con un piccolo gruppo”). Quando ragiono su cosa significhi innovare oggi in economia il mio pensiero va invece a quanto ho visto ieri, nella mia visita accademica con gli studenti universitari americani del Sant’Anna Institute di Sorrento, presso la cooperativa “Le terre di Don Peppino Diana” (nata nel settembre 2010, fa parte del Consorzio di Cooperative Libera Terra) e il loro fornitore di latte biologico, l’azienda agricola Ponterè, tra Castelvolturno e Cancello Arnone, in provincia di Caserta.
Cosa c’è di innovativo in una cooperativa che produce mozzarelle di bufala, in “Terra di lavoro” e di camorra? Tantissimo, così tanto che faccio fatica ad elencare tutto. Ma ci provo: la destinazione d’uso sociale di beni confiscati alla potente camorra locale, affidati dai 5 Comuni a un costituendo soggetto privato tramite un trasparente bando pubblico ed un’accurata selezione; la partecipazione di tre fondazioni private per finanziare la trasformazione dalle stelle nelle stalle, necessario intervento dopo un primo, ingente spreco di fondi pubblici (ma questa non è una novità); il coraggio di 5 giovani che cambiano totalmente vita e si dedicano all’agricoltura pulita, antimafia, nonostante le minacce e le ritorsioni dei clan; il valore e la fierezza di fare qualcosa di utilità, di pieno, di vivo, che compensa la fatica, i magri stipendi; la solidarietà dei compratori, botteghe di commercio equo, gruppi di acquisto e cooperative di tutta Italia; il progetto col Ministero di Giustizia che si affida alla cooperativa per il recupero di giovani destinati alla vita di carcere; l’apporto di volontari da tutta Italia che affollano i campi della cooperativa ; i locali stessi della cooperativa, che sono caseificio moderno ma anche centro culturale, luogo di incontro in un territorio che è il deserto sociale; il coinvolgere la comunità locale nei festeggiamenti per una nuova fase di avanzamento del progetto – se voi vincete noi vinciamo – dicevano; il valore della legalità come elemento distintivo, sempre, perché i beni da noi acquistati presso la bottega della cooperativa sono usciti accompagnati da regolare scontrino fiscale; il desiderio di migliorarsi, di produrre qualità e non solo solidarietà e mai solo quantità, rinunciando a gran parte del profitto; i rapporti di piena collaborazione con la Ponterè, l’azienda agricola fornitrice del latte biologico; il valore della tutela degli animali e dell’ambiente, scelta strategica costosa ma vincente di questa antica famiglia di allevatori di bufale; l’orgoglio di mostrare, con calma ed entusiasmo, la fatica e la pulizia del proprio lavoro; l’integrazione tra vari aspetti produttivi: la (futura) somministrazione di cibo e l’ospitare gruppi scout e di altri visitatori affianco alla produzione di mozzarella, e la fattoria didattica e l’apicoltura accanto all’allevamento di bufale.
Li avete contati? Io si: sono 15 e ne potrei aggiungere altri. Innovare significa cambiare le relazioni tra i soggetti economici: produttori, consumatori, fornitori, istituzioni, banche, enti no profit.
Ecco, la prossima volta che qualcuno parla di innovazione con troppa approssimazione, invitatelo a contare fino a 15. E la prossima volta che ci chiediamo cosa fare per innovare il mondo, proviamo a supportare queste due belle e sane realtà imprenditoriali del nostro amato e martoriato Sud.
Trackback dal tuo sito.