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Il film “Cesare deve morire” proiettato dentro alcune carceri reggine

Di Anna Foti il . Progetti e iniziative

Un augurio tutto calabrese quello per i Fratelli Taviani, registi di youtube.com/watch?v=lFxpLimRlN4″>Cesare deve morire’, in questi giorni proiettato nel reggino nell’ambito del progetto “Cinema dentro le mura”. La notizia della candidatura all’Oscar come film straniero arriva a Giovanna Taviani, figli di Vittorio e nipote di Paolo in Calabria per promuovere il progetto patrocinato dal Ministero di Giustizia, supportato dalla Provincia di Reggio Calabria e dall’ufficio Garante per i Diritti delle persone private dello libertà personale, realizzato dall’associazione E20. Un dramma intenso tratto dalla celebre tragedia di William Shakespeare, scritta nel 1599 “Giulio Cesare”, ispirata alla storia del grande condottiero romano ed alla congiura che pose fine alla sua vita. Un dramma che dai palcoscenici dei teatri inglesi di epoca elisabettiana giunge intatto ai giorni nostri, capace di interpretare i moti essenziali dell’animo dell’uomo che vive in una situazione estrema, quale la privazione della libertà. Cinema dentro le mura per portare fuori almeno lo spirito.
Il potere e la cospirazione, la lealtà ed il tradimento,  l’onore e l’amicizia, la pace e la guerra, la paura e la libertà, la vita e la morte. Un dramma intenso tratto dalla celebre tragedia di William  Shakespeare, scritta nel 1599 ‘Giulio Cesare’, ispirata alla storia del grande condottiero romano ed alla congiura che pose fine alla sua vita. Un dramma che dai palcoscenici dei teatri inglesi di epoca elisabettiana giunge intatto ai giorni nostri, capace di interpretare i moti essenziali dell’animo dell’uomo che vive in una situazione estrema, quale la privazione della libertà. Cinema dentro le mura per portare fuori almeno lo spirito. Un film, ma la scena è cruda e nuda ed è quella del carcere romano di Rebibbia. Una pellicola che adesso rappresenterà l’Italia e concorrerà come miglior film in lingua straniera in occasione dell’85esima edizione del Premio Oscar, ma che ha già portato, dopo 21 anni di assenza, l’Italia sul podio massimo a Berlino, vincendo l’Orso d’oro 2012. Inoltre, cinque David di Donatello 2012, su otto candidature, comprese quelle per miglior film e miglior regista.
Non ha pretese di rivoluzione sociale “Cesare deve morire” l’esperienza cinematografica diretta dai fratelli Taviani all’interno del carcere romano di Rebibbia dove la compagnia teatrale diretta da Giorgio Cavalli forma attori da un decennio, eppure la innesca. Non ha pretese perché il progetto è artistico ed interpretato da uomini, professionisti della scena prima che detenuti, capaci di impressionare come avvenuto per i fratelli Taviani, per il loro talento nell’interpretare il canto dantesco dell’Inferno dove Paolo e Francesca, innamorati, sono condannati ad inseguirsi in volo senza mai poter avere un contatto e senza poter sognare almeno per l’altro la Felicità, metafora dei legami che il carcere mette a dura prova, lacerando anime e cuori. Una rivoluzione innescata per il contesto carcerario in cui le scene vengono girate, per l’interpretazione affidata a uomini che vivono prima e dopo i ciak una situazione di privazione di primo ordine come quella libertà personale. Si riapre il dibattito sull’universo carcerario con un lavoro che magistralmente coniuga il cinema della realtà, il documentario, con il cinema della finzione. Un docufilm che segna la storia della cinematografia non solo italiana al punto da essere arrivato a rappresentare in Italia nella prossima notte degli Oscar, candidato come miglior film straniero. Una statuetta che manca all’Italia dalla pellicola poetica di Benigni “La vita è bella”, conquistata nel 1997.
Riconoscimenti a parte, “Cesare deve morire” rappresenta un’esperienza preziosa, carica di speranza che rende vive quelle parole della nostra Costituzione laddove si parla di funzione rieducativa della pena. Un’esperienza che, dopo avere conquistato le più prestigiose ribalte cinematografiche internazionali, torna nelle carceri per trasformarle da set cinematografici, in cinema e poi ancora in set cinematografici, come avvenuto nelle carceri di Palmi, Locri, nel reggino, e Reggio Calabria, dove Aldo Iuliano, con la collaborazione della popolazione detenuta, realizzerà anche un cortometraggio.
Il teatro, come il cinema, può diventare il momento in cui il mistero delle carcere e quello della normalità si incontrano. Una esperienza intensa raccontata dallo stesso Salvatore Striano, detto Sasà, attore protagonista di “Cesare deve morire”, ma anche attore dei film “Fortapàsc” di Marco Risi e “Gomorra” di Matteo Garrone candidato all’Oscar come film straniero per l’Italia nel 2009. Un brano intenso, interpretato da colui che l’arte dell’interpretazione l’ha appresa durante i suoi otto anni di detenzione.
La finzione di una storia e la realtà di una condizione, la finzione di una libertà  e la realtà di un sogno che almeno in quel frangente può  diventare vissuto, anche se per soli intensi attimi. Attimi in cui i ‘guardatori’ di soffitto, come si definiscono i detenuti di Rebibbia, cui nelle celle è negata la possibilità di guardare il cielo stellato, bucano quel soffitto, vanno oltre e trovano quel cielo dentro quella sceneggiatura, dentro quella possibilità di riscoprirsi attori e, così nell’anima, uomini liberi. Un’esperienza che fa entrare il fuori dentro e dentro il fuori, in un’alternanza che l’arte sublima, sottraendola al logorio ineluttabile e quotidiano di chi continua a guardar fuori, essendo costretto a rimanere dentro.
 

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