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Reggio Calabria, Michele Inserra: mi minacciano ma non me ne vado

Di Pietro Bellantoni il . Calabria

«Che cosa ho combinato che dà tanto fastidio? Sto pubblicando una sorta di racconto stile Beautiful giudiziario con i retroscena dell’inchiesta “Infinito”. Ho pubblicato una pagina al giorno», racconta Michele Inserra a Ossigeno, tentando di sdrammatizzare una situazione che per lui sta diventando sempre più pesante. Qualcuno ha sfondato il parabrezza della sua auto e gli ha rubato documenti e computer. Non è stato un semplice furto con scasso. Quella dello scorso 24 settembre è l’ultima di una lunga serie di intimidazioni al giornalista, entrato nel mirino della ‘ndrangheta. Inserra è  napoletano, è capo della redazione reggina del Quotidiano della Calabria, è uomo di fiducia del direttore Matteo Cosenza. E’ un personaggio scomodo, evidentemente, per le sue inchieste che danno fastidio a “gente che conta”, gente che in riva allo Stretto fa il bello e il cattivo tempo. Prima del danneggiamento alla sua auto, Inserra ha subìto minacce attribuibili alla criminalità organizzata, alcune mai rese pubbliche, ma tutte denunciate alla magistratura. La prima risale a marzo 2010. In quel periodo il giornalista era il responsabile della redazione di Siderno, nella costa jonica reggina. È qui che Inserra ha cominciato a occuparsi dei rapporti tra mafia e politica. Il territorio ospita alcuni del clan più temibili dell’intera provincia. La ‘ndrangheta aveva inquinato la vita politica e amministrativa dei Comuni di Siderno e Marina di Gioiosa Jonica. Era scesa in campo politico direttamente con i suoi uomini, senza delegare ad altri la tutela dei propri interessi.
Lo confermano diverse inchieste della magistratura che successivamente hanno portato in carcere, tra gli altri, il sindaco di Marina di Gioiosa Jonica, Rocco Femia, e l’ex sindaco di Siderno, Alessandro Figliomeni. Da reporter, Michele ha seguito da vicino tutte queste vicende. Ha indagago su di esse. Ma soprattutto ha pubblicato il risultato delle sue ricerche. E ben presto si è reso conto di quanto sia difficile fare la cronaca in Calabria. L’avvertimento è stato chiarissimo. In redazione gli è arrivata una busta con dentro una cartuccia calibro 12, su cui era incollato un pezzo di giornale con la sua firma. Il plico non è stato spedito per posta, ma lasciato da qualcuno davanti all’ingresso della redazione. Il giornalista ha denuncia subito il fatto alla magistratura e da quel momento, per quasi un anno, i carabinieri hanno vegliato sulla sua sicurezza. Poi, per maggior sicurezza, è stato trasferito alla redazione di Reggio Calabria.
Le minacce dei clan reggini. Inserra è arrivato nella città dello Stretto alla vigilia di uno dei periodi più neri della sua storia, quando il Comune è stato investito e travolto dal drammatico  “caso Fallara”, che prende  il nome della dirigente comunale del settore Finanze e tributi, morta suicida dopo aver ingerito una dose fatale di acido muriatico. Un’inchiesta della magistratura ha accertato che erano state  liquidate cifre milionarie ingiustificate a vari soggetti. Sono emersi innumerevoli irregolarità nei bilanci del comune ed è apparso un “buco” finanziario di almeno 84 milioni di euro e forse molto più grande: secondo gli ispettori del ministero dell’Economia, il disavanzo sarebbe di 170 milioni di euro. Nelle indagini è finito anche l’ex sindaco, oggi governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, che lo scorso 20 luglio è stato rinviato a giudizio con l’accusa di falso in atto pubblico e abuso d’ufficio, insieme ai tre revisori dei conti del Comune. Ma con gli scandali finanziari, a Reggio si è cominciato a scoperchiare anche gli “affari” fatti dalla ‘ndrangheta con le istituzioni locali. Lo dimostra la vicenda Multiservizi, una società mista del Comune la cui quota privata era in parte controllata dalla cosca Tegano di Archi. Poi sono arrivati gli arresti eccellenti, le collusioni acclarate, le frequentazioni pericolose. Tutti elementi che lo scorso gennaio hanno portato il ministero dell’Interno a disporre l’invio della commissione di accesso agli atti per verificare le possibili infiltrazioni della ‘ndrangheta all’interno dell’ente comunale. Il verdetto del consiglio dei ministri in merito al possibile scioglimento di Palazzo San Giorgio dovrebbe arrivare entro poche settimane.Reggio è una città in subbuglio, oggi più che mai, dominata dalla criminalità organizzata e vittima delle faide strumentali tra forze politiche contrapposte.
Fare il giornalista in un simile contesto, e farlo bene, è piuttosto complicato, soprattutto se hai per le mani delle carte scottanti, che evidenziano tutti quei rapporti ambigui e perversi tra politica e mafia, istituzioni e antistato.Inserra ha seguito con scrupolo professionale gli sviluppi dell’inchiesta “Infinito”, coordinata dalle DDA di Milano e Reggio Calabria, l’inchiesta che lo scorso dicembre ha aperto le porte del carcere al consigliere regionale Franco Morelli, al presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio, Vincenzo Giglio, e al giudice del Tribunale di Palmi, Giancarlo Giusti. Secondo l’accusa, tutti esponenti della cosiddetta “zona grigia” della ‘ndrangheta, colletti bianchi in affari illeciti con l’organizzazione criminale più potente del mondo. Il giornalista ha raccontato le frequentazioni del presunto boss Giulio Lampada con esponenti della politica calabrese, riferendo cene luculliane, festini, pernottamenti in hotel e altre pruderie. Tutto a spese del munifico “imprenditore” calabrese, originario del quartiere Archi, culla dei clan reggini. Un uomo che – come spiega Inserra nei suoi articoli – nel giro di dieci anni è riuscito a creare un vero e proprio impero economico in Lombardia, soprattutto nel settore di videopoker e slot machine.Nelle inchieste del giornalista napoletano sono entrati nomi altisonanti e comportamenti equivoci. Come il bacio tra Lampada e l’assessore regionale del Pdl Luigi Fedele, o la cena pre-elettorale di Demetrio Naccari Carlizzi, ex membro della giunta Loiero, con gli uomini del superboss Pasquale Condello.
Giulio Lampada, nel periodo delle ultime elezioni regionali, ha frequentato gente di ohni colore: personaggi del centrodestra e del centrosinistra, senza distinzioni. Inserra lo ha scritto, ha raccontato tutto, senza fare sconti a nessuno, basandosi su una informativa della polizia contenuta nell’ordinanza dell’inchiesta “Infinito”.È stato mentre scriveva questi articoli che gli è arrivata la seconda intimidazione: il 27 luglio scorso ha ricevuto una lettera anonima di minacce, accompagnata dalla riproduzione mignon di un rotolo di carta igienica. «Di marca “Regina” – puntualizza il reporter del Quotidiano – come a voler indicare il mio interesse nei confronti delle carte giudiziarie reggine». L’ultima minaccia. Lo scorso 24 settembre, quando qualcuno ha sfondato il vetro della sua auto e ha prelevato una borsa piena di documenti e un computer dalla sua Opel Vectra parcheggiata sotto casa, nel centro della città, è stato chiaro che volevano dargli un avvertimento. Inserra spiega che tra i documenti sottratti c’erano alcune ordinanze relative a inchieste già note (come “Il crimine”, “Falsa politica”, “Circolo formato” ed “Epilogo”) e «alcune carte che riguardano uomini dello Stato». Cambiare aria? Inserra – ha scritto il suo direttore nell’editoriale uscito il mattino seguente – è un «giornalista che non sta con i guelfi o con i ghibellini che si combattono tra loro a Reggio, ma che ha le notizie e le scrive senza badare alla collocazione politica o sociale di chi ne è protagonista. E ne riceve o raccoglie di nuove in continuazione perché si sa che non le gestisce bensì le pubblica. Nero su bianco, ogni giorno. E così per tanti è diventato un nemico, una voce scomoda che non può ess
ere inquadrata nel pantano melmoso di quella città».
Cosenza ha riferito che «uomini degli apparati dello Stato» hanno confermato che Michele corre un concreto pericolo per la sua incolumità. Anche per questo, l’estate scorsa era stato programmato un nuovo trasferimento a un’altra sede del Quotidiano. Trasferimento che il giornalista ha rifiutato. Il motivo, dal suo punto di vista, è  semplice: «A Reggio ho ancora molto lavoro da fare e intendo proseguire. Sono nelle condizioni di scrivere ancora, in una fase molto importante per Reggio, dove si prospetta un’altra grande stagione di inchieste giudiziarie». Michele resta dunque a Reggio Calabria con l’inquietudine di chi ha subito una serie di avvertimenti, alcuni mai rivelati pubblicamente, che comprendono “richiami” a mezza bocca e avvertimenti travestiti da consigli. «Sarei ipocrita se dicessi che non ne soffro, che non ho paura.  L’importante è gestire la paura e non trasmetterla agli altri», spiega il giornalista. A Reggio vive solo ma, dice, «non è la solitudine a darmi fastidio, mi dà più fastidio l’isolamento dei miei colleghi».

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