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Rilanciare il porto e contrastare la ‘ndrangheta

Di Anna Foti il . Calabria

Il porto di Gioia Tauro non è il porto della ‘ndrangheta né quello delle nebbie. Non può essere più consentito che si parli di uno degli scali strategici più grandi e sicuri al mondo solo in termini negativi. Il transhipment, finora la preziosa attività di punta in uno scalo ancora non sfruttato al meglio, è in fase di ripresa ed i continui sequestri di droga – quasi due tonnellate di cocaina nel solo 2012 – attestano il forte controllo di magistratura e forze dell’ordine in uno scalo che non rinuncia ad essere una straordinaria opportunità di sviluppo nonostante i mancati investimenti del governo nazionale ma non soltanto in passato ed una collocazione geografica tanto strategica, nel cuore del Mediterraneo, quanto “scomoda” per la presenza in Calabria della ‘ndrangheta. Invertire la tendenza di politica ed informazione per restituire a questo scalo l’immagine che merita. 
Da qui nasce l’idea della prima edizione degli Stati Generali del Porto di Gioia Tauro, iniziativa promossa dall’europarlamentare piddino Pino  Arlacchi, gioiese di origini, e dalle amministrazioni di Gioia Tauro e San Ferdinando rette rispettivamente da Renato Bellofiore e Domenico Madafferi; iniziativa che ogni anno offrirà una piattaforma  su cui far convergere problematiche e proposte per il rilancio del porto calabrese le cui dimensioni parlano una lingua certamente non locale o regionale ma assolutamente internazionale.
Un potenziale di sviluppo enorme in un territorio difficile e per il quale servono urgenti politiche, la centralità nella programmazione di queste politiche del ruolo dello scalo nella dimensione regionale, nazionale e globale, il recupero della sua immagine e la lotta alle infiltrazioni, questo il nucleo della due giorni di assise cui hanno partecipato oltre che i promotori anche il presidente dell’autorità portuale Giovanni Grimaldi, il direttore della pianificazione strategica  di RFI,  Alessandro Andrei, il direttore di Contship Italia Nereo Marcucci, gli amministratori delegati di Medecenter e Ico Blog, rispettivamente Domenico Bagalà e Francesco De Bonis, il prefetto di Reggio Vittorio Piscitelli, il procuratore capo della Repubblica di Palmi Giuseppe Creazzo e il procuratore Aggiunto della Dda reggina Michele Prestipino. Il rischio di infiltrazione fortemente combattuto dalla magistratura non può considerarsi debellato ma neppure  può essere ritenuto l’unico momento di qualificazione di questo scalo, il cui ruolo può e deve essere ancora trainante di un’intera economia.
La sua posizione, non solo nella regione calabrese ma anche al cospetto del Mediterraneo, rendono lo scalo una porta di ingresso per la droga destinata non solo all’Italia. I sequestri ingenti eseguiti con regolarità indicano tuttavia il fitto controllo esercitato da magistratura e forze dell’ordine in uno scalo che paga lo scotto di decennali politiche disattente e infruttuose per la sua piena valorizzazione al pari dell’altrettanto posizionamento in una zona ad altro rischio di infiltrazione mafiosa. L’ultimo sequestro di ben 176 kg di cocaina purissima confezionata in 156 panetti e proveniente dal Cile (rotta inedita), è stato eseguito neppure dieci giorni fa da Guardia di Finanza ed Agenzia delle Dogane. Una nuova tratta, il cui carico destinato a Bologna avrebbe fruttato un profitto illecito di 38 milioni di euro. Dall’inizio del 2012 quasi due tonnellate di droga sono state sequestrate a Gioia Tauro.
Un dato che, secondo quanto emerso in occasione degli Stati Generali del Porto di Gioia Tauro, non può e non deve essere interpretato per tessere ombre intorno allo scalo, per altro non l’unico in Italia dove transita droga, ma per scardinare il luogo comune di un porto in mano alla ndrangheta e dove invece la ndrangheta si combatte. Lasciando adesso Gioia Tauro e gli Stati Generali è appena il caso di ricordare che una riunione del comitato di coordinamento dell’Accordo di programma sottoscritto nel 1994 per lo scalo calabrese appena nato, svoltosi a Roma la scorsa settimana presso il ministero dello Sviluppo Economico, cui ha presenziato anche la vice presidente della Giunta regionale Antonella Stasi, è stata l’occasione per recuperare una parte di fondi, in realtà sbloccare delle cifre residue (15 miliardi di lire negli anni Novanta pari a 7,7 milioni di euro, su un totale di 132 miliardi di lire iniziali), destinati al porto calabrese e mai utilizzate.
7.7 milioni di euro residui di cui 1,6 milioni di euro per lavori gia’ effettuati e 5,8 milioni di euro non utilizzati da destinare alla realizzazione degli alloggi per la Capitaneria di Porto e ad opere di completamento del porto medesimo. Presto i fondi saranno nella disponibilità della Regione per il completamento dei lavori. Un altro tassello di rilancio che ha già tardato troppo.Inoltre prosegue l’impegno dell’attuale Giunta regionale per chiedere al Governo che proprio nell’area del porto di Gioia Tauro venga istituita la cosiddetta ZES – Zona economica speciale – ampliata a 740 ettari rispetto agli attuali 70 ettari della Zona franca. Il fine è quello di concorrere per ingenti investimenti stranieri e rilanciare l’economia, grazie alla particolare ed agevolata legislazione economica che potrebbe essere applicata.

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