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Quel patto fra pezzi di Stato e pezzi di mafia

Di redazione il . Lazio

Nella meta’ degli anni ’90 la chiamavano “la procura dei veleni”. Oggi, dopo vent’ anni e’ ancora al centro di attacchi, polemiche e nuovi “veleni”. E’ la procura di Palermo raccontata al terzo raduno dei giovani di Libera dai magistrati Gian Carlo Caselli e Alfonso Sabella che insieme a ragazzi hanno ragionato sul biennio stragista di Cosa nostra e sulla cosiddetta ” trattativa” . Alfonso Sabella e’ un magistrato “scomodo” ha ricoperto ruoli delicati proprio durante la fase in cui – come dichiara al raduno – “c’e’ stato un patto fra pezzi dello Stato e pezzi della mafia”. Sabella, nel team giudiziario di Caselli a Palermo si e’ occupato di dare la caccia all’ ala militare di Cosa nostra, alcuni anni fa scrisse un libro dal titolo “Cacciatore di mafiosi”  nel quale racconto’ la sua esperienza professionale e umana a Palermo, le vittorie dello Stato e quel sospetto che la forza di Cosa nostra stesse sempre più fuori dalla mafia militare. Sabella racconta, inoltre, del ” metodo Caselli”: ai magistrati erano stati assegnati diversi mandamenti e ognuno e i loro diventava il punto di riferimento e il più esperto di quelle famiglie, dei loro affari e di tutte le indagini che le riguardavano. 

La storia professionale di Sabella, oggi impegnato in un ufficio che si occupa dell’aspetto penitenziario, subisce uno stop quando, negli anni ’90 Sabella sceglierà di opporsi al tentativo di concedere la ” dissociazione” ai mafiosi. La sua e’ una vicenda che si lega strettamente a tutto il periodo in cui – secondo magistrati e analisti – si tentarono colloqui e accordi con lo Stato. Il magistrato palermitano durante il suo intervento parla proprio un “patto” stipulato fra lo Stato e pezzi della mafia. Dopo una prima trattativa (fallita?) lo Stato sarebbe tornato a trattare e la fine delle stragi sarebbe la conferma che un equilibrio e’ stato raggiunto.  
Una esperienza durata molti anni in forza alla procura di Palermo proprio negli anni in cui Gian Carlo Caselli provava a mettere di nuovo in piedi gli uffici che erano stati di Falcone e Borsellino e i magistrati che erano stati parte integrante del pool antimafia. Caselli parla di quegli anni ma guardando ad oggi ricorda i casi Roberto Scarpinato, da poco oggetto di un richiamo del CSM  e di Antonio Ingroia, sempre al centro di polemiche, ma in partenza per l’ Onu verso  il Guatemala. Caselli ricorda la sentenza della Cassazione che negli anni ’90 confermo’ le condanne per i capi mafia e provoco’ una forte reazione da parte dei boss che sarà anche all’ origine della strage di Capaci. I colpi inferti alla mafia militare ma anche      alla politica collusa, ai processi Andreotti e Dell’ Utri, sottolineando come per questi politici sia spesso stata fatta un’ opera di disinformazione che li vuole innocenti quando invece dentro le rispettive sentenze il reato di concorso esterno alla mafia e’ stato provato sino ad una certa data. Archiviazione per prescrizione o rinvio a nuovo processo per confermare se anche negli anni successivi a quelli accertati i contatti con i mafiosi, non equivalgono in alcun modo a assoluzione. 
Sul ruolo della magistratura, infine, Caselli sottolinea che “negli ultimi anni la politica ha lasciato alla magistratura la responsabilità di occuparsi di cose di cui non sa occuparsi” salvo poi accusarla di ingerenze quando va a colpire alcuni politici.  

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