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Il boss Ciccio Pelle latitante per un anno a Messina

Di Gianluca Ursini il . Calabria, Sicilia

La latitanza del superboss di San Luca Francesco Pelle, in buona parte svoltasi a Messina, in Sicilia. Pelle, detto “Ciccio u Pakistan” per il suo ruolo predominante nel narcotraffico di sostanze psicotrope ‘’leggere’’, uno dei protagonisti della Faida “sanlucota” Pelle-Vottari contro Strangio-Nirta (culminata nell’agguato di Duisburg in Germania del ferragosto 2007) era avvenuta a Messina, favorita da un fisioterapista calabrese ma laureato sulla sponda siciliana dello Stretto.  

Il tecnico sanitario calabrese lavorava in una eccellenza della sanità siciliana, uno dei fiori all’occhiello a livello nazionale: il centro Neurolesi “Bonino Pulejo” della città dello Stretto, polo sanitario rinomato sia per l’altissimo livello delle prestazioni riabilitative post-trauma offerte, sia per la ricerca sulla riabilitazione neurologica; insomma, uno dei motivi di vanto della Città del terremoto e dell’Isola, anch’esso pesantemente infiltrato dai calabresi e dalle ‘ndrine, come già successo per il Policlinico, il Tribunale e il vero vanto di Messina, la plurisecolare Università. 

Per quasi un anno, il latitante Ciccio “Pakistan” della cosca dei Pelle, si è sottoposto a cure mediche nella secolare struttura sui colli del Sarrizzo, estrema periferia Nord verso i Nebrodi e la punta dello Stretto della città peloritana. Veniva agevolato nella sua latitanza da un fisioterapista dello stesso Irccs: Stefano Andrea Violi di Melito Porto Salvo, nel reggino, 35 anni, laureato messinese, da ieri agli arresti con l’accusa di favoreggiamento personale aggravato dall’agevolazione mafiosa. All’alba i carabinieri della compagnia di Messina centro, hanno fatto irruzione nell’abitazione dello specialista fisiatra e lo hanno condotto in manette nel carcere di Reggio sullo Stretto, su disposizione del Gip messinese Maria Vermiglio e su richiesta del sostituto procuratore della Distrettuale antimafia della metropoli dello Stretto Giuseppe Verzèra, trasferito a Messina dopo un decennio di attività sull’altra sponda, quella calabrese.  

Questo ennesimo arresto viene a conclusione di oltre 5 anni di indagini congiunte delle Dda e delle Dia delle due sponde dello Stretto sui vertici della famiglia di San Luca dei Pelle, balzata ai disonori della cronaca dopo la strage di Duisburg. Dal Settembre 2008, giorno in cui scattarono le manette ai polsi dell’allora trentenne inserito dal ministero Interni nella lista dei 100 catturandi più pericolosi, le notizie su Ciccio Pakistan sono state molto più numerose che durante la sua latitanza. Francesco Pelle si trova al momento su di una carrozzina, vista la sua parziale paralisi motoria; venne raggiunto da alcuni colpi di kalashnikov il 31 luglio 2006, mentre teneva il figlioletto di due anni in braccio sul balcone della sua villetta ad Africo Nuovo, sul litorale jonico a 40 km sud dai Locri e 75 a nord da Reggio Calabria.  

I suoi attentatori, i killer dei Nirta-Strangio, non lo uccisero, ma potevano compiere un’altra strage efferata, se i proiettili avessero raggiunto il bambino. Forse proprio per non colpire l’infante, i killer sanlucoti mirarono alle gambe puntando a recidere l’arteria femorale e fare morire Ciccio “u Pakistan” dissanguato. Un errore di mira che salvò la vita al rampollo reggente dei Pelle. I carabinieri dei Ros lo trovarono nel centro di neuro riabilitazione della clinica “Maugeri” di Pavia, centro di eccellenza lombardo, ora al centro di tutt’altri scandali per le distrazioni di ingenti fondi sanitari regionali, che hanno visto l’arresto del manager Pierluigi Daccò e dell’ex assessore sanitario lombardo Simone; questi ultimi due hanno tirato in ballo il governatore Roberto Formigoni.

Ma queste vicende processuali nulla hanno a che fare con la latitanza di Ciccio Pelle, che provava a recuperare l’uso delle gambe, perso quando quel proiettile di Ak47 aveva raggiunto i nervi spinali in quella maledetta estate del 2006, della faida Nirta-Strangio contro Pelle-Vottari.  Proseguendo le indagini, i militari del Nucleo Operativo di Messina, in congiunto con i colleghi del Raggruppamento operativo Speciale di Reggio, hanno scoperto che dal dicembre 2007 all’estate 2008, Ciccio “Pakistan” si trovava per tentare di recuperare le capacità motorie nel reparto Riabilitazione del Neurolesi, grazie alla fattiva organizzazione del fisioterapista calabrese Violi. Questo all’epoca prestava la sua opera di terapista presso il centro Neurolesi Bonino Pulejo. Nella documentazione acquisita dai carabinieri che hanno incrociato centinaia di pagine e dati investigativi, Ciccio Pelle nelle sue dichiarazioni sul quadro anamnestico (cioè la “storia” della sua malattia, in termini semplici) riferiva di essere stato vittima di un incidente di caccia, e non dell’attentato sul balcone di casa.  

In quel 2008 i medici dell’Irccs firmarono il foglio di via per le sue dimissioni, che portarono il boss della ‘ndrina della locride fino a Pavia. Per la procura messinese non ci sono dubbi sul ruolo avuto dal fisioterapista, residente a Bova Marina, centro della jonica reggina a 40 km dal capoluogo e circa 30 chilometri da quella Africo Nuovo, centro della costiera jonica, da dove partì la cosca di Giuseppe “u Tiradrittu” Morabito, e dove molte cosche di “sanlucoti”, come quella di Ciccio “Pakistan”, hanno impiantato il centro dei loro affari criminali. È stato fondamentale, per arrivare a Violi e a Pelle, lo studio approfondito dei tabulati telefonici dell’utenza in capo al professionista sanitario calabrese: nei giorni del ricovero del latitante di San Luca, Violi chiamava con insistenza diversi familiari del clan Pelle.

Non solo: cartelle cliniche e registri di entrata e uscita al centro Neurolesi, riportavano le stesse date in cui Violi veniva chiamato da altri fiancheggiatori di ‘ndrangheta, attivi sulla sponda siciliana dello Stretto. Questi indizi hanno formato il quadro probatorio che ha giustificato l’arresto; e confermano soprattutto come Messina, considerata da Cosa Nostra come “provincia babba” stupida, ossia a bassa penetrazione mafiosa, stia sempre più, dopo gli anni ’80, diventando una specie di Porto Franco dove i boss delle ‘ndrine agiscono indisturbati, portano a termine ricchi affari e organizzando latitanze dorate.

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