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Le mani dei boss sull’agricoltura italiana

Di Gaetano Liardo il . Atti e documenti

Le mafie sono nate in realtà rurali e nel mondo dell’agricoltura ritornano. Da protagoniste, non più da gabellotti o guardiani. Il boss 2.0 ha soldi, tanti e pronti a spenderli, e il settore agricolo, uno dei pilastri dell’economia italiana, è troppo succulento per non fare “investimenti”. Ieri a Roma la Cia, la confederazione degli agricoltori italiani, ha presentato il suo quarto rapporto su agricoltura e mafia dal titolo: “Cittadino agricoltore in sicurezza 2011”. L’analisi, realizzata in collaborazione con la Fondazione Humus, mette in luce lo scenario preoccupante dell’infiltrazione mafiosa nell’agricoltura italiana. I dati riportati, di per sé, tratteggiano un affresco cupo. Nel 2011, anno di riferimento del rapporto, sono stati registrati 240 reati al giorno contro le campagne italiane, una media di 8 reati l’ora. Un agricoltore su tre subisce la violenza delle organizzazioni criminali che, in questo settore hanno trovato un business da 50 miliardi di euro l’anno.  

La “mafia S.p.a.” guadagna, nel settore agricolo, 4,5 miliardi di euro con furti e rapine; 3,5 miliardi con il racket; 3 miliardi con l’usura; 1,5 miliardi con le truffe; 2 miliardi con l’agropirateria e la contraffazione; 1 miliardo con le macellazioni clandestine; 18,5 miliardi con l’abusivismo edilizio – che compromette il paesaggio boschivo, idrico, faunistico e agricolo; 16 miliardi con l’ecomafia.  Inoltre, proprio per rendere evidente l’ampiezza degli interessi criminali nel mondo dell’agricoltura, i boss sono in grado di influenzare, e alcune volte controllare, l’intera filiera agroalimentare. «In questi anni – si legge nel rapporto – abbiamo potuto constatare che la criminalità organizzata, grazie ad una serie di connivenze e di una rete delinquenziale sul territorio, è in grado di condizionare addirittura tutta la filiera agroalimentare, agendo nei vari passaggi e alterando la libera concorrenza, influenzando la formazione dei prezzi, la qualità dei prodotti, il mercato del lavoro».  

Imposizione dei prezzi dei prodotti agricoli, controllo dei principali mercati ortofrutticoli, gestione diretta delle ditte di autotrasporto, controllo di catene di supermercati, acquisizione di settori importanti della ristorazione. Un cancro che ha la capacità di condizionare il mercato dalla produzione alla distribuzione, fino a ciò che mangiamo nelle nostre tavole. Mettendo ai margini l’imprenditoria onesta e rispettosa del lavoro e delle leggi, in grado di produrre prodotti di qualità. Già perchè, il boss che si trasforma in “imprenditore” agricolo non si fa scrupoli su cosa e come produrre: cibi contraffatti, alterati, utilizzo di concimi altamente nocivi, utilizzo di acque reflue per l’irrigazione.  

Inoltre, perseguendo l’obiettivo di moltiplicare i capitali “investiti” – frutto ricordiamolo di attività illecite – utilizza forme di lavoro nero, caporalato, pratiche schiavistiche nei confronti dei lavoratori immigrati, come denunciato a più riprese da sindacati, organizzazioni e da una parte degli stessi imprenditori agricoli. L’impresa mafiosa, infatti, è concorrenziale rispetto a quella onesta perchè dispone di grosse somme di denaro liquido, non rispetta le leggi sul lavoro, non paga tasse e contributi, non ha problemi con la burocrazia – sia perchè se ne infischia, sia perchè ha l’appoggio di funzionari pubblici disposti a chiudere un occhio sui controlli. 

La situazione descritta nel rapporto della Cia, purtroppo, mette in luce un mondo che rischia di finire stritolato dall’avanzata delle mafie. Da qui l’esigenza, sentita prima di tutto dagli imprenditori agricoli, di essere tutelati e di marginalizzare la zona grigia delle collusioni che esiste anche in questo settore. Il percorso iniziato dalla Confederazione va nella giusta direzione: rapporti con la Direzione nazionale antimafia, con il Corpo Forestale, con le forze dell’ordine, ma anche con l’associazionismo antimafia.

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