Lì si studiava il fenomeno Camorra, si leggevano e spulciavano gli atti e le delibere di Comuni, Province e Regione Campania. Lì si analizzavano le inchieste della magistratura, lì si discutevano e si ipotizzarono gli intrecci precisi tra clan camorristici, imprenditoria e politica, prima che i pentiti Galasso ed Alfieri tra i tanti, ne parlassero apertamente ai magistrati facendo scoprire quelle connessioni che Amato Lamberti ed il suo gruppo di giovani studiosi e politici già avevano capito e studiato; lì, in quell’Osservatorio, si formavano innanzitutto giovani d’impegno sociale ed universitario, oltre a giornalisti che partendo dal rigore etico e degli studi, dalla Sociologia non solo studiata sui libri, ma praticata come analisi e connessione dei fatti,impararono a crescere personalmente e culturalmente conoscendo i fenomeni camorristici, con l’intento di lavorare per sradicarli.
Furono anni di denuncie e di entusiasmi per molti: un nome tra tutti, Giancarlo Siani che di Amato Lamberti fu allievo, amico e, come di tanti giovani napoletani passati dall’Osservatorio, compagno di strada indimenticato. Amato Lamberti guidava questo gruppo di giovani verso l’impegno sociale e politico, con la sua flemma e decisione, direi mite e ferma volontà unita ad una dolcezza nei rapporti umani, da vero “signore napoletano”: per primo capì l’importanza dell’educazione alla legalità, dell’impegno nelle scuole come antidoto alla camorra dilagante nei quartieri più diseredati, disegnando già nel 1985 la prima legge regionale sull’educazione alla legalità. Contribuì così a quella primavera napoletana del dopo “tangentopoli” napoletana, insieme ad Antonio Bassolino prima e poi come presidente della Provincia di Napoli per ben 9 anni, dal 1995 al 2004: anni intensi dove il risanamento era non solo economico,ma morale ed etico soprattutto dopo i disastri dell’era camorrista della politica napoletana, cui Amato contrapponeva il suo esempio, oltre al suo impegno politico. Per noi giornalisti che scendevamo a Napoli per le nostre inchieste, parlare con Amato significava conoscere soprattutto quel che stava succedendo, oltre il fatto di cronaca: lui era la persona che ci faceva capire “il contesto” gli intrecci appunto, della Camorra, quello che significava, per Napoli e la sua gente, quel disastroso corto circuito di interessi. Ma il suo modo di incontrarci non era mai formale: ricordo le tante occasioni di incontro a Napoli, le lunghe passeggiate parlando ed analizzando, anche quando magari il tempo stringeva,la corsa verso il “montaggio” del pezzo incombeva.
Amato, con calma, diceva “va beh parliamo, poi magari l’intervista la facciamo un’altra volta, l’importante è capire quello che sta succedendo qui a Napoli”. Ed io a spronarlo; no guarda è importante che tu mi sviluppi questo concetto al microfono, magari in poche parole. “Ma qui ci vogliono azioni concrete, altro che parole”, mi diceva indignato (finto, ma ormai il messaggio l’aveva lanciato…) prima di fare quell’intervista dove, come sempre, in poche parole illuminava e faceva capire veramente quel che stava succedendo. Per poi salutarci con la frettolosa promessa di un altro incontro perché doveva parlarmi bene di altre storie, altre “questioni”.
Nell’ansia, ben celata, di farmi capire bene ma proprio bene quel era il vero problema da sviluppare in TV. Una volta poi, era già presidente della Provincia, mi diede appuntamento dietro Palazzo Matteotti, davanti ad una uscita secondaria; arrivai un po’ in ritardo e lo vidi venirmi incontro, a piedi e solo. E lì scoprii che aveva rinunciato alla macchina di servizio. E non solo a quella. “Ho la macchina posteggiata un po’ lontano” mi disse, “facciamo due passi così mi accompagni”. Lo guardai stupito. Andammo al parcheggio, pure un po’ lontano, sempre a piedi, con l’operatore tv carico di attrezzatura che arrancava dietro: lui presidente in guerra,vera, contro gli interessi della camorra, camminava senza scorta e senza auto della Provincia, che aveva dimezzato, cominciando in prima persona a rinunciarci, se non per le rare occasioni ufficiali.
Un cittadino come altri, in mezzo al traffico come tutti. Amato Lamberti era speciale anche per questo. Dietro il suo sorriso c’era entusiasmo, anche se la delusione era entrata, e non solo recentemente, nel suo vocabolario . Ma alla politica non aveva rinunciato, con i Verdi ed i movimenti collegati,contro le ecomafie prima di tutto e contro chi sulla “mondezza” napoletana aveva lucrato e fatto miliardi: ma da quella vicenda, anzi tragedia, napoletana dei rifiuti e del ciclo malefico ad essa legato, era uscito sconsolato ed arrabbiato,vedendo la sua città così ridotta e la politica di quella Primavera su cui aveva puntato sin dal periodo dell’Osservatorio, così impotente di fronte alla soluzione di quegli intrecci che lui stesso per anni ed anni aveva denunciato. Ed aveva continuato a studiare quella “camorra alta” e “mafia liquida” fatta di colletti bianche e società collegate, un vero network di aziende camorriste in affari, capaci di offrire servizi e conquistare posizioni riciclando soldi ed investendo là dove l’economia legale arranca per la crisi. Scriveva: «La camorra è diventata “sistema” al quale partecipano dipendenti della Pubblica Amministrazione, imprenditori, politici. Si combatte con la trasparenza. Se c’è camorra nei Comuni, i politici non possono non sapere. Pensare alla camorra come organizzazione criminale non aiuta a capire i problemi. La camorra è una lobby politica-imprenditoriale-criminale che controlla l’economia e le pubbliche amministrazioni in Campania».
Amato Lamberti ci mancherà ma a lui dobbiamo molto e molto ancora: e soprattutto quell’insegnamento al rigore ,alla sua ferma posizione di lotta alla politica che arraffa e non risolve, la sua coerente ricerca di verità e giustizia che nel 1995 l’aveva fatto aderire con entusiasmo alla nascita di Libera nel coordinamento regionale della Campania. E ci mancherà la sua persona e la sua limpidezza: quegli insegnamenti ed esempi che fanno anche di noi giornalisti persone con la schiena dritta, sempre.