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Quando la chiesa non tace

Di Michela Mancini il . Calabria

Tre sacerdoti, don Pino De Masi, don Vittorio Dattilo e don Peppino Gambardella, tre storie diverse, una sola resistenza: contro la ‘ndrangheta.   Al festival “Trame” queste testimonianze hanno raccontato di una “Chiesa che non tace contro la mafia”. Le parole di don Pino suonano nette, più forti di ogni campana: «Bisogna che i calabresi si riapproprino della loro dignità. Perché di dignità si tratta: dobbiamo camminare a testa alta e con la schiena dritta. È cambiata la chiesa ed è cambiata la ‘ndrangheta. La prima ha percepito che la seconda è una struttura di peccato, e in questo senso sta cercando di agire. Il cammino è lento perché la chiesa non è solo popolo di Dio ma anche istituzione.  Io credo nel lavoro silenzioso di tanti sacerdoti. A livello teorico è ormai scontato che mafia e vangelo sono sue parole che non possono stare insieme. Ma concretamente c’è tanto da fare, sono concetti teorici che vanno vissuti.  Ormai non c’è più opposizione tra vangelo e Costituzione: bisognerebbe camminare con il vangelo in una tasca e con la costituzione e il quotidiano nell’altra».
Quel che alcuni sacerdoti riescono a fare in alcune realtà è un miracolo: riescono con tenacia a sottrarre i cittadini – i più giovani in particolare – al controllo mafioso, sia attraverso progetti educativi sia tramite momenti di aggregazione. L’esperienza riportata da don Peppino, che opera a Pomigliano D’Arco, è esemplare:  la parrocchia ha creato per i suoi ragazzi un percorso suddiviso in vari step. Il primo, chiamato “se la paura fa 90, la dignità fa 180”, parte dal riconoscimento della Camorra come “dato” da osservare e comprendere. La mafia, spiega don Peppino, non è un film, appartiene anzi alla vita quotidiana ed è da questa che bisogna partire per riconoscerla. Il secondo step, “a camorra song io”, tenta di decodificare alcuni atteggiamenti camorristici che ci portiamo dentro senza esserne spesso consapevoli e lo fa attraverso dei disco forum: la musica degli A67 e i valori antimafia che trasmette aiutano i ragazzi a sentire la legalità come una cosa vicina. Negli step successivi si passa dagli incontri con poliziotti e magistrati che raccontano ai giovani la loro lotta quotidiana, agli itinerari nella città per scoprire quali sono gli esercizi commerciali che non pagano il pizzo. Consumo critico, coraggio della denuncia, fino ad approdare all’ultimo step: “Per amore del mio popolo non tacerò”, una manifestazione in nome di don Diana che si tiene il 19 marzo.
Don Vittorio, che ha invece lavorato nel territorio lametino, si è inventato qualcosa di straordinario. Dopo aver riflettuto sul valore simbolico che il “santino” ha per la mafia, nel 1991 poco dopo l’omicidio di due netturbini, Pasquale Cristiano e Francesco Tramonte, uccisi a Lamezia Terme mentre facevano il proprio lavoro, Don Vittorio decide di creare dei nuovi santini. Il sacerdote sostituisce l’immagine commerciale di santa Lucia con un’icona diversa, non conosciuta quanto la precedente. Dietro il nuovo santino viene cambiato anche il testo, i riferimenti ai fatti accaduti sono evidenti:
“Soltanto pensando all’arraffare, con cui ci procuriamo tanti beni 
e al sangue che ci costa smaltirli sotto forma di rifiuti,  sento la violenza della città su di me […]”
Nel 1991 questo sacerdote ha preso i versi del profeta Isaia per ricordare ai lametini il sangue che era stato versato per le strade della loro città: Isaia parla di piombo riferendosi alle scorie, quel che è di peso all’essere umano, ma per Don Vittorio il riferimento al piombo è un altro, chi avrebbe dovuto capire, avrà certamente compreso.
Il lavoro silenzioso di certi sacerdoti è quanto mai necessario per ricordare, come ha sottolineato don Vittorio che «il piccolo favore e la grande mafia hanno la stessa radice culturale», è combattendo il piccolo favore che si può sconfiggere la grande mafia.

A seguire un estratto video dell’intervento di Don Pino De Masi – Libera – al Festival “Trame” (video a cura di Michela Mancini)

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