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“Siamo stati ad un passo dall’ arresto di Messina Denaro”

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Tribunale di Marsala, udienza del 27 aprile contro Matteo Messina Denaro più altri. Lui è il capo mafia appena 50 enne, boss indiscusso di Castelvetrano e della cupola provinciale di Trapani, latitante da 19 anni, dal giugno del 1993; gli altri sono i suoi complici, i più stretti “picciotti”, quelli maggiormente fidati, poi ci sono i “postini”, i favoreggiatori, quelli della manovalanza, ma anche l’alter ego, il cognato Vincenzo Panicola. Aula strapiena, ma non è pubblico normale, sono i parenti degli imputati, Giuseppe Linares li sfiora entrando in aula. Linares è l’ex capo della Squadra Mobile di Trapani, quello che più di altri ha guidato la “caccia” al super boss. O meglio quando si era messo in carreggiata per fargli terra bruciata attorno, è stato promosso e portato ad altro incarico. Prima di allora aveva inanellato un successo dietro l’altro, dalla metà degli anni ’90 in poi inseguendo la corruzione di politici e burocrati, gli imprenditori a disposizione della mafia, gli appalti pilotati, il voto di scambio, era riuscito ad arrivare ai nascondigli di tutti i latitanti, mancava, e manca, l’ultimo, Matteo Messina Denaro per l’appunto. 

Per la sua cattura il Viminale ha messo su un pool, ne fanno parte le Squadre Mobili di Palermo e Trapani e lo Sco. Linares da capo della Mobile di Trapani ne era parte e con i suoi “cacciatori” della catturandi, quelli che da tempo pur facendo i conti con i soldi che mancano per pagare missioni e benzina, hanno dato il contributo indispensabile per i successi nell’arresto di pericolosi boss, aveva trasferito il “metodo” sino a quel momento applicato, per arrivare anche a Matteo Messina Denaro, ma il metodo d’improvviso si è fermato.   Oggi il poliziotto-“cacciatore” non “caccia” più la preda-superboss. La ricerca del capo mafia Matteo Messina Denaro non è più cosa dell’ex capo della Squadra Mobile di Trapani Giuseppe Linares. Ieri a Marsala i pm Guido e Sabella gli hanno chiesto cosa è stato del suo “metodo”: “Non so, sono stato promosso da vice questore a primo dirigente e portato ad altro incarico, dirigente della divisione anticrimine della Questura di Trapani”. E’ quindi, per questo, fuori dal gruppo di investigatori che cercano di catturare Matteo Messina Denaro il sanguinario assassino che è a capo di una holding di imprese e società a sua disposizione, protetto da una cerchia di “complici” in doppio petto e valigetta 24 ore. Nel pool oggi ci sono i suoi “eredi”, c’è ancora il “cuore” pulsante della catturandi e il neo capo della Mobile, Giovanni Leuci. Per un paio di mesi sulla spinta degli investigatori palermitani la ricerca di Matteo Messina Denaro si è concentrata direttamente sull’obiettivo, adesso il pool è tornato al passato, è tornato il metodo del fare terra bruciata attorno, individuando quelli che sono oggi i suoi nuovi favoreggiatori. 
Perché la peculiarità di Matteo Messina Denaro resta quella di essere circondato da una serie di personaggi, soprattutto insospettabili, che lo vedono come uno invincibile, viene adorato più che rispettato secondo il codice d’onore, e quindi trova sempre nuovi aiuti.   Per circa quattro ore e mezza l’ex capo della Mobile di Trapani ha parlato di chi è Matteo Messina Denaro e ha ripercorso le tappe dell’indagine che hanno portato nel marzo del 2010 ad una maxi retata nel Belice e quindi all’odierno dibattimento. Linares ha parlato della cosidetta “area grigia”, quella creata proprio da Matteo Messina Denaro “che ha fatto una sua Cosa nostra dentro Cosa nostra”. Tante luci nel racconto dell’investigatore, come “l’avere scoperto il sistema postale “privato” del latitante, la circolazione dei “pizzini”, i riferimenti strategici di Matteo Messina Denaro erano “i cognati Filippo Guttadauro – fratello di Giuseppe il medico capo mafia di Brancaccio e amico di Cuffaro – e Vincenzo Panicola, e in ultimo il fratello, Salvatore Messina Denaro”. Ma il racconto di Linares si è soffermato anche su alcune ombre non chiarite del tutto e che sembrano proporre scenari già visti. Nel 2006 in piene indagini che facevano terra bruciata attorno a Messina Denaro, nel covo dove si nascondeva Bernardo Provenzano vengono trovati dei “pizzini” di Alessio, l’alias usato dal latitante trapanese, in questi a proposito di appalti da farsi e di mediazioni con la politica si fa riferimento ad un certo “Vac”. 
Pochi giorni di indagine e si individua il soggetto, Tonino Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano. Clamorosa la scoperta: “Era in contatto con uomini del Sisde dal 2003 al 2007 Vaccarino era stato usato dal Sisde come infiltrato senza che la Dda di Palermo sapesse nulla”. L’idea era stata del generale Mori e del suo braccio destro De Donno. Infiltrato che non portò mai da nessuna parte.   Ma la testimonianza di Linares ha offerto anche altro. “Siamo stati ad un passo – ha risposto Linares – dalla cattura di Matteo Messina Denaro”. Forse già nel 2010 Matteo Messina Denaro poteva essere arrestato ma i vertici della Procura di Palermo e della Polizia nel marzo del 2010 decisero di fare scattare i fermi dei personaggi oggi sotto processo; se ai poliziotti di Trapani fosse stato concesso altro tempo, la cattura poteva esserci seguendo quei pizzini che a Matteo dovevano essere inviati, così era concordato, a partire dal successivo mese di maggio.

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