“A Roma, a poco più di un anno dalla Liberazione, si pativa ancora il freddo e la fame. Nelle case di Primavalle, del Quadraro, del Quarticciolo si viveva di miseria e di espedienti”. Così nel suo ultimo articolo sul quotidiano “la Repubblica” del 2 febbraio scorso Miriam Mafai, giornalista scrittrice e partigiana ricordava Roma, Cassino e i paesi vicini dopo la guerra, e i figli dei poveri contadini che “vivevano, o meglio sopravvivevano, prime vittime della guerra, nelle grotte, nelle case semidistrutte, nelle baracche, esposti da mesi al freddo alle malattie alla fame”. Anche Carlo Smuraglia, presidente dell’Anpi, nell’intervista ad Articolo21 la ricorda come “una grande donna che ho avuto la fortuna di conoscere bene in cui spiccavano franchezza e coerenza e che anche nell’ultimo periodo conservava quella fierezza e quella fermezza che hanno contraddistinto tutta la sua vita”. Prima di parlare del 25 aprile vorremmo un suo commento sul primo turno della tornata elettorale francese. E soprattutto sulla valanga di voti presi da Marie Le Pen…
Un dato impressionante e un segnale di avvertimento che vale per tutti. Succede molto spesso nella storia che in periodi di crisi ci siano atteggiamenti protestatari che poi tendono a sfociare nelle direzioni più impensate (molto spesso a destra). C’è un diffuso malcontento nel mondo, delusione, rabbia, indignazione Sentimenti giusti e comprensibili. Mi preoccupa però dove questa insofferenza viene incanalata, e verso quale direzione.
Un segnale che vale anche per noi?
Il pericolo c’è. Avverto un’atmosfera che non mi piace per niente in questo delicato momento storico del nostro Paese. Rigurgiti di violenza, fascismi dimenticati che tornano a galla…
Come finirà con il ballottaggio del 6 maggio?
Spero che in Francia il risultato della destra di Le Pen sia vanificato e prevalgano movimenti democratici piuttosto che pulsioni reazionarie. Qualche giorno fa Mario Bottazzi, ex partigiano è stato contestato da alcuni studenti di estrema destra in un liceo romano.
Sono pulsioni reazionarie anche quelle?
Lascio ad altri la definizione. Certo è che la contestazione nei confronti di un partigiano a Roma o i volantini distribuiti a Ravenna alcuni giorni fa in cui i partigiani venivano apostrofati come assassini beh, per qualcuno può sembrare un fatto di scarso rilievo ma per me deve quantomeno farci riflettere…
E’ il sintomo di una destra reazionaria che può avanzare anche nel nostro Paese? Non lo so. Sinceramente nel guardare i sondaggi e nel sentire i commenti della gente ciò che mi preoccupa di più è la decisione di non andare a votare. Per questo penso che dobbiamo lavorare tutti insieme affinchè questa disaffezione al voto non si traduca poi in una protesta generica e un voto a destra. E non mi sembra di vedere una reazione sufficiente di fronte a questo presagio.
Allude al ruolo dei partiti?
Certo. Sembrano paralizzati. Serve invece una scossa proprio da parte loro per aiutare a colmare il distacco tra politica e cittadini e per cercare di riconquistare quella fiducia che è andata persa. 25 aprile 1945, una data che si allontana sempre di più e sempre meno invece sono i testimoni diretti delle atrocità del nazifascismo.
Ciò rende più difficile il processo di conservazione della memoria?
E’ un processo che impone un’azione diversa. E’ indubbio che il venir meno della presenza di quei partigiani e combattenti della libertà che avevano subito deportazioni e torture e portavano una testimonanza diretta sia un fatto negativo perchè ci allontana dai fatti stessi. Ma è una condizione ineluttabile. Proprio per questo dobbiamo dare alla memoria un significato più “attivo”: non tanto attraverso le celebrazioni formali ma “attualizzando la memoria” nell’ottica di un insegnamento costante rivolto a tutti coloro che queste vicende non le hanno conosciute. Un compito che spetta prevalentemente alla scuola, ma non solo.
Anche l’informazione deve fare la sua parte? E la fa fino in fondo? Il ruolo dell’informazione è vitale, imprescindibile. Un’informazione seria e attenta alla vita, alla storia e alle condizioni dei cittadini. Mi auguro che giornali e mass media parlino delle iniziative promosse per il 25 aprile ma che al di là di questa ricorrenza, della storia della Liberazione se ne parli sempre anche per evitare il pericolo fondato di operazioni di revisionismo o negazionismo. Un’informazione corretta e che eserciti un ruolo di stimolo a puntare su valori positivi. Per dare ogni giorno nuova linfa alle tante straordinarie parole scritte nella nostra Costituzione: dignità, lavoro, solidarietà, frattellanza. Ai principi della lotta al razzismo e alle diseguaglanze.
Che rapporto hanno le giovani generazioni con la storia del fascismo? Sono solo capitoli dei manuali scolastici (ai quali peraltro non si arriva quasi mai) oppure c’è una consapevolezza reale di ciò che è significato quel periodo? Penso ci sia una sensibilità diffusa. E molti giovani che si impegnano. L’ho avvertito alcuni giorni fa recandomi a Monza ad inaugurare una mostra. Ho trovato tanti giovani alle prese con un’iniziativa importante: giravano per la città passando sotto ogni lapide dei caduti partigiani illustrando alla gente che passava cosa era accaduto. Ecco ciò che intendo quando parlo della necessità di impossessarsi della memoria e attualizzarla. Il tempo lavora contro di noi e allora noi dobbiamo ancorarci ai valori fondamentali che hanno animato la Resistenza e permeato la Costituzione. Questo deve essere il senso della festa del 25 aprile.
I sindaci di Milano e di Napoli (e non solo loro) hanno chiesto che il 25 aprile i negozi restino chiusi affinchè venga celebrata e valorizzata fino in fondo la ricorrenza Sono totalmente d’accordo con loro. Una festa nazionale è una festa per tutti. Francamente non mi pare che un giorno di chiusura possa pregiudicare così gravemente le attività commerciali. E poi si possono trovare anche soluzioni diverse, magari festeggiare durante il giorno e poi aprire la sera e andare avanti fino a tardi. Tutti dovrebbero capire che anche il piccolo sacrificio richiesto di chiudere un’attività per un giorno è nell’interesse della collettività. Lo storico Giovanni de Luna ha scritto recentemente una cosa che condivido completamente: un paese civile deve avere un patto comune e tutti devono riconoscersi in alcuni valori della propria storia; ed è lì che si costruiscono le basi profonde e durature della convivenza civile.