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Latina, 116 anni di reclusione per il clan Di Silvio

Di Elena Ganelli il . Lazio

Battute finali per il processo “Andromeda” in corso davanti al Tribunale di Latina, processo che  vede sul banco degli imputati undici esponenti della famiglia Di Silvio chiamati a rispondere a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata al tentato omicidio, all’estorsione, agli incendi, all’usura e alle minacce, detenzione illegale di armi da sparo. Nell’udienza odierna il pubblico ministero Marco Giancristofaro nella sua requisitoria ha ricostruito la fasi dell’indagine condotta nel 2010 dalla Squadra mobile del capoluogo pontino e a conclusione del suo intervento davanti al primo collegio penale presieduto da Pierfrancesco De Angelis ha chiesto condanne per complessivi centosedici anni di reclusione. 
Diciotto anni la richiesta più alta per Costantino Di Silvio, detto Patatone, un anno in meno per Armando, sedici per Giuseppe Pasquale, quindici per Giulia De Rosa, quattordici per Carmine, tredici per Ferdinando, dieci per Samuele e Gianluca Mattiuzzo, tre per Gerardo Scava. Il rappresentante dell’accusa ha puntato in particolare a sostenere la sussistenza del reato associativo per alcuni degli imputati. E’ la prima volta in assoluto che ai componenti della famiglia rom viene contestato il vincolo associativo nell’espletamento delle loro attività criminali.
L’operazione “Andromeda”, portata a termine dagli uomini della Mobile di Latina nell’ottobre 2010 con l’arresto all’alba degli undici componenti della famiglia Di Silvio e di persone a loro vicine, è stata la conseguenza delle indagini avviate con l’esplosione della guerra criminale nel capoluogo pontino, un feroce scontro tra gruppi contrapposti che in tre giorni aveva fatto contare due omicidi ed un tentato omicidio. In particolare il clan Di Silvio (affiliato a quello dei Casamonica insediato a Roma), secondo gli investigatori, sentendo aumentare la pressione delle forze dell’ordine, stava preparando atti intimidatori nei confronti di esponenti delle forze dell’ordine ed aveva addirittura pensato ad organizzare un omicidio a scopo dimostrativo nei confronti di due agenti della polizia penitenziaria del carcere di Latina così da ottenere un trattamento diverso e più accondiscendente per i componenti del clan detenuti presso la casa circondariale di via Aspromonte.
Nella prossima udienza la parola passerà agli avvocati del collegio di difesa mentre la sentenza è prevista per il 16 aprile prossimo.

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