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I padrini dell’azzardo

Di Antonio Maria Mira* il . L'analisi

Slot machine imposte con la violenza, per sostenere i mafiosi in
carcere. Innocui videogiochi truccati anche grazie a wi-fi. Pacchetti
viaggio ai casinò stranieri con usura annessa. Concessioni di sale bingo
ottenute a prezzi eccessivi, evidentemente per ripulire denaro sporco.
Punti scommesse gestiti dalla camorra che fruttano, ciascuno, fino a 4,5
milioni l’anno.

«La criminalità organizzata sta acquisendo quote sostanziose del mercato del gioco, i cui introiti sono in crescita esponenziale». L’allarme arriva dalla Procura nazionale antimafia. Nell’ultima relazione annuale l’organismo guidato da Piero Grasso, dedica un capitolo alle “Infiltrazioni della criminalità organizzata nel gioco (anche) lecito”, e la parentesi nel titolo la dice lunga su dove si inseriscano gli affari delle cosche. «È ormai ampiamente dimostrato – si legge nel documento, elaborato dal magistrato Diana De Martino – il preminente interesse della criminalità organizzata nel settore del gioco, determinato dagli elevatissimi e rapidi guadagni; dalla possibilità di riciclare ingenti somme provenienti da attività illecite; dalla penetrazione territoriale connessa alla gestione delle sale gioco, dei corner, degli apparecchi di intrattenimento ed infine dai bassi rischi giudiziari previsti per le singole condotte criminose». E la Procura lo ripete. «Non può essere dimenticato che a fronte di rilevanti introiti economici, le sanzioni penali, e dunque i rischi giudiziari, risultano piuttosto contenuti». Insomma armi spuntate nella lotta alla mafia biscazziere.

Lunga e articolata è l’illustrazione di questo affare delle cosche. «La criminalità mafiosa – spiega la relazione –, senza abbandonare le sue tradizionali forme di intervento quali la gestione di bische clandestine, l’organizzazione del toto nero o del lotto clandestino, si è concentrata nei settori più lucrosi del gioco e dunque innanzitutto nella gestione e nell’alterazione delle cosiddette macchinette», le slot machine. Due le vie seguite. «Gruppi criminali mafiosi si sono mossi utilizzando gli strumenti per loro tradizionali e dunque costringendo gli esercenti, con la forza dell’intimidazione, a noleggiare gli apparecchi dalle ditte vicine al clan, ma hanno anche fatto ricorso, per aumentare gli introiti, alla gestione di apparecchi irregolari». E non sono numeri di poco conto. Secondo la Procura «accanto alle 250mila new slot ufficiali, si stima che siano operativi almeno altri 200mila apparecchi illegali».

Ma la criminalità organizzata punta a operare soprattutto nel settore legale dei giochi. Così le sale Bingo «rappresentano un settore di grande interesse per la mafia». In particolare, denuncia il documento, «fa riflettere la circostanza che alcune concessioni per la gestione delle sale siano state aggiudicate a prezzi non competitivi, così che appare agevole ritenere che la compensazione debba avvenire per altri canali illeciti quali il riciclaggio o le frodi informatiche». È il caso anche dell’inchiesta della Dda di Palermo su Michele Spina, titolare della società Primal che si aggiudicava la concessione per ben 24 sale scommesse e 71 corner tra Lazio, Puglia, Sicilia, Campania ed Emilia Romagna, spendendo 8,5 milioni di euro (coinvolti anche funzionari dell’Aams). La relazione sottolinea «la sostanziale impossibilità di mettere a reddito l’investimento di una tale somma», evidenziando invece «l’appetibilità dello sforzo finanziario ove finalizzato a utilizzare le sale scommesse per il riciclaggio».

Vecchi strumenti ma anche nuove tecnologie. Così non può mancare la gestione delle scommesse clandestine, ma «per via telematica» anche «attraverso la gestione di punti di commercializzazione abusivi mascherati da internet point». Mentre resta forte l’interesse per i casinò che «rappresentano tradizionalmente una forma di riconversione di denaro con risultati immediati». Tre le strade del riciclaggio. La prima «attraverso l’acquisizione diretta del controllo della casa da gioco, con importanti effetti indotti quali, tra l’altro, l’acquisizione delle strutture legate al casinò (alberghi, ristoranti, locali notturni)». La seconda «mediante l’abusiva concessione di prestiti ad alti tassi di interesse da parte dei cosiddetti “cambisti” per finanziare i clienti in perdita e ormai invisi all’ufficio fidi del casinò». La terza «ricorrendo a giocate fittizie, cambiando rilevanti somme di denaro (in più tranche per sfuggire alle segnalazioni di legge), e ottenendo a fine serata un assegno emesso dalla casa da gioco che attribuisce la liceità di una vincita, alle somme provento di attività delittuose».

* L’Avvenire

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