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Mafie e politica, tra storia e attualità

Di Marika Demaria il . L'analisi

Durante la mattinata don Luigi Ciotti aveva tuonato: «Sono 150 anni che si parla di mafie, ci sarà pure una ragione!», scuotendo le centomila persone che avevano animato le vie di Genova per la XVII Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie.
Nando dalla Chiesa, presidente onorario di Libera, ha esordito come relatore nell’ambito del seminario “Mafie e politica tra storia e attualità” proprio partendo da questo assunto. «In tutti gli atti di nascita compare la mafia. Quando nasce lo stato unitario, ci si rivolge alla camorra per far entrare in maniera pacifica e trionfale Garibaldi a Napoli, per poi ringraziare la camorra assorbendone i quadri nella polizia regia; gli alleati sbarcano in Sicilia e ringraziano la mafia nominando sindaci diversi loro esponenti. Troviamo le mafie sempre alla fonte battesimale, quando nasce qualcosa si cercano sempre i mafiosi, si parte con loro mettendo di fatto l’ipoteca su quanto sta nascendo». Dalla Chiesa parla dunque di «internità della mafia nella politica, dobbiamo compensare questa presenza con un supplemento di azioni di responsabilità» e lancia un j’accuse nei confronti della politica. Assente. «Oggi (sabato 17, Giornata della Memoria e dell’Impegno, n.d.a.) si racconta un pezzo della storia d’Italia ma i parlamentari sono assenti. Questo si traduce con un “A noi non ci interessa niente della vostra storia”. Questo è davvero vergognoso: qui a Genova – città non così facilmente raggiungibile come Roma e Milano – sono arrivati da tutta Italia e un parlamentare che si sposta in aereo non si presenta. È uno scandalo. La lotta alla mafia divide in due le istituzioni: una parte che si sottomette a questa internità, un’altra che vuole invece scardinarla».
Nando dalla Chiesa ha anche parlato del concorso esterno in associazione mafiosa e della recente sentenza in Cassazione riguardante la vicenda Dell’Utri, ricordando che Aldo Grassi, presidente della V sezione penale della Corte di Cassazione, è lo stesso che «negli anni 80 fu dichiarato incompatibile con il territorio e che chiese il trasferimento volontario da Catania a Messina. Quello stesso magistrato contro il quale si era scagliato Pippo Fava dalle pagine dei «Siciliani», spiegando che la mafia a Catania non era come a Palermo, che a Catania il Palazzo di Giustizia era garante degli interessi politici, economici ed istituzionali. Aldo Grassi è lo stesso che, all’indomani della strage di Capaci, apostrofò Giovanni Falcone come “quello lì, con la faccia da caciocavallo”, di fatto dichiarandosi diverso da lui, disprezzandolo».
Anche Francesco Forgione, già presidente della commissione parlamentare antimafia, ha parlato della vicenda Dell’Utri, sottolineando come «in tutte le vicende importanti della criminalità organizzata questo nome sia presente. Qual è la vera natura di questo soggetto politico?». Secondo Forgione, la politica «non si deve permettere, di fronte agli intrecci che la vedono coinvolta con la mafia, di rispondere “Non lo sapevo, non potevo immaginare” perché questo significa che un politico non sta facendo bene il proprio lavoro, oppure che preferisce non vedere. Tanti parlano del soggiorno obbligato come fonte di tutti i mali, ma dobbiamo ricordare che le persone mandate al confino hanno stretto alleanze con le persone del luogo. Come si fa a credere di poter accettare i soldi dei mafiosi senza pensare che prima o poi arriveranno anche loro?». E ha concluso ribadendo che «la lotta alla mafia non può essere delegata: tutti dobbiamo fare la nostra parte».
A proposito di impegno concreto, il sindaco di Certaldo (in provincia di Firenze) e presidente di Avviso Pubblico Andrea Campinoti ha annunciato che proprio nei giorni scorsi «come giunta abbiamo sottoscritto la Carta di Pisa. Un documento importante che impegna, tra le altre cose, gli amministratori pubblici a rassegnare le dimissioni nel caso in cui il loro nome sia legato a un avviso di garanzia, un rinvio a giudizio o una contiguità mafiosa. Perché le due cose sono davvero incompatibili tra loro, e l’illegalità lo è con i valori che dobbiamo tenere sempre ben presenti e che costituiscono il primo terreno fertile per la lotta alle mafie, quelli sanciti dalla Costituzione».
Antonino Iannazzo, sindaco di Corleone, ha infine ricordato la figura di Placido Rizzotto, nato, cresciuto e ucciso nel comune da lui ora amministrato, sottolineando che «Corleone non è dunque la città di Riina e Provenzano, ma di Placido Rizzotto e Bernardino Verro». E ammettendo che «mentre la Sicilia, nel fare i conti con la propria storia, ha dovuto fare di necessità virtù, al nord non c’è ancora questa consapevolezza, non ci si rende conto che il problema delle mafie è dietro la porta di casa. È necessario mantenere un livello di attenzione più alto».
L’audio integrale del seminario su www.avvisopubblico.it
 

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