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“Mai più” voci spente nell’informazione

Di Norma Ferrara il . Dai territori, Progetti e iniziative

Erano rimaste in un cassetto socchiuso della memoria collettiva, alcune impolverate e altre nascoste. Sono le storie, i nomi e i volti di tutti quei giornalisti uccisi in Italia dalle mafie e dal terrorismo. Lo scorso 3 maggio, in Campidoglio a Roma, in concomitanza con la giornata mondiale per la libertà di stampa indetta dall’ Onu, quel cassetto è stato definitivamente riaperto celebrando la Prima giornata della memoria dei giornalisti vittime delle mafie e del terrorismo. Dal dopoguerra ad oggi in ricordo dei colleghi morti per mano della violenza criminale, mafiosa e terroristica, si erano alternati solo tiepidi ricordi, momenti privati, disattenzioni, silenzi e iniziative frammentate. Su iniziativa dell’ Unione nazionale cronisti italiani e dell’Ordine dei giornalisti si è messo in moto un percorso (partito dalla Sicilia, regione che ha pagato il prezzo più alto per la libertà di informazione con 8 giornalisti uccisi e nella quale è nato il primo Giardino della memoria per ricorda rli tutti) affinché ciò che sia stato non sia più – dichiara Guido Columba presidente Unci – e i cronisti possano informare liberamente e senza rischiare la vita”.

Ad onorarli, fra gli altri, insieme al presidente Unci Guido Columba, Leone Zingales dell’ Unci Sicilia, il presidente dell’ ordine dei giornalisti Lorenzo Del Boca, il presidente della Federazione nazionale della stampa Roberto Natale, il segretario della Fnsi Franco Siddi e un messaggio del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nonchè colleghi e familiari delle vittime. “Sono 11 i colleghi che sono stati uccisi – dichiara il presidente Unci – perché non si sono mai accontentati della versione ufficiale dei fatti, hanno interpretato il giornalismo come impegno civile, esercitando il dubbio. La loro morte deve essere da stimolo per tutti noi, per non smettere mai di raccontare la verità sostanziale, nonostante tutto”.

Ci sono voglia e bisogno di riappropriarsi di queste storie dentro l’intervento di Siddi, segretario della Fnsi, che ricorda “c’ è un dovere che è quello di riordinare la memoria, di porla in un continuum e cominciare a dire, insieme “mai più”. Mai più. nonostante ci siano ancora oggi colleghi sotto scorta, dal cronista dell’ Ansa Palermo, Lirio Abbate, sino alla giornalista Rosaria Capacchione de Il Mattino Caserta. Ma più, anche se ancora in molti si spendono in prima linea senza avere le garanzie di una qualifica professionale adeguata. Mai più, morti e silenzio nonostante in troppi inviati in guerra, spesso cadano nelle mani di rapitori o sotto il fuoco delle armi. “Mai più, è vero ma parimenti dobbiamo tenere vivo- conclude Siddi – il nostro impegno con serietà e responsabilità, cercare il pluralismo delle notizie e quando queste hanno rilevanza pubblica dare loro cittadinanza; avere la capacità di andare dove sono i fatti e non fare convergere i fatti verso le proprie posizioni, esigere infine un maggiore accesso alle fonti, oggi ancora negato”.

Giornalisti, ieri come oggi, terre di mezzo e cartina di tornasole di un Paese troppo spesso diviso. Lo stesso nel quale è necessario chiedere a gran voce alla politica e alle istituzioni democratiche quelle riforme che mancano per il mondo dell’ informazione – commenta il presidente dell’ ordine dei giornalisti Lorenzo Del Boca “dalla riforma del servizio pubblico radiotelevisivo sino a quella che istituisce l’ ordine dei giornalisti. Proprio a partire da quella Rai in cui ricorda, Emilio Rossi ex Tg1 colpito al femore, ginocchio e tibia nel giugno del 1977 dalle Br mente camminava per strada e presente in Campidoglio per testimoniare quegli anni (molti dei quali trascorsi a fianco di Roberto Morrione, oggi presidente di Libera Informazione e presente in sala) c’ era la voglia di raccontare i fatti, 2farlo bene senza favori per nessuno” . E infine coloro i quali in Italia non vi hanno fatto più ritorno e che sono per la legge ufficialmente “scomparsi” come Italo Toni e Graziella De Palo, Beirut 1980.

Parlano di loro i familiari per la prima volta uniti a tutti gli altri da un passato che ritorna. Mogli, figli, sorelle o fratelli che per anni hanno vissuto spesso in privato un lutto che appartiene alla storia del nostro Paese e all’ ordine dei giornalisti in primis che, come ricorda il figlio di Beppe Alfano, non si è mai costituito parte civile in nessuno dei processi che si sono svolti contro esecutori e mandanti di questi omicidi. Dolore e amarezza per il passato trapela fra gli altri, dagli interventi dei familiari di Giancarlo Siani, Marco Lucchetta, Mino Pecorella, Giuseppe e Mario Francese ma anche la voglia di denunciare un presente che – ricorda Elena Fava, figlia di Pippo Fava ucciso dalla mafia catanese nel 1984 – vede giornalisti ancora oggi soli contro barriere di potere.

Un mestiere che i giovani devono imparare a fare al meglio, come sottolinea nel suo intervento Giovanni Impastato, fratello di Peppino, ucciso a Cinisi nel 1978, perché è esercizio di democrazia e anche un modo per rendere giustizia a coloro i quali nel rispetto di questa sono morti. Un mestiere che è una grossa responsabilità perché non è solo un lavoro ma è un impegno civile quotidiano che richiede capacità critica e serietà e nel quale, come racconta Alberto Spampinato, vigono ancora troppo spesso censura e autocensura.

“Un mestiere – commenta il presidente Del Boca – che a volte è così serio da morirne”.

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