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I tentacoli della ‘ndrangheta anche sullo scalo di Gioia Tauro

Di Anna Foti il . Calabria

“Cent’anni di storia”  – Avviato lo scorso dicembre davanti la Corte di Appello di Reggio Calabria (presidente Iside Russo, relatore dr. Antonio Napoli) il processo di appello dell’operazione della Direzione Distrettuale Antimafia denominato “Cent’anni di storia” contro le presunte cosche Piromalli e Molè la cui alleanza, già minacciata da un sopraggiunto patto tra i Piromalli e gli Alvaro, definitivamente si spezzò con l’omicidio del Rocco Molè, avvenuto l’1 febbraio del 2008. Tanti gli arresti nell’ambito di questa operazione condotta dalla Dda di Reggio Calabria, dagli agenti della Squadra Mobile, dal Commissariato di Gioia Tauro, dal Centro Operativo dei Carabinieri, nonché dalle squadre mobili di Milano e Roma.
Il primo grado si era celebrato davanti il Tribunale di Palmi con la condanna non solo di alcuni “colletti bianchi”, tra cui l’imprenditore Pietro D’Ardes, condannato a 11 anni di reclusione per attività poco chiare all’interno del porto di Gioia Tauro, ma anche di Giuseppe Alvaro (12 anni di reclusione), Antonio e Natale Alvaro (condannati a 9 anni ciascuno), Giuseppe Mancini (condannato a 9 anni e 6 mesi), Gianluigi Caruso (condannato a 5 anni) Arena Giuseppe (4 anni e 8 mesi) e Molè Girolamo cl. 63 (5 anni), Molè Girolamo, cl. 61 (anni 17), Molè Domenico (16 anni) e Piromalli Giuseppe (15 anni). Imputati ed assolti anche Arcidiaco Lorenzo, Fantone Marco e Priolo Vincenzo che furono assolti.
Imputati in primo grado anche il Vicesindaco di Gioia Tauro, Schiavone Rosario, il Sindaco Giorgio Dal Torrione ed i Sindaci Martelli Carlo e Barbieri Francesco, rispettivamente del Comune di Rosarno e di San Ferdinando. Tutti prosciolti in primo grado dalle accuse con la formula “ il fatto non sussiste”. Tutti e tre i Comuni, costituitisi già parte civile nel processo ‘Porto’ proprio a carico dello stesso Piromalli, erano stati sciolti per infiltrazioni della ‘ndrangheta: Gioia Tauro nell’aprile del 2008, Rosarno nell’ottobre del 2008 e San Ferdinando nell’aprile del 2009.
L’ex Sindaco di Gioia Tauro era imputato di associazione per delinquere di tipo mafioso in merito ad un suo presunto appoggio alle cosche della ‘ndrangheta di Gioia Tauro ed in particolare in merito ad atti idonei diretti in modo non equivoco, compiuti in qualità di pubblico ufficiale ed in concorso con altre persone, a far conseguire un ingiusto vantaggio patrimoniale nei confronti di Piromalli Gioacchino, cl. 69. Con un provvedimento del 18.12.2006, firmato in sostituzione dal vice sindaco Rosario Schiavone, si manifestava la disponibilità dell’amministrazione Comunale di Gioia Tauro ad accettare che quest’ultimo espletasse attività continuativa e gratuita presso quell’Ente. Una condotta che mise sotto accusa gli amministratori, anche quelli di Rosarno e San Ferdinando, cui era stata rivolta la stessa istanza, come lo stesso Gioacchino Piromalli. Furono tutti assolti.
Nell’ottobre del 2010, Giorgio Dal Torrione, ex sindaco di Gioia Tauro, fu infatti assolto per non aver commesso il fatto. Quindici anni di reclusione erano stati chiesti dai pm della Dda di Reggio Calabria, Roberto Di Palma e Roberto Pennisi. Le 14 persone imputate nel processo di primo grado erano, a vario titolo, accusate di associazione per delinquere di tipo mafioso finalizzata all’infiltrazione di alcune cosche della ‘ndrangheta nelle attivita’ del porto di Gioia Tauro, con particolare riferimento alla carriera dell’imprenditore romano Pietro D’Ardes all’acquisizione della cooperativa portuale All Services e che, secondo l’accusa, era stata sostenuta da affiliati di rilievo della cosca Alvaro di Sinopoli e Molé e Piromalli di Gioia Tauro.
Per D’Ardes, i pm avevano chiesto la condanna a sedici anni di reclusione.Stessa richiesta per due commissari liquidatori della cooperativa, Gianluigi Caruso e Giuseppe Mancini. La condanna piu’alta, diciotto anni, era stata chiesta per Giuseppe Alvaro, esponente di primo piano dell’omonima cosca.
Il processo scaturì da un’indagine molto singolare e impegnativa. Tra le pagine della letteratura contemporanea, i codici per decifrare gli ordini del boss Mommo Molè dal carcere dei boss per i picciotti. I pizzini e le lettere dal contenuto generico che uomini e donne del clan si scambiavano per portare le avanti le attività criminali di controllo del terrirorio, secondo gli inquirenti, avrebbero avuto in determinate edizioni dei romanzi ‘Lo Zahir’ di Paolo Coelho e ‘Va’ dove ti porta il cuore’ di Susanna Tamaro, gli elementi (foliazione interna e rigaggio) per essere decodificati e, dunque, eseguiti. La chiave di lettura nei due libri, sequestrati nel luglio 2008, utili ad intepretare con un codice alfanumerico i pizzini del boss detenuto.
Ma torniamo al processo di secondo grado incardinato lo scorso dicembre dinnanzi alla Corte di Appello di Reggio Calabria.
Il Procuratore Generale, Fulvio Rizzo, ha chiesto la riforma della sentenza di assoluzione, e la conseguente condanna, per Arcidiaco Lorenzo, la conferma dell’assoluzione dell’ex sindaco Giorgio Dal Torrione e la conferma per tutti gli altri condannati della sentenza di primo grado.
La sentenza sarebbe prevista per il prossimo aprile.
Altro troncone della stessa inchiesta ha seguito il rito abbreviato. Nel luglio scorso, dopo oltre 5 ore di camera di consiglio, la Seconda sezione della Corte d’Appello di Reggio, presieduta da Lilia Gaeta (a latere Natina Pratticò e Daniele Cappuccio), ha emesso la sentenza relativa al secondo grado di giudizio per rito abbreviato, relativo al procedimento “Cent’anni di storia”. Confermata l’assoluzione, già sancita in primo grado, per Gioacchino Piromalli (classe ’69) e assolto anche l’omonimo Gioacchino Piromalli (classe ’34), che in primo grado era stato condannato alla pesante pena di 10 anni e 8 mesi.
Sei anni e 8 mesi sono invece stati inflitti ad Antonio Piromalli (10 anni e 8 mesi in primo grado), a Domenico Stanganelli (10 anni e 8 mesi in primo grado), non considerati capi dell’organizzazione, ad Antonio Stanganelli, che in primo grado era stato condannato a 8 anni. Caterina Albanese, moglie di Girolamo Molè, che in primo grado era stata condannata a 6 anni e 8 mesi e a Valeria Mesiani Mazzacuva (6 anni e 8 mesi in primo grado), le due donne imputate, sono state condannate a quattro anni. 3 anni e 8 mesi ad Antonio Molè (classe ’89) e Antonio Molè (classe ’90) che in primo grado erano stati condannati a 6 anni e 8 mesi, inflitti poi dalla stessa Corte. Infine, Gioacchino Arcidiaco, è stato condannato a 3 anni e 4 mesi (in primo grado 6 anni e 8 mesi). Per lui è stata esclusa l’associazione mafiosa diretta, ma soltanto il concorso esterno.
Tra le persone condannate in questo processo figurano Gioacchino Piromalli e Domenico Stanganelli che unitamente a Giuseppe Piromalli, Girolamo Albanese, Luigi  Emilio Sorridente e Antonio Zito sono stati condannati, in sede civile, anche per i reati accertati nell’ambito dell’Operazione “Porto”. La condanna prevede il risarcimento del danno per un valore storico di nove milioni di euro riconosciuti alla Provincia di Reggio Calabria che nel 2007, attraverso l’azione legale intrapresa dall’avvocato Pietro Catanoso che già si era costituito parte civile nel processo  dinnanzi alla Corte di Cassazione che rigettò il ricorso. La decisione è stata assunta dal giudice Claudio Parise con sentenza depositata lo scorso mese di gennaio e già il presidente della Provincia Giuseppe Raffa ha annunciato che “Non appena queste somme saranno disponibili ed entreranno nelle casse dell’Ente intendiamo investirle nell’area di Gi
oia Tauro, in particolare nel retroporto e rilanciare così le attività legate allo scalo che necessita di ulteriori e maggiori attenzioni da parte della Pubblica amministrazione”.
L’operazione “Porto” si rivelò strategica per accertare il dominio delle cosche della Piana ed i forti condizionamenti cui erano sottoposti i Comuni dell’area in cui era sorto un potenziale volano di sviluppo e quindi di ricchezza: il porto di Gioia Tauro. Con la violenza intimidatrice il gruppo criminale, composto dalle ‘ndrine Piromalli-Mole’ nel territorio di Gioia Tauro e Pesce -Bellocco egemone a Rosarno, ed entrambe anche nel territorio di San Ferdinando, si assicuravano illeciti e ingenti profitti provenienti dalle attività economiche finanziate dallo Stato, da altri enti pubblici e dalla Comunità Europea e finalizzate al completamento dell’area del Porto.
La nota del portavoce del Presidente della Provincia di Reggio Calabria, Giuseppe Raffa spiega nel dettaglio che “tra le altre finalità criminali figuravano: l’influenza nelle decisioni della Pubblica Amministrazione, relative all’assetto territoriale dell’area interessata e, contestualmente, ottenere il favore e la complicità di pubblici ufficiali; il conseguimento di vantaggi patrimoniali dalle imprese operanti nel territorio attraverso affidamenti di lavori per l’erogazione di forniture di beni e servizi (da distribuire in base a precisi accordi di ripartizione territoriale intercorsi tra le dette ‘ndrine), l’assunzione di mano d’opera, ovvero direttamente attraverso la corresponsione di somme di denaro a titolo estorsivo; l’accaparramento fraudolento di contributi e/o agevolazioni economico-finanziarie anche attraverso la partecipazione allo svolgimento delle attività produttive nell’area portuale e nella circostante zona industriale”. Dunque la ‘ndrangheta di Gioia Tauro aveva mire sulle società “Medcenter”, nella persona del suo vice presidente Walter Lugli, e “Contship”, nella persona del suo presidente Enrico Ravano. L’obiettivo era una tangente corrispondente alla somma di 1,50 dollari per ogni container scaricato, pari al 50% degli effettivi profitti conseguiti dalle società per ogni container.
“Nella costituzione di parte civile della Provincia, gli avvocati Catanoso e Battaglia – prosegue la nota del palazzo di via Foti – hanno chiesto che in sede di quantificazione dei danni patrimoniali si tenesse conto “dell’ostacolo posto allo sviluppo socio-economico del territorio per effetto della presenza e influenza della consorteria mafiosa e dell’attività estorsiva posta in essere dagli imputati”. Il tutto per come emerso dal processo penale, che ha accertato l’alterazione delle regole del mercato e della concorrenza ai danni delle imprese locali, rappresentando così un fattore di disincentivazione allo spirito di intraprendenza imprenditoriale nonché serio ostacolo alla capacità del territorio di attirare nuovi investimenti di capitali al fine di garantire l’insediamento di altre realtà produttive nel territorio della Provincia.  Nella richiesta di danni non patrimoniali, il Tribunale è stato sollecitato  a tenere conto del “discredito arrecato alla reputazione e all’immagine dell’Ente e alla sua popolazione, in virtù della presenza nel proprio territorio di tali consorterie mafiose”.
Già nel 2007 lo stesso Tribunale di Palmi, allora il giudice Antonio Salvati, scrisse la prima pagina di riscatto di questa storia. Quella pagine riguardò la Rosarno guidata dal sindaco pioniere per la battaglia in sede civile del risarcimento del danno ambientale prodotto dall’azione delle ‘ndrine, Peppino Lavorato. Anche allora nel 2007 la condanna per il risarcimento ammontò a nove milioni di euro.
Poi tra l’aprile ed il maggio 2011 altre sentenze storiche furono emesse dallo stesso Tribunale di Palmi, a distanza di 12 anni dai fatti. Ai comuni di Gioia Tauro e San Ferdinando venne riconosciuto il diritto ad essere risarciti nella misura di 10 milioni il primo e 2 milioni 250 mila il secondo. Ecco le motivazioni delle Sentenze: “le attività criminose hanno influenzato la libertà economica, la libera esplicazione di alcuni dei diritti fondamentali dell’ordinamento, quali il diritto al lavoro, all’autodeterminazione e quello alla sicurezza personale”. Le conseguenze sono dettagliatamente enunciate: “la grande opportunità di rilancio dell’area portuale, strettamente connessa ala realizzazione della grande opera pubblica è stata in buona parte frustrata dalle attività dell’associazione”.  
 

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