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Eternit e Giustizia nella Spoon River di Casale Monferrato

Di Santo Della Volpe il . Piemonte

Quel tricolore con due sole parole, “Eternit Giustizia”, portato sulle spalle,come fosse uno scialle, appeso alle finestre ed ai balconi, è diventato il simbolo di una richiesta, diventata, il 13 febbraio del 2012, una prima realtà, riconosciuta anche processualmente. I due padroni miliardari dell’Eternit, sapevano che l’amianto lavorato nelle loro fabbriche era cancerogeno, ma non hanno fatto nulla, o quasi, per evitare che diventasse mortale, per i lavoratori e  gli abitanti delle zone dove si trovavano gli stabilimenti italiani. E quel tricolore, il giorno dopo la sentenza di Torino, è apparso anche sulle tombe del cimitero di Casale Monferrato: non su tutte, ma su tante, troppe. Perché sulle rive del Po, in questa cittadina del Monferrato, l’amianto ha riempito il cimitero di 1500 vittime; ed i figli, i parenti, gli amici di questi operai, o cittadini di Casale, hanno voluto portare con sé, nel processo, la memoria di quei morti, i cui nomi sono riecheggiati, quasi tutti, nell’aula del tribunale, mentre il presidente Casalbore leggeva le 128 pagine del dispositivo.

Tre ore di un rosario di nomi e cognomi, che hanno risvegliato in ciascuno dei presenti, la sofferenza, il pensiero di chi non è riuscito a sentire almeno questo po’ di giustizia. Il sollievo e la tristezza hanno creato, nell’aula del tribunale, una lunga, silenziosa scia di lacrime e commozione, talmente tangibile da aver superato lo spazio dedicato ai familiari, invadendo anche i sentimenti di avvocati, giornalisti, operatori Tv e radio.  E’ stata una catarsi, non  liberatoria però: perché quel processo non è finito. Ci sarà l’appello, ci sarà anche un secondo processo Eternit per la morte di altri 700 operai e  269 residenti di Casale Monferrato (dove, per effetto della prima sentenza del 13 febbraio, i PM prevedono di chiedere l’omicidio volontario come per la Thyssenkrupp).

Ci sarà tutta la parte relativa ai risarcimenti in sede civile, lunga ed altrettanto dolorosa, perché per chi ha perso familiari o amici, “contrattare” cifre in denaro è quasi un oltraggio; lunga e difficile perché i due responsabili dell’Eternit vivono in Svizzera e non sarà facile ottenere  un pagamento da chi risiede in un paese come quello elvetico, che ha particolari condizioni di  rapporti giuridici con l’Italia.  Ma comunque, quella bandiera che avvolgeva le tombe dentro il cimitero di Casale Monferrato, ha un significato più alto che mai .Si è finalmente fatta giustizia, un po’; ma “si è avverato un sogno”come ha detto a caldo il procuratore aggiunto Guariniello, “la possibilità di fare giustizia in un processo così difficile, in un paese come  l’Italia, in  nome delle tante vittime che rischiavano di non averne mai”.

 Anche per questo si è  trattato di una sentenza veramente storica. Non solo perché, per la prima volta  i produttori di cemento amianto, ancora attivi in molte parti del mondo,dal Canada al Brasile, sono stati condannati a 16 anni di carcere e riconosciuti colpevoli di aver provocato i micidiali tumori  alla pleura e le malattie dell’asbesto alle vie respiratorie: ma anche perché è stato riconosciuto, per Stephan Schmidheiny e  Jean Louis de Cartier de Marchienne, i proprietari dell’Eternit, il disastro ambientale e l’omissione di cautele antinfortunistiche con dolo.  E cioè, dice il tribunale riconoscendo valide le tesi dell’accusa, i proprietari dell’Eternit sapevano che l’amianto produceva il cancro sia dagli ani ’60, ma hanno cercato di minimizzare le ricerche scientifiche, nascondendone i risultati, pagando anche scienziati che contraddicessero le risultanze degli studi più accurati che già si facevano negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso: e continuando a far lavorare gli operai in condizioni rischiose , inquinando poi intere città e paesi con le emissioni ed i residui dell’amianto lavorato.

Un vero attentato alla salute pubblica: basti pensare che ormai l’80% degli attuali malati di mesotelioma alla pleura sono cittadini comuni, non operai dell’Eternit. Una sentenza destinata a diventare apripista verso  altri processi in Europa e nel mondo; tant’è vero che subito,già ieri, giornali come Le Monde si sono chiesti “perché in Italia si è riusciti a fare un processo come quello all’Eternit di Torino,mentre in Francia non si è mai conclusa una azione giudiziaria” per cercare di  ottenere giustizia per i tanti morti per amianto francesi. Anzi, Le Monde aggiungeva che in Francia la sentenza è stata accolta “con amarezza” ricordando i 16 rinvii a giudizio per morti dell’Eternit, annullati oltralpe.  Unico neo della sentenza torinese resta la prescrizione del reato per le vittime di Bagnoli e Rubiera di Reggio Emilia. Una prescrizione dovuta ad una valutazione dei giudici riguardo la continuazione del reato e delle morti in queste due località; quindi una valutazione sulle quali è molto probabile un ricorso della procura in appello.  Perché uno dei grandi motori di questa vicenda è stata la solidarietà che si è  costruita intorno e tra le associazioni delle vittime di tutte le zone dove l’Eternit continua ad uccidere. Perché di amianto si muore ancora e purtroppo il picco delle vittime si raggiungerà solo nel 2020. Per questo non si è festeggiato a Casale Monferrato per la sentenza, pur importante, di lunedì 13 febbraio. A Casale Monferrato oggi 58 persone l’anno, dati del 2011, si ammalano di amianto, avviandosi a morte e sofferenze: sono i bambini degli anni ‘ 60 che, superati ora i ’50 anni, scoprono d’aver ingerito amianto giocando con il polverino, quando questo veniva regalato dall’Eternit alla città per fare cortili, solai, muretti. Casale ne è ancora piena: forse anche a bonificare questi luoghi saranno destinati i 25 milioni di Euro che il tribunale ha assegnato  come provvisionale al comune di Casale Monferrato. 

Un dato significativo.  Un mese fa  ci furono dure polemiche per l’offerta che l’Eternit aveva fatto al Comune di Casale Monferrato perché si ritirasse dal processo come parte civile. Ci furono scontri roventi, tra la Giunta che aveva accettato ed i cittadini che non volevano questo accordo: poi il Comune ha desistito, è rimasto nel processo. Ebbene , l’Eternit aveva offerto 18 milioni e mezzo di Euro, il tribunale gliene ha assegnati 25. Hanno vinto i cittadini, anche in questo caso.  E sono solo una parte dei 150 milioni di risarcimento che complessivamente l’Eternit dovrà pagare alle famiglie delle vittime,agli enti locali, sindacati ed associazioni accettati come parte civile. Quando, si vedrà. Ma almeno è stato messo un punto fermo.  E la solidarietà verso gli altri paesi del mondo colpiti dalle lavorazioni dell’amianto, ora porterà alla richiesta di apertura di processi e risarcimenti, almeno in Brasile  e Francia. Anche perché in quell’aula piena all’inverosimile, nei 26 pulmann arrivati al tribunale di Torino da Casale Monferrrato e da ogni parte d’Italia, c’erano 160 delegazioni dall’estero; perché questa sentenza farà da apripista anche per il mondo, per dire che i produttori di amianto si possono processare ovunque, non solo a Torino, se  continuano a lavorare le fibre killer; e nelle condizioni proibitive ,di grande pericolo come succedeva a Casale Monferrato prima del 1986, data di chiusura dello stabilimento. 

Ma mentre si  avverava quel sogno citato dal procuratore aggiunto Guariniello,una tegola si stava abbattendo sul suo pool di magistrati, che purtroppo è in via di smantellamento “coatto”. Per effetto della rotazione imposta ogni 10 anni da una legge di alcuni anni fa,7 sostituti procuratori su 9 del nucleo “tutela del consumatore” che fa capo a Guariniello , andranno ad assumere altri incarichi. Rischia di perdersi una memoria 
importante ed un metodo di conduzione delle indagini che ha permesso di portare in porto il processo Thyssenkrupp in poco più di un anno e quello Eternit con quasi 6000 parti civili, in due anni di udienze. Per questo, due giorni dopo la sentenza, il procuratore capo di Torino  Giancarlo Caselli e lo stesso Guariniello sono corsi al Senato ed hanno esposto le loro preoccupazioni davanti alla “Commissione Parlamentare d’inchiesta sugli infortuni sul lavoro”. Per chiedere una legge di due articoli che possa  evitare la rotazione dei magistrati impegnati in un settore specialistico come la tutela della salute; e per chiedere l’istituzione della Procura Nazionale sugli infortuni sul lavoro, che potrebbe ovviare anche al problema della rotazione, così come avviene per i magistrati impegnati nell’antimafia. 

Perché il processo Eternit e Thyssin di Torino non restino casi isolati,ma l’inizio di una serie di indagini per ottenere giustizia per chi è morto  sul lavoro o appena andato in pensione; ed anche per chi ha avuto la sfortuna di abitare vicino a fabbriche come quelle che lavoravano l’amianto o prodotti chimici o altro.SI vedrà cosa riusciranno ad ottenere, con l’aiuto dell’opinione pubblica e dei mezzi di informazione che ne sono espressione.  Restano infine i problemi della malattia : sinora le cifre sono agghiaccianti, 2300 vittime , 1500 solo a Casale Monferrato. Ma manca una seria bonifica su tutto il territorio nazionale dell’amianto che è sparso ovunque e che è stato lavorato ancora sino al 1992, quando, con grande sforzo, si riuscì ad ottenere una legge che mise al bando questo killer silenzioso ma micidiale. E bisognerebbe  spingere le case farmaceutiche, gli istituti di ricerca di tutto il mondo, affinché impegnino più risorse per trovare  cure adeguate, magari metodi efficaci per combattere il mesotelioma alla pleura da amianto. 

Anche questo ora è un sogno; ma chissà che non si avveri in futuro,come è accaduto per un altro sogno il 13 febbraio, nell’aula del tribunale di Torino.  Per un po’ di giustizia. E non è poco.

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