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I “Forconi” tra disperazione e politica, mafia e odor di golpe

Di Enrica Frasca Caccia e Francesco Ragusa il . Sicilia

“L’ora X” è scattata a mezzanotte in punto. È l’alba del 16 gennaio e la protesta organizzata dal Comitato “Forza d’Urto” ha preso forma in circa 150 punti nevralgici delle nove province siciliane. Migliaia di persone sfidano il gelo anche di notte per bloccare porti, svincoli, zone industriali e commerciali, strade e autostrade. Agricoltori, allevatori, operai edili, pescatori e autotrasportatori presidiano l’isola per lanciare, ai vertici che la governano, un segnale forte sulla crisi che li attanaglia. Tra le rivendicazioni più importanti ci sono i tagli alle accise, la defiscalizzazione dei carburanti, l’attuazione dello Statuto Speciale, l’autonomia monetaria della Sicila, l’alleggerimento delle pressioni esercitate della Serit.  A poche ore dall’inizio delle proteste sono gli automobilisti a subire i primi forti disagi: benzina terminata praticamente ovunque e file chilometriche sulle principali arterie stradali. 

Dopo 48 ore i generi alimentari di prima necessità iniziano a scarseggiare e nei supermercati gli scaffali dei prodotti deperibili (in particolare latte e derivati) sono già vuoti; le farmacie terminano in poco tempo i rifornimenti di alcuni farmaci da banco: la circolazione delle merci è paralizzata.  Durante le cinque giornate di blocchi emergono i vari aspetti controversi delle agitazioni.  Tantissime le segnalazioni di chi ha subito minacce, “colpevole” di non aver voluto aderire al blocco.  Alcune contraddizioni riguardano invece l’apartiticità della protesta che si va man mano sgretolando sotto gli occhi di tutti. Uomini di Lombardo “traditi” che si ergono a moderni capipopolo; partiti di estrema destra che mettono il cappello sulle proteste.  La presenza di esponenti locali e regionali di Grande Sud, MpA, PdL nei presidi non passa certamente inosservata. Emerge in breve tempo il passato di alcuni leader del movimento dei Forconi, che è confluito in Forza d’Urto insieme all’Aias di Richichi, personaggio con non pochi scheletri nell’armadio.  Ma questo non interessa alle famiglie, ai semplici cittadini, ai disoccupati e ai precari che si sono riversati nelle strade per urlare la loro disperazione e le cui motivazioni meritano voce. Molti si aggrappano alla speranza che questa volta sia veramente “rivoluzione”. La componente vera e autentica della protesta è fuori dai circuiti delle ombre e dei sospetti ricaduti su Forza d’Urto. Che però ci sono. 

A cinque giorni dall’inizio della protesta viene molto apprezzata l’iniziativa della Coldiretti, che decide di regalare a pensionati e famiglie bisognose le enormi quantità di frutta e verdura che altrimenti andrebbero perdute.  Sabato 21 gennaio cambia tutto. Forza d’Urto ottiene il permesso per occupare i presidi per altri tre giorni e, all’interno del movimento di protesta, vanno in scena i primi distinguo. E’ proprio Mariano Ferro, forse il “leader” morale delle agitazioni, il primo a tirarsi indietro. C’è una Sicilia in ginocchio con scaffali vuoti e code chilometriche presso i benzinai, una Sicilia che non potrebbe ancora reggere ulteriormente quella situazione. Si valutano in oltre cinquecento milioni di euro i danni provocati da questo blocco di quasi sei giorni, da aggiungere a quasi mille nuovi disoccupati. Ferro ne è consapevole e, nel pomeriggio di quel caldo (di certo non meteorologicamente) Sabato, decide che è troppo. La protesta, però, perde a grappoli la sua indole originaria, tingendosi di tinte mafiose. Cosa Nostra mette il suo zampino tra i “Forconi” attraverso la presenza (tra l’altro ampiamente documentata con immagini) di suoi esponenti tra i presidi dell’isola.

Lo stesso Ivan Lo Bello, a capo di Confindustria Sicilia, è chiaro: “In mezzo a loro ci sono infiltrazioni mafiose. C’è una parte della mafia che vive nell’ombra ma la mafia, per svolgere il proprio ruolo, deve mostrare la sua presenza sul territorio. Nella parte orientale, e in particolare a Catania, c’è una mafia imprenditrice. E lo fa in modo vistoso. E in mezzo ai forconi questo aspetto lo si nota in maniera piuttosto netta”.  Le dichiarazioni di Lo Bello sono subito criticate aspramente dai “vertici” di Forza d’Urto. L’allarme lanciato ha però trovato conferma  nell’arresto del Forcone marsalese Carmelo Gagliano, avvenuto nell’ambito di un’inchiesta sull’alleanza tra mafia e camorra per il monopolio sul mercato ortofrutticolo di Fondi. Secondo l’accusa, Gagliano metteva gli automezzi della sua azienda a disposizione dei fratelli Sfraga (legati a Riina e Messina Denaro) in Sicilia; mentre in Campania aveva contatti con Costantino Pagano, prestanome degli Schiavone. Le dichiarazioni del pentito Costa hanno svelato i retroscena dell’accordo che ha assegnato a mafia e camorra il controllo del trasporto su gomma nel sud Italia e il monopolio su buona parte del settore ortofrutticolo.  Imbarazzo tra i Forconi: “È impossibile schedare chi partecipa liberamente alle manifestazioni”, dichiara Ferro. È credibile però che i Forconi provenienti dal settore degli autotrasporti non fossero a conoscenza delle vicende giudiziarie in cui Gagliano era coinvolto da mesi?  La protesta si allarga e, tra i più ardenti promotori a livello nazionale, troviamo il generale Pappalardo. Una figura più che emblematica. Nel suo curriculum una carriera militare nell’arma dei Carabinieri e salti politici degni di Domenico Scilipoti.  Approda alla Camera sin dal 1992 all’interno del Partito Socialista Democratico Italiano. Nel 1993, seppur per due settimane, diventa sottosegretario alle Finanze dell’esecutivo guidato da Carlo Azeglio Ciampi. Viene subito rimosso in seguito ad una condanna per diffamazione. Nel 1993 decide di candidarsi al Consiglio Comunale di Roma in una lista collegata al principe Giovanni Francesco Alliata di Montereale che, nel suo passato, era uno dei più illustri esponenti della massoneria (oltre che possessore della tessera numero 361 della P2). Pappalardo continua il suo cursus honorum candidandosi al Parlamento Europeio nelle liste di Alleanza Nazionale. All’inizio del nuovo millennio una manovra da provetto “Responsabile”: chiede “asilo” alla Democrazia Europea di Sergio D’Antoni, ma anche ad Italia dei Valori. Alla fine, dopo aver visto quelle due porte sbattute in faccia, decide di candidarsi al Senato per la Lega d’Azione Meridionale. Poi una scuola politica d’area Idv e una capatina al V-Day di Grillo.

Nel 2008 il colpo di scena, quello che lo accomuna a molti esponenti della “rivoluzione” siciliana: il passaggio all’Mpa di Lombardo. Il generale Pappalardo, ormai in congedo, attraverso la sua creatura denominata “Dignità Sociale” ha annunciato la “marcia su Roma” in compagnia dei “Forconi” del Lazio. Fa riflettere, quasi intimorisce, come dirette emanazioni di frange militari scendano in strada a fianco della protesta dei “Forconi”. E c’è una parola che, fra i fan di Pappalardo, si fa strada: “golpe militare”. Moti di strada, ma anche moti della disperazione, che assumono connotati neri. “Pappalardo generale, l’uomo giusto per un Golpe ed uscire dal sistema. Dittatura popolare-militare buon metodo per uscire dal sistema fmi-bce-nato-ecc.”, ma anche “Qualcuno dall’alto dei cieli ci ha ascoltato…predicavo da mesi che per una vera rivolta occorrevano delle forze qualificate, meglio dei Carabinieri chi c’è? Nessuno. Vai grande!”: è questa la linea di chi sostiene Pappalardo.   Prese di posizione da parte dei “piani alti” di Forza d’Urto? Nessuna. Ennesimo silenzio, silenzio alquanto pesante.

Intanto il baricentro della protesta si sposta, verso Roma. Lì, proprio il 25, Mario Monti decide di incontrare il governatore Raffaele Lombardo. Richichi e Morsello, incuranti di un’isola sull’orlo del baratro, non hanno intenzione di togliere le barricate: Forza d’Urto si sp
acca, c’è chi punta a far fuori Ferro per assumere la leadership del movimento. Ferro non ci sta e, col “fido” Lombardo, decide che è ora di partire verso Roma. Lo fa Lombardo, “scortato” da numerosi deputati regionali. Gli stati generali della protesta non oltrepassano lo stretto di Messina ma, proprio in occasione dell’incontro col premier, decidono di preparare una grande manifestazione tra le vie di Palermo.   Si spalancano le porte di Palazzo Chigi e lì, per oltre due ore, si discute delle sorti della Sicilia. Il leader autonomista si dichiara soddisfatto: “Col governo nazionale c’è stato un confronto leale e serio, perché abbiamo discusso punto per punto le cose da fare. Incontrerò tutte le categorie presto per dare loro i chiarimenti necessari”. Soddisfazione che, però, non è così evidente tra gli stati generali della protesta: c’è delusione tra le file di Forza d’Urto. Ma, essenzialmente, cosa è venuto fuori dal vertice romano? Monti ha garantito il ripristino di un treno notturno a lunga percorrenza dalla Sicilia verso Milano o Torino e, in merito al ponte sullo stretto, ha negato ogni definanziamento dei fondi del Cipe per la costruzione. Il Governo, inoltre, ha messo in agenda la costituzione di un tavolo tecnico sulla questione del bilancio della Regione, sulla compartecipazione alla spesa sanitaria e sulle accise. 

Buone notizie, anche se non legate all’incontro, sul fronte autotrasportatori: la cifra stanziata per gli aiuti del 2012 passa dai settanta milioni ai centosettanta milioni con la porta aperta per un eventuale “ecobonus europeo”.  Martino Morsello, autonominatosi presidente del movimento, appare il più agguerrito tra i “leader”. Proprio lui, con il suo sparuto seguito, si è stabilito in camper presso piazza Indipendenza a Palermo (davanti Palazzo d’Orleans, sede della Regione). Morsello è categorico: “Staremo qui finché Lombardo non si dimetterà”.  Dall’altra parte Mariano Ferro, con Giuseppe Scarlata, pare voler trasformare i “Forconi” in partito politico. Già, la protesta apartitica da cui viene fuori un nuovo soggetto elettorale. E addirittura, quasi ponendo alle spalle le richieste del settore agricolo, dichiara di essere pronto al sacrificio pur di cambiare la legge elettorale: “I deputati nazionali non sono eletti dal popolo, ma nominati dal capo. I Forconi italiani si spenderanno fino allo stremo per scatenare la rivoluzione democratica, quella vera”. All’interno del movimento, in fin dei conti, si è trasformato tutto in una conta pro o contro Lombardo. Ferro continua a mostrare la sua vicinanza al leader autonomista a cui, anche attraverso l’affaire legge elettorale, sembra voler donare l’ennesimo regalo. Aria pura per un esecutivo che, sostanzialmente, potrebbe avere i giorni contati. Intanto sono ancora decine i presidi (stavolta senza fermi più o meno volontari) presenti nell’isola. Luoghi d’incontro tra gli aderenti e centri per raccogliere le firme su defiscalizzazione dei carburanti, normative sulla diversa riscossione delle tasse, nuove regole per la grande distribuzione, norme “antitaroccamento” dei prodotti agricoli siciliani.

 Da questa settimana, inoltre, è partita la fase delle “occupazioni”: i “Forconi” (componente Ferro – Scarlata) si sono accampati presso diversi palazzi di città dell’isola. Già in archivio le prime due notti a Modica ed Avola, in previsione la “presa” di Catania, altri presidi davanti alla sede Serit (l’Equitalia siciliana) di Siracusa.  Si era già parlato del blocco parziale delle raffinerie per impedire che gas e carburanti potessero raggiungere il resto d’Italia. Protesta, al momento, solamente differita per evitare che, data l’eccezionale ondata di maltempo, buona parte della penisola potesse essere costretta a subire, in una maniera ancora più netta, le angherie di temperature molto al di sotto dello zero.

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