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Giacomo Ciaccio Montalto, il suo impegno un esempio da non dimenticare

Di Mario D'Angelo (già presidente dei Tribunali di Trapani e Marsala) il . Sicilia

“Giacomo era figlio di siciliani, ma non era nato in Sicilia ma a Milano dove allora suo padre Enrico, pure Lui magistrato di grande spessore tecnico e di eccezionale rettitudine, che fu presidente di sezione della cassazione, al tempo della nascita di Giacomo lavorava, ed era siciliano nell’anima e in tutto il suo essere. Amava profondamente questa terra e tutto ciò che di positivo vi si trova pur avendo piena consapevolezza che senza l’affrancazione dal giogo della mafia e dalle incrostazioni di tanti poteri più o meno occulti non sarebbe stata mai possibile una vera rinascita.
Ebbe rapporti molto stretti con Giovanni Falcone, nati negli anni del comune lavoro a Trapani sino al 1978, e ne fu ispiratore perché, almeno nel primo periodo di attività professionale, Giovanni, che a Trapani negli anni conclusivi della sua permanenza aveva svolto soprattutto funzioni civili, riconoscendo la specializzazione penalistica di Giacomo, ricorreva frequentemente ai suoi consigli.

Giacomo era molto stimato dai Colleghi, che tuttavia spesso non percepirono, almeno sino in fondo, la esattezza delle sue intuizioni, ritenute al tempo solo ipotesi possibili di ricostruzione dei fatti e ora divenute certe acquisizioni: la spiegazione dell’interesse di cosa nostra, in un determinato momento storico, a mantenere in un certo ambito territoriale -a Trapani- la c.d. pax mafiosa per potervi porre il porto di accesso degli stupefacenti in Italia e nei paesi occidentali ; la necessità di scalfire gli interessi economici della mafia per poterne minare la forza; la rilevanza delle indagini bancarie e sulle banche talvolta portate a chiudere gli occhi sull’origine del denaro ricevuto o sulla destinazione di quello impiegato; la intuizione della struttura unitaria di cosa nostra sino a quel periodo ritenuta una costellazione di sistemi in competizione, pur accomunati da modelli operativi comuni;
l’intuizione, precedente alle rivelazioni di Buscetta , Contorno e dei primi collaboratori, della macroscopica divergenza della logica della mafia rispetto ad ordinari criteri di razionalità; la comprensione della necessità di fare breccia nel muro di omertà, cominciando dai mafiosi ed inducendo proprio loro a collaborare: è noto che Giacomo riuscì a far parlare un affiliato alla mafia e non ottenne grandi risultati solo per il non rilevante spessore del personaggio , a conoscenza perciò solo di certe e poche verità, e perché le innovazioni epocali , anche quelle di strategia processuale, richiedono tempi lunghi di maturazione.

Giacomo Ciaccio non si occupò solo di mafia, ma operò a 360° :

si occupò di indagini su reati ambientali quando i discorsi sul tema erano ancora ristretti a pochi precursori e, in particolare, operò per fermare la cementificazione dei fondali marini vicini alle nostre coste, che dissennate discariche in mare dei sottoprodotti della lavorazione del marmo stavano provocando, come con le sue escursioni subacquee nei nostri mari, aveva constatato: gli bastava scorgere da Valderice, dove spesso soggiornava, le chiazze che lo scarico in mare delle polveri di marmo provocano, per interrompere altre occupazioni, anche i momenti di riposo per lasciare gli amici, e piombare lancia in resta a fermare gli inquinatori. Si trattava di problemi di cui negli anni ’70 non veniva avvertita l’incidenza distruttiva sulla vita dei cittadini e delle stesse generazioni future , perché solo ora percepiamo quale devastazione del nostro patrimonio naturale abbiano apportato e quanti problemi irrisolti del vivere civile siano ancora ad essi collegati. Operò senza timori di alcun genere contro la corruzione nell’ambito degli amministratori e funzionari pubblici , realizzando anche in questo caso indagini di rilevante impatto nella nostra area che gli attirarono, come è intuibile, molte inimicizie.

Non si può ricordare Giacomo senza far cenno ai molti suoi interessi culturali, che con tanta forza manifestava avendo una speciale capacità di coinvolgimento e di trasmettere agli altri i suoi entusiasmi: la passione per certi scrittori, da Eco, allora poco famoso, a Tomasi di Lampedusa, a Marquez ; la sua venerazione per Beethoven, l’amore per la lirica , per Bellini, quello affettuoso per Verdi insolitamente collegato ad un notevole apprezzamento per Wagner, le predilezioni per alcuni interpreti da quelli famosi quali Toscanini, Cortot, Richter, Ghilels, la amatissima Callas, ad altri quali Pollini e Daniel Rivera, percepiti subito come grandi da Giacomo con straordinaria sensibilità e consacrati tali negli anni successivi alla sua morte , le passioni più popolari per la canzone napoletana d’autore, per le nostre tradizioni gastronomiche, per il mare che con il candido coraggio che lo distingueva, solcò facendo viaggi ardimentosi pur quando all’inizio della sua esperienza nautica, aveva una pratica limitata.

Vorremmo che il ricordo di Giacomo Ciaccio Montalto non sia soltanto aria fritta con espressione che lui spesso usava, ma rappresenti tensione continua verso il perseguimento della meta che lui sempre ebbe presente, verso comportamenti che ci consentano di non vergognarci, nascondendole, delle nostre radici. Giacomo nella sua breve vita ebbe la capacità di suscitare un profluvio di sentimenti, di influenze, di spinte etiche, pur senza espliciti suggerimenti, nei Colleghi, che hanno raccolto il testimone raccogliendo e diffondendo le idee e le tensioni morali di Giacomo.

Esperienze di vita come quella di Giacomo, nell’attuale momento in cui la fiducia dei cittadini nelle istituzioni giudiziarie, a volte non ingiustificatamente, viene meno, in cui spesso non si comprende che quella del magistrato non è una professione come le altre e deve essere esercitata avvertendo in ogni momento quanto grande deve essere il proprio impegno a tutela della legalità che comincia dalla scrupolosa osservanza della legge e dei diritti dei cittadini proprio da parte dei giudici, condotte di magistrati come Giacomo, che mai sentendosi eroi lo sono stati, sono un paradigma insostituibile da imitare e un esempio da non dimenticare”.

* a cura di Mario D’Angelo, già presidente dei Tribunali di Trapani e Marsala

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