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Quando Cosa nostra trapanese voleva fondare una banca

Di Rino Giacalone il . Sicilia

L’imprenditore che dal carcere mandava messaggi a politici e colleghi, che è riuscito a completare da dentro la cella il proprio programma di “espansione” sul territorio percependo fondi e finanziamenti che non gli si potevano erogare, è rimasto impassibile ascoltando la requisitoria del pubblico ministero, Andrea Tarondo,  al Tribunale di Trapani. In cella c’è Tommaso Coppola, “Masino” per tutti quelli che lo conoscono e sono tanti. Non è l’unico imputato di questo dibattimento, ma è il principale, il personaggio attorno al quale “ruota ogni cosa”. Coppola, originario di Valderice, paese collinare appena sotto le falde della montagna di Erice, ha creato qui il suo regno. Imprenditore edile, è cresciuto gradualmente fino a diventare davvero uno dei “principi” dell’area grigia della mafia. E quella che segue è la storia di appalti, affari e di una nave, targata Cosa nostra
L’imprenditore e il capo mafia. Palazzine ma anche un residence turistico alberghiero realizzato appena  davanti il mare della zona marinara di Valderice, e poi appalti, piccoli e grandi, questi i suoi affari. Il capo mafia di Trapani, il “padrino” Ciccio Pace lo mandava spesso a chiamare, e loro punto di incontro era di solito una sorta di piccolo rettangolo di eleganti palazzine costruite alla periferia di Trapani. Pace era all’epoca sorvegliato speciale, e oltre i confini della città capoluogo non poteva andare e così convocava i suoi interlocutori. Proprio a Coppola che a proposito di un appalto aveva qualche dubbio sul “pizzo” da chiedere all’imprenditore che se lo era aggiudicato, Pace fu intercettato dai poliziotti mentre diceva, che lui era il “capo mandamento”: “Tu digli – così si rivolgeva a Coppola – che hai parlato col capo mandamento”. Divertente fu la diatriba processuale proprio sulla trascrizione di questa frase, che secondo il perito della difesa era un’altra, “tu digli che hai parlato con il capo condominio”. Ma Pace non era a capo di nessun condominio. 
La mafia che non esiste o che si dice sia stata sconfitta si è presentata ancora una volta agli occhi di chi ha ascoltato in tutta la sua “magnificenza” criminale: in grisaglia, giacca e cravatta, anche il fazzolettino che esce dal taschino, giovane, rampante, baldanzosa, e con una 24 ore riempita con i soldi provenienti dagli affari più loschi, oscuri, sporchi del sangue di tanti morti. Quasi l’immagine di un rappresentante di commercio come l’ha indicata il pm Tarondo: “Qui all’impresa che vince un appalto – ha detto – si presentano un ventaglio di possibilità, o di pagare il semplice pizzo oppure accedere ad una serie di servizi, forniture, cemento, sabbia, inerti. Tutto questo – ha proseguito – per esercitare un controllo capillare sulle attività che si svolgono nel territorio”. Questo c’è anche dentro al processo contro l’imprenditore Coppola. Per essere chiari a fare bene comprendere: i fatti riassunti nel dibattimento non risalgono alla notte dei tempi, ma appena all’altro ieri, a qualche anno addietro,  il “sistema” Coppola funzionava perfettamente, se non erano le imprese segnalate dai mammasantissima a vincere le gare, l’organizzazione veniva a sapere dall’interno della stesso ente locale che assegnava i lavori (nel caso di Coppola il controllo veniva esercitato presso la Provincia regionale) a chi erano stati affidati, a quel punto il “rappresentante di commercio” si presentava dall’imprenditore facendo la sua “offerta” che nessuno però poteva permettersi di rifiutare; o spesso accadeva anche altro che l’imprenditore che vinceva la gara si presentava direttamente dal “rappresentante di commercio (mafioso)” o direttamente dal “principale” di questi per “mettersi a posto”. 
Tommaso Coppola ha fatto parte di questo gruppo ristretto, ne era “cinghia di trasmissione”, “interfaccia pulita”, per queste ragioni è stato già condannato, il processo in corso lo riguarda per il reato di intestazione fittizia di beni e per avere continuato a fare l’imprenditore mafioso dalla cella del carcere. “Non c’è affare che sfugge a questo gruppo – ha detto il pm – strade, porto, palazzi, addirittura – ha continuato Tarondo – la mafia trapanese voleva farsi una banca tutta sua, perché puntava a mettere meglio le mani sul sistema economico”. 
Tommaso Coppola era di quelli capaci a parlare bene con la politica. Valderice porta dentro una antica tradizione di zoccolo duro della sinistra (che via via si è andata affievolendo). Coppola è socialista e di quelli che parlavano con il Pci, poi con la seconda Repubblica ha imparato, o meglio capito, che bisognava cambiare interlocutori e così si è avvicinato a Forza Italia. In carcere mentre parlava con suo nipote a proposito di come doveva gestire le società dalle quali si era dimesso, per evitare ciò che non ha potuto evitare, e cioè il sequestro preventivo da parte della magistratura antimafia, gli diceva che doveva cercare appoggi verso “il senatore e verso tale Camillo”. Poi più avanti in quei colloqui lui stesso ha svelato di chi parlava, del senatore D’Alì (allora sottosegretario all’Interno, che però ha negato contatti con l’imprenditore fuori dal lecito) e di Camillo Iovino nel frattempo diventato sindaco di Valderice. 
Quest’ultimo è tra gli imputati nel processo per favoreggiamento.

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